La leucemia mieloide cronica (LMC) è una delle quattro forme principali di leucemia, anche se è relativamente rara; ogni anno ne sono colpite circa 2 persone ogni 100.000 con una leggera prevalenza per quanto riguarda il sesso maschile (2,4 casi contro 1,8); di fatto, si stimano circa 650 nuovi casi fra gli uomini e circa 500 fra le donne. Più del 70% dei casi di leucemia mieloide cronica viene diagnosticato dopo i 60 anni. La patologia rappresenta circa il 15% delle leucemie che colpiscono soggetti in età adulta.
Leucemia mieloide cronica: cause
Nella leucemia mieloide cronica le cellule neoplastiche sono caratterizzate, nel 95% dei casi circa, dalla presenza nel loro nucleo del cosiddetto “cromosoma Philadelphia”, un cromosoma anomalo che prende il nome dalla città statunitense dove per la prima volta fu osservato da Peter Nowell e David Hungerford; il cromosoma Philadelphia è il risultato della traslocazione (o, utilizzando un termine più semplice, scambio) tra il cromosoma 9 e il cromosoma 22; la traslocazione dà origine a un cromosoma 22 più corto e causa la fusione di due geni (il gene BCR, del cromosoma 22, e il gene ABL del cromosoma 9); si viene quindi a formare un gene ibrido, detto BCR-ABL che ha un ruolo fondamentale nell’insorgenza dalla leucemia mieloide cronica in quanto induce un aumento della capacità proliferativa delle cellule neoplastiche e le rende resistenti ai normali sistemi deputati al controllo della moltiplicazione cellulare.
Nonostante la capacità proliferativa dei globuli bianchi diventi incontrollata, essi conservano le loro caratteristiche funzionali; è in parte per questo motivo che la leucemia mieloide cronica ha un decorso generalmente meno aggressivo rispetto alle leucemie acute.
L’alterazione non è ereditaria, ma compare nel corso della vita per cause che, al momento attuale, sono sconosciute. Non sono noti particolari fattori di rischio per la leucemia mieloide cronica; l’unico fattore di rischio ambientale riconosciuto è l’esposizione ad alti dosaggi di radiazioni ionizzanti; gli studi effettuati non hanno mostrato legami tra la leucemia mieloide cronica e comportamenti legati allo stile di vita (per esempio il fumo di sigaretta), l’esposizione a determinate sostanze chimiche o le infezioni virali.
I principali fattori di rischio non modificabili sono l’età avanzata e il sesso maschile.
Sintomi e segni di leucemia mieloide cronica
La sintomatologia della leucemia mieloide cronica è spesso clinicamente poco rilevante tant’è che in molti casi la patologia viene diagnosticata in modo occasionale durante esami diagnostici eseguiti per altre motivazioni. I segni e i sintomi che si registrano con maggiore frequenza sono stanchezza, calo ponderale, profusa sudorazione notturna, senso di pienezza addominale (di norma legata alla presenza di splenomegalia). Con il progredire della malattia, si ha la comparsa di febbricola, dolori osteo-muscolari e addominali. Nella fase avanzata, la patologia presenta i segni e sintomi caratteristici delle leucemie acute; l’emocromo evidenzia un notevole incremento del numero dei leucociti e un sovvertimento della loro composizione; è presente anemia e si può registrare drastica piastrinopenia o, al contrario, iperproduzione piastrinica.

Per la cura della leucemia mieloide cronica sono a disposizione farmaci specifici: se non efficaci, si ricorre ai trattamenti chemioterapici, anche per la preparazione ad eventuale trapianto.
La leucemia mieloide cronica è una patologia tipicamente multifasica; in assenza di trattamento la progressione tipica comprende tre fasi che sono caratterizzate da un peggioramento progressivo delle condizioni cliniche del soggetto: fase cronica, fase accelerata e fase blastica.
Nel corso della fase cronica i pazienti presentano un elevato numero di leucociti in tutti gli stadi di maturazione e meno del 10% di cellule blastiche nel sangue periferico o nel midollo osseo. La fase cronica può durare diversi anni (tipicamente 5 o 6) prima che si passi alla fase successiva.
La fase accelerata è una fase caratterizzata dalla presenza nel sangue periferico di un relativamente elevato numero di cellule blastiche nel sangue periferico o nel midollo osseo (dal 10 al 30% circa). Le condizioni cliniche peggiorano; si hanno febbre, dolori ossei e sintomi legati all’ingrossamento della milza o del fegato (principalmente dolori a livello addominale e nausea).
Altre manifestazioni sono rappresentate da piastrinopenia e anemia progressiva. Compaiono generalmente nuove anomalie cromosomiche. La durata di questa fase dura generalmente alcuni mesi (tipicamente da 6 a 9).
La fase blastica (o, più comunemente, crisi blastica) è la fase terminale della patologia e si caratterizza per la presenza di oltre il 30% di blasti leucemici nel sangue periferico o nel midollo osseo; lo scompenso della funzione midollare conduce a un notevole aggravamento della sintomatologia; l’anemia causa una facile affaticabilità, la piastrinopenia è all’origine di emorragie di vario tipo ed entità, mentre la progressiva riduzione di leucociti maturi aumenta drasticamente la suscettibilità alle infezioni.
Leucemia mieloide cronica: diagnosi
Nella stragrande maggioranza dei casi (85-90% circa) la diagnosi viene effettuata durante la fase cronica. Spesso ciò avviene accidentalmente nel corso di esami che vengono eseguiti per un’altra malattia o per controlli routinari o previsti dai programmi di prevenzione di malattie sul lavoro. Se si sospetta la presenza di leucemia mieloide cronica (leucocitosi e trombocitosi) è necessario richiedere una visita specialistica con un oncoematologo. Fra gli esami generalmente necessari per un inquadramento diagnostico corretto si ricordano:
- esame emocromocitometrico (noto anche come emocromo); L’analisi al microscopio ottico del sangue periferico permette di analizzare in modo più approfondito frazioni più rare e immature dei leucociti (blasti, promielociti e mielociti) che di norma non sono presenti nei soggetti sani.
- Analisi morfologica (esame al microscopio ottico delle caratteristiche morfologiche delle cellule midollari presenti nei campioni di aspirato midollare o di sangue periferico); questo esame fornisce indicazioni diagnostiche e permette di definire la fase di malattia.
- Analisi citogenetica (serve a valutare il numero e la struttura dei cromosomi delle cellule leucemiche presenti nei campioni prelevati da midollo e sangue periferico; la presenza del cromosoma Philadelphia è certamente indicativa per la diagnosi di leucemia mieloide cronica).
- Analisi FISH (ibridazione fluorescente in situ, Fluorescent In Situ Hybridization; è un’analisi citogenetica maggiormente sensibile e più approfondita dell’analisi citogenetica convenzionale e permette di esaminare accuratamente le cellule midollari che hanno la traslocazione 9;22 e di verificare la presenza di rare anomalie cromosomiche che potrebbero nascondere la presenza della citata traslocazione).
- Analisi immunofenotipica (serve a esaminare le caratteristiche di superficie delle cellule leucemiche facilitando la diagnosi e consentendo in alcuni casi la monitorizzazione nel tempo della risposta alle terapie intraprese).
- Analisi molecolare (serve a valutare la quantità di gene di fusione BCR-ABL e consentire la monitorizzazione della risposta alle terapie intraprese; nei pazienti che rispondono bene al trattamento si riscontra una notevole riduzione – e talvolta la scomparsa – dei valori di BCR-ABL).
Leucemia mieloide cronica: terapia
L’attività tirosin-chinasica della proteina BCR-ABL è un momento fondamentale nella patogenesi della leucemia mieloide cronica e l’introduzione di molecole in grado di inibire le tirosin-chinasi ha rivoluzionato l’approccio terapeutico alla malattia. Le molecole colpiscono in modo mirato il gene BCR-ABL presente nelle cellule malate; il capostipite di questi farmaci è l’imatinib (nome commerciale Glivec); gli inibitori delle tirosin-chinasi (TKI) riescono generalmente a tenere sotto controllo la patologia evitando la sua progressione verso la crisi blastica. La terapia deve essere continuata vita natural durante, ma, generalmente, è ben tollerata.
Circa un terzo dei soggetti trattati con imatinib sviluppa però resistenza al farmaco (oppure non è in grado di tollerarlo); sono state man mano ricercate molecole alternative e, al momento attuale, è possibile trattare la malattia con altri TKI, ovvero nilotinib e dasatinib, bosutinib e ponatinib.
Prima dell’avvento dei TKI, le possibilità di trattamento o di gestione della malattia erano decisamente più scarse; all’inizio il trattamento di prima scelta era rappresentato dalla chemioterapia tradizionale a bassi dosaggi, ma il ricorso a questo tipo di terapia si è ridotto con l’introduzione dell’interferone che per molti anni è stato il trattamento d’elezione della patologia a partire dagli anni ’80 del secolo scorso.
Attualmente la chemioterapia viene utilizzata se i TKI non funzionano oppure come fase della procedura che precede il trapianto di cellule staminali.
Di norma non si ricorre alla radioterapia in caso di leucemia mieloide cronica fatti salvi i casi in cui essa possa essere utile per ridurre i dolori ossei oppure le dimensioni degli organi ingrossati in seguito alla malattia (per esempio la milza); lo stesso ruolo assume la chirurgia, utilizzata di solito in casi estremi per rimuovere la milza quando né i farmaci né la radioterapia sono più in grado di ridurne le dimensioni.
Terminata la terapia di consolidamento è possibile procedere con un trapianto di cellule staminali emopoietiche (una modalità terapeutica adatta ai pazienti più giovani e a cui si può ricorrere dipendentemente dalla presenza di determinati fattori e, ovviamente, dalla disponibilità di un donatore). Le cellule staminali possono essere trapiantate con trapianto autologo (si ricorre al sangue o al midollo osseo del paziente stesso) oppure con trapianto allogenico (da donatore). Va precisato che il trapianto autologo è piuttosto raro in caso di leucemia mieloide cronica perché esiste un rischio non minimale di trapiantare anche cellule malate assieme a quelle sane ed è quindi più frequente il ricorso al trapianto allogenico.
Aspettativa di vita
Una ricerca svedese pubblicata su The Journal of Clinical Oncology mostra che i pazienti affetti da leucemia mieloide cronica hanno un’aspettativa di vita prossima a quella della normale popolazione.
Il grande risultato nasce dalla modifica della terapia che è passata dall’impiego di busulfano e idrossiurea (anni ’80) a quella iniziata nel 2001 basata sul primo inibitore delle TK (ormai si è alla terza generazione di questi farmaci). Se negli anni ’80 l’aspettativa di vita era di circa 20 anni inferiore, oggi la differenza si è ridotta a soli 3 anni.
Addirittura, alcune altre sperimentazioni hanno mostrato che è possibile sospendere la terapia sotto stretto controllo medico, una sospensione che ovviamente migliora la qualità della vita dei pazienti.
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