La leucemia linfatica cronica (LLC) è la forma di leucemia più comune nei Paesi occidentali ed è una forma neoplastica tipica delle persone anziane. L’età media alla diagnosi è attorno ai 65-70 anni e meno del 15% dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni, anche se negli ultimi anni la percentuale di soggetti giovani che ne vengono colpiti è in aumento, probabilmente anche perché un numero maggiori di casi viene diagnosticato in occasione di esami routinari quando il soggetto è asintomatico. Annualmente si ammalano di leucemia linfatica cronica circa 5 soggetti su 100.000 e l’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età. Nel nostro Paese le stime parlano di circa 1.600 nuovi casi annui tra gli uomini e 1.150 tra le donne.
La forma più frequente della malattia è la leucemia linfatica cronica a cellule B (LLC-B) che si caratterizza per la proliferazione e il progressivo accumulo di linfociti B nel sangue, nel midollo osseo, nei linfonodi e nella milza; ne risulta un notevole incremento del numero dei linfociti nel sangue periferico (si parla in questo caso di leucocitosi con linfocitosi assoluta), linfoadenomegalia (ingrossamento dei linfonodi di collo, ascelle e inguine) e splenomegalia (aumento delle dimensioni della milza).
L’accumulo di linfociti T neoplastici è definito invece leucemia prolinfocitica a cellule T; si tratta di un’entità clinica diversa e decisamente meno frequente.
Cause
Diversamente da quanto accade nel caso della leucemia linfoblastica acuta, l’insorgenza della leucemia linfatica cronica non sembra avere una relazione con l’esposizione a radiazioni ionizzanti o ad agenti chimici; vi sono molti studi che invece indicano che vi sono fattori genetici che possono predisporre allo sviluppo della patologia. Gli studi mostrano che in circa il 10% dei soggetti colpiti da leucemia linfatica cronica, l’indagine familiare ha rivelato la presenza di altri familiari che sono stati colpiti dalla malattia in questione o comunque da altre patologie a carico del sistema linfatico.
Leucemia linfatica cronica – Sintomi e segni
In circa due terzi dei casi la malattia ha esordio asintomatico, tant’è che la diagnosi viene spesso posta in seguito ad analisi del sangue effettuate per controlli routinari o per altre motivazioni.
Alla diagnosi gli esami rivelano un numero di linfociti nel sangue generalmente superiore a 10.000/mmc e talvolta addirittura superiore a 100.000/mmc.
In circa il 15% dei soggetti si registra anemia di diverso grado; nell’8% dei casi si ha la presenza di anemia emolitica autoimmune; in circa il 10% dei soggetti si ha una ridotta conta piastrinica, mentre nel 5-7% dei casi si ha piastrinopenia autoimmune. Il test di Coombs è positivo in circa un quinto dei pazienti.
Talvolta è il soggetto ad accorgersi dell’ingrossamento dei linfonodi in diverse zone del corpo; la visita può rivelare l’ingrossamento della milza.
Con l’avanzare della patologia iniziano a comparire i sintomi e i segni legati alla progressiva insufficienza midollare. L’anemia determina pallore della cute e senso di stanchezza; la piastrinopenia determina emorragie più o meno accentuate; la riduzione della popolazione dei neutrofili (neutropenia) aumenta la suscettibilità alle infezioni. Possono inoltre comparire anemia emolitica autoimmune e piastrinopenia autoimmune).
In alcuni casi, invero abbastanza rari, si hanno sintomi generali quali abbondante sudorazione notturna, calo ponderale e febbre resistente agli antibiotici.
Diagnosi
La diagnosi di leucemia linfatica cronica viene generalmente eseguita presso un centro di ematologia clinica tramite vari accertamenti. I principali sono:
- esame emocromocitometrico (noto anche come emocromo)
- Analisi morfologica (esame al microscopio ottico delle caratteristiche morfologiche delle cellule midollari presenti nei campioni di aspirato midollare o di sangue periferico); questo esame fornisce indicazioni diagnostiche e permette di definire la fase di malattia.
- Analisi citogenetica (serve a valutare il numero e la struttura dei cromosomi delle cellule leucemiche presenti nei campioni prelevati da midollo e sangue periferico; determinate alterazioni cromosomiche sono associate a una prognosi sfavorevole).
- Analisi immunofenotipica (serve a esaminare le caratteristiche di superficie delle cellule leucemiche facilitando la diagnosi e consentendo in alcuni casi la monitorizzazione nel tempo della risposta alle terapie intraprese).
- Analisi molecolare (serve a valutare la presenza di marker molecolari di malattia in grado di facilitare l’inquadramento prognostico e consentire nel tempo la monitorizzazione della risposta alle terapie intraprese. I marker molecolari insorgono da alterazioni cromosomiche o del DNA.
- Biopsia linfonodale (consente di stabilire l’eventuale localizzazione di cellule leucemiche nel tessuto linfatico).
Quando si sospetta la presenza di leucemia linfatica cronica, l’esecuzione di agoaspirato e biopsia del midollo osseo per l’inquadramento clinico-prognostico, è discrezionale, tuttavia è fortemente raccomandata prima che venga iniziato qualsiasi tipo di trattamento.
Leucemia linfatica cronica – Cura
Non tutti i soggetti affetti da leucemia linfatica cronica necessitano di terapia. Secondo le linee guida più recenti, le indicazioni al trattamento sono rappresentate dalla progressione della malattia (transizione da un determinato stadio della malattia a uno stadio più avanzato), dalla comparsa di segni e sintomi generali, dalla comparsa di insufficienza midollare, dal raddoppio della linfocitosi nel giro di sei mesi (oppure dell’aumento del 50% in due mesi), dalla comparsa di eccessivo ingrossamento linfonodale (adenomegalia) o di splenomegalia massiva, dal manifestarsi di anemia o trombocitopenia su base autoimmune e refrattarie al trattamento con steroidi.
I soggetti allo stadio iniziale e quelli a uno stadio intermedio che risultano clinicamente stabili non vengono trattati, ma devono essere sottoposti a controlli periodici.
Il trattamento è invece necessario nel caso di soggetti in cui, già alla diagnosi, la malattia è a uno stadio avanzato e a coloro che presentano le caratteristiche indicate in apertura di paragrafo.
L’approccio terapeutico alla leucemia linfatica cronica è molto cambiato negli ultimi anni; il trattamento, quando ritenuto necessario, deve basarsi innanzitutto sull’età del soggetto malato e sulle sue condizioni cliniche generali. Un determinato programma terapeutico potrebbe infatti essere tollerato da un soggetto giovane, ma risultare improponibile in una persona anziana oppure in una persona affetta anche da altre patologie.
Nella scelta del trattamento hanno inoltre un’importanza primaria i cosiddetti parametri di prognosi, sia clinici che biologici.
Le principali procedure terapeutiche a disposizione contro la leucemia linfatica cronica sono la chemioterapia (tra i farmaci utilizzati si ricordano clorambucile, fludarabina, ciclofosfamide e bendamustina), l’immunoterapia con anticorpi monoclonali (si tratta di molecole di sintesi dirette contro gli antigeni espressi sulla membrana dei linfociti leucemici; il loro meccanismo d’azione è quindi selettivo e non aspecifico come quello dei chemioterapici; fra i principali anticorpi monoclonali utilizzati si ricordano alemtuzumab, rituximab, ofatumumab e obinotuzumab); in diversi casi l’immunoterapia viene associata alla chemioterapia (chemio-immunoterapia).
Altra arma terapeutica è il trapianto di cellule staminali; di norma si predilige il trapianto allogenico; quello da donatore HLA identico è stato praticato in un numero di casi abbastanza limitato, vista l’età media abbastanza elevata dei soggetti affetti da leucemia linfatica cronica.
Risultati incoraggianti sono arrivati dal trapianto allogenico con condizionamento a ridotta intensità. Si tratta di una forma di trapianto caratterizzata dalla somministrazione di farmaci ad attività prevalentemente immunosoppressiva. Lo scopo è quello di consentire ugualmente un buon attecchimento delle cellule staminali allogeniche del donatore, con un duplice risultato:
- ridurre i rischi di tossicità e quindi di mortalità associata al trapianto;
- mantenere una buona efficacia terapeutica sulla patologia tumorale.
La chirurgia non ha ruolo alcuno nel trattamento della leucemia linfatica cronica, mentre la radioterapia può essere utile sia come preparazione al trapianto di cellule staminali, sia a fini palliativi, ovvero per ridurre il dolore nei soggetti in cui la malattia si trova in uno stadio avanzato e che non rispondono alle altre terapie.

Nel nostro Paese le stime parlano di circa 1.600 nuovi casi annui di leucemia linfatica cronica tra gli uomini e 1.150 tra le donne; l’età media alla diagnosi è intorno ai 70 anni.
Leucemia linfatica cronica – Aspettativa di vita
Il comportamento della leucemia linfatica cronica dal punto di vista clinico e da quello del decorso è piuttosto eterogeneo. Alcuni soggetti asintomatici rimangono stabili per diversi anni e hanno un’aspettativa di vita che non differisce da quella attesa per l’età; in altri casi la malattia si manifesta più precocemente e ha un decorso più rapido. Gli studi effettuati hanno dimostrato che queste variabilità sono da attribuirsi alle diversità biologiche della patologia. Essenzialmente, i dati più recenti ci dicono che, grazie ai progressi fatti a livello terapeutico, oggi la sopravvivenza supera i 10 anni dalla diagnosi.
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