La leucemia linfoblastica acuta (LLA) è una forma di leucemia relativamente rara; nel nostro Paese, secondo i dati AIRC, si registrano circa 1,6 casi ogni 100.000 soggetti di sesso maschile e 1,2 casi ogni 100.000 soggetti di sesso femminile, vale a dire circa 450 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 320 tra le donne.
La leucemia linfoblastica acuta (anche leucemia linfatica acuta) è la neoplasia più frequente in età pediatrica, tant’è che rappresenta circa l’80% delle leucemie e circa un quarto di tutte le neoplasie che vengono diagnosticate nel range di età che va da a e 14 anni. L’incidenza raggiunge il picco tra i 2 e i 5 anni per poi decrescere con l’aumentare dell’età, fino a toccare il punto minimo dopo i 29 anni; circa la metà di tutti i casi di leucemia linfoblastica acuta vengono infatti diagnosticati in soggetti che hanno meno di tale età.
La leucemia linfatica acuta colpisce le cellule produttrici di linfociti nel midollo osseo (ricordiamo che i linfociti sono globuli bianchi essenziali per la risposta immunitaria dell’organismo); di fatto, nel midollo osseo di un soggetto affetto da leucemia linfoblastica acuta si accumulano cellule immature precursori dei linfociti; i cosiddetti blasti leucemici. A ciò consegue un’alterazione della produzione delle altre cellule ematiche normali; si assiste quindi a una significativa riduzione del numero degli eritrociti (i globuli rossi) e dei trombociti (le piastrine); anche il numero dei globuli bianchi va incontro ad anomale variazioni; in alcuni casi si assiste a una loro riduzione, in altri, al contrario, a un loro abnorme aumento.
A seconda del tipo di linfociti interessati (B o T) si distinguono due forme della malattia: leucemia linfoblastica acuta a linfociti B e leucemia linfoblastica acuta a linfociti T.
Leucemia linfoblastica acuta – Cause
Le cause della leucemia linfoblastica acuta non sono ancora del tutto state chiarite; sono noti però vari fattori di rischio che possono essere sia ambientali che secondari a condizioni predisponenti che, a loro volta, possono essere ereditarie o acquisite.
Tra i fattori di rischio ambientali, i principali sono la forte esposizione a radiazioni ionizzanti (per esempio in seguito a radioterapia), l’esposizione al benzene e i trattamenti a base di determinati chemioterapici.
Fra le principali condizioni ereditarie predisponenti l’insorgenza di leucemia linfoblastica acuta, si ricordano la sindrome di Down, l’anemia di Fanconi, la sindrome di Bloom, l’atassia-teleangectasia, la sindrome di Kostmann, la sindrome di Shwachman-Diamond, l’anemia di Blackfan-Diamond, la neurofibromatosi di tipo I e la sindrome di Li-Fraumeni.
Fra le condizioni predisponenti acquisite si ricordano le sindromi mielodisplastiche, l’anemia aplastica e l’emoglobinuria parossistica notturna.
Leucemia linfoblastica acuta – Sintomi e segni
La leucemia linfoblastica acuta è rara negli adulti; i segni e i sintomi in età pediatrica sono legati dalle alterazioni a carico delle cellule ematiche; si registrano quindi anemia (cui consegue una facile affaticabilità), piastrinopenia (vale a dire riduzione del numero di piastrine circolanti, condizione che può determinare epistassi, sanguinamenti dalla bocca, presenza di sangue nelle feci, lividi ecc.), alterazioni della conta dei leucociti (abnorme aumento o diminuzione) e della loro efficacia.
Il fatto che i leucociti perdano la loro efficacia fa sì che l’organismo sia maggiormente soggetto a contrarre processi infettivi; non a caso, quando la malattia fa il suo esordio si registrano infezioni localizzate e rialzi febbrili.
In poco meno dei due terzi dei pazienti si manifestano epatomegalia (ingrossamento del fegato) e/o splenomegalia (ingrossamento della milza); circa un terzo presenta linfoadenopatia. Nelle leucemie linfoblastiche acute di tipo T, si registra spesso un ingrossamento dei linfonodi palpabili e talvolta di quelli interni (per esempio i linfonodi del mediastino).
Sintomi spesso presenti solo la dolenzia ossea e quella articolare. Se le cellule neoplastiche invadono il sistema nervoso centrale si possono avere cefalea, nausea e vomito. Come nel caso di altre forme di leucemia, può essere presente sudorazione notturna.
Diagnosi
Le manifestazioni cliniche possono far sospettare la presenza di leucemia linfoblastica acuta, ma per la conferma della diagnosi è necessario l’effettuazione di test di laboratorio; nel caso di leucemia linfoblastica acuta, per la conferma diagnostica è solitamente sufficiente l’esecuzione dell’esame emocromocitometrico (più comunemente noto come emocromo).
Nella gran parte dei casi l’esame evidenzierà un abnorme numero di globuli bianchi che, nella gran parte dei soggetti sono anormali.
Sono comuni l’anemia e la piastrinopenia; la presenza di queste due condizioni è facilmente spiegabile con il fatto che le cellule tumorali inibiscono la produzione delle cellule del sangue normali; in alcuni casi, l’anemia può essere particolarmente grave. Si può assistere a un drastico calo dei neutrofili (i globuli bianchi più abbondanti nel sangue e la cui funzione principale è combattere i processi infettivi, in particolar modo quelli batterici) e ciò può favorire lo sviluppo di infezioni.
L’osservazione al microscopio delle cellule neoplastiche consente di stabilirne la loro morfologia e distingue la leucemia linfatica in L1 (cellule piccole), L2 (cellule medio-grandi) e L3 (cellule grandi); dal punto di vista clinico, la distinzione ha un’importanza relativa in quanto non determina variazioni nel tipo di terapia.
Fondamentale importanza ha invece la classificazione immunologica che si basa sulla presenza di determinati marker immunologici sulla superficie delle cellule neoplastiche; in base alla classificazione immunologica, le cellule tumorali possono appartenere alla linea B o alla linea T; la distinzione è importante perché in alcuni casi fa propendere per un tipo di trattamento piuttosto che per un altro.
Nei soggetti in età pediatrica, la forma più comunemente diagnosticata (80% dei casi circa) è quella da precursori delle cellule B; nel 15% dei casi circa si tratta della forma da precursori delle cellule T; nel restante 5% circa di casi, si tratta di una leucemia linfoblastica acuta da precursori delle cellule B, ma con caratteristiche particolari (leucemia linfoblastica acuta B matura); la leucemia linfoblastica acuta B matura ha alcune caratteristiche in comune con il linfoma di Burkitt (una neoplasia appartenente alla categoria dei linfomi non-Hodgkin); si tratta di una forma che non risponde alle convenzionali tipologie di trattamento, ma in cui si hanno buone risposte anche fino al 75% dei casi con trattamenti chemioterapici più intensi e più brevi, simili a quelli a cui si ricorre per trattare i linfomi.
Per la pianificazione del trattamento e per valutare la risposta a quest’ultimo è importante anche eseguire l’analisi dei cromosomi, analisi che può essere effettuata su sangue periferico o su campioni di midollo osseo. Il tipo di anomalia riscontrato influenza anche la prognosi.
Altre indagini che vengono spesso eseguite in caso di leucemia sono le ecografie, le radiografie, la TAC o la risonanza magnetica nucleare.
Allo scopo di verificare se la patologia ha interessato anche il sistema nervoso centrale viene eseguita anche la rachicentesi (nota anche come puntura lombare) ovvero la raccolta del liquor cerebrospinale tramite una puntura a livello della colonna vertebrale lombare.

Gli attuali protocolli terapeutici per la leucemia linfoblastica acuta sono spesso molto efficaci e il tasso di sopravvivenza supera l’80%.
Cura
La scelta del tipo di cura, come abbiamo in parte già accennato, dipende dalle caratteristiche della patologia e, ovviamente, anche da quelle del paziente; in linea generale, comunque, considerando il carattere acuto di questo tipo di leucemia, le terapie devono essere iniziate subito dopo che la malattia è stata diagnosticata.
L’arma più efficace attualmente a disposizione contro la leucemia linfoblastica acuta è la chemioterapia; i chemioterapici e i dosaggi vengono decisi caso per caso dopo attenta valutazione di vari fattori. Nei soggetti in età pediatrica si utilizzano solitamente regimi di cura di maggiore intensità rispetto a quellei che vengono usati nei soggetti adulti; in linea generale, fatte salve le inevitabili differenze fra caso e caso, il percorso terapeutico viene suddiviso in 4 fasi della durata di circa due anni:
- induzione
- consolidamento
- re-induzione
- mantenimento
La fase di induzione, che può durare da uno a tre mesi circa, serve a rimuovere dal sangue e dal midollo osseo tutte le cellule leucemiche; è una fase molto aggressiva nella quale si ricorre a chemioterapici molto potenti che, oltre a distruggere in modo massivo le cellule neoplastiche, impediscono per un certo periodo di tempo che il midollo osseo produca nuovamente le normali cellule del sangue.
La fase di consolidamento serve a rafforzare i risultati che si sono ottenuti nella prima parte del trattamento; ha una durata di circa due o più mesi e si ricorre a una chemioterapia ad alti dosaggi.
Nella fase di re-induzione si ricorre agli stessi farmaci utilizzati nella fase di induzione, anche se si seguono schemi differenti.
La fase finale è quella del mantenimento; in genere ha la durata di un anno e si avvale di farmaci quali 6-mercaptopurina (chemioterapico sfruttato anche nel trattamento della leucemia mieloide acuta) e ametopterina (chemioterapico più noto come metotressato o metotrexato).
Durante tutto il corso del trattamento devono essere eseguite varie punture lombari (rachicentesi); ciò è previsto dal trattamento di profilassi dell’eventuale leucemia linfoblastica acuta a livello del SNC; di fatto, si procede con la somministrazione della chemioterapia nel liquor (il liquido cefalorachidiano).
Nei casi particolarmente complessi (per esempio, soggetti che non rispondono alla prima fase della terapia, soggetti che vanno incontro a recidiva poco dopo le cure ecc.) è possibile ricorrere al trapianto di cellule staminali emopoietiche; il trapianto permette la sostituzione delle cellule leucemiche del midollo (che vengono distrutte dai trattamenti chemioterapici o radioterapici) con cellule sane che daranno origine a cellule sanguigne normali. Di norma, se possibile, nel caso di leucemia linfoblastica acuta si predilige il trapianto da donatore diverso dal malato (in questo caso di parla di trapianto allogenico) di cellule che devono provenire o da un familiare compatibile oppure da un donatore che, pur non essendo consanguineo, abbia una notevole affinità con il ricevente.
Negli ultimi anni sono stati sperimentati diversi nuovi farmaci per il trattamento della leucemia linfoblastica acuta in età pediatrica come, per esempio, il bortezomib, la clofarabina, il dasatinib, la forodesina e altri ancora; in molti casi si tratta di farmaci che colpiscono in modo selettivo dei costituenti peculiari e specifici dei blasti leucemici.
Per quanto riguarda la chirurgia, diversamente da quanto accade con altre forme tumorali, essa non svolge di fatto alcun ruolo nella terapia della leucemia linfoblastica acuta; talvolta, invece, si ricorre alla radioterapia sia per colpire le cellule neoplastiche che hanno invaso il sistema nervoso centrale, sia come trattamento palliativo (ha scopi antidolorifici) nei casi di malattia che non rispondono ai chemioterapici sia come terapia mieloablativa (prima del trapianto di cellule staminali emopoietiche, il paziente subisce un trattamento chemioterapico o radioterapico che ha lo scopo sia di diminuire il numero di cellule tumorali sia di distruggere il midollo osseo malato).
Leucemia linfoblastica acuta – Sopravvivenza
Gli attuali protocolli terapeutici sono spesso molto efficaci; secondo i dati dell’AIEOP (Associazione Italiana Ematologia Oncologica Pediatrtica) “la prognosi è progressivamente migliorata con l’intensificazione della chemioterapia, raggiungendo una sopravvivenza libera da malattia a 5 anni dalla diagnosi di circa l’80% e una sopravvivenza di circa il 90%”.
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