L‘influenza aviaria viene comunemente indicata con la terminologia piuttosto imprecisa di virus dei polli, terminologia che si riferisce all’agente di una patologia influenzale che si trasmette all’uomo da uccelli (pollame in particolare). In realtà di virus dei polli ce ne sono molti; per esempio l’H5N1, isolato per la prima volta ad Hong Kong nel 1997 e responsabile del picco influenzale del 2006.
Cosa accadde nel 2006 – L‘allora influenza aviaria risaliva alla fine del 2003 (Cambogia, Cina, Indonesia, Giappone, Laos, Corea del Sud, Thailandia e Vietnam); non vi furono prove sicure di una trasmissione da uomo a uomo e si poté considerare una patologia che colpisce uccelli selvatici (che non si ammalano) e domestici. Purtroppo nel contagio da animali selvatici a volatili domestici il virus aumentava la sua efficacia e creò vere e proprie epidemie. Il virus era sensibile al calore, ma poteva sopravvivere a basse temperature nei tessuti e nelle feci di animali infetti per lunghi periodi; da qui l’ovvio consiglio di cucinare bene la carne.
Il virus non scatenò una tanto temuta pandemia (cioè un’epidemia a livello mondiale); infatti il virus passava all’uomo dai volatili, senza passaggi intermedi da altri animali, ma (tranne un caso segnalato) non passava da uomo a uomo. È questo mancato passaggio che contenne la diffusione della patologia (una cinquantina di decessi in tutto il mondo).
La genesi dell’influenza aviaria
Capiamo l’influenza aviaria – Tre sono i tipi di virus influenzali, contraddistinti dalle lettere A, B e C. I virus dell’influenza A sono poi classificati secondo le loro proteine di superficie, l’emoagglutinina (Ha) e la neuramminidasi (Na): dalle combinazioni di tali proteine derivano le sigle che definiscono i ceppi di ogni epidemia, per esempio H3N2.
L’uomo viene infettato dai sottotipi dell’influenza A, che infettano anche gli animali selvatici che però non si ammalano. Con un processo detto drift antigenico, il virus dell’influenza A muta in modo continuo con piccoli mutamenti genetici; ciò rende inutili gli anticorpi A sviluppati in precedenza e la persona si ammala nuovamente di influenza. Lo shift antigenico è invece un processo più temibile perché con una ricombinazione delle proteine N e H genera un nuovo sottotipo: se la popolazione non è in grado di rispondere immunologicamente al nuovo virus si ha un’epidemia.
Il virus H5N1 uccise già sei persone a Hong Kong nel 1997, propagandosi dal pollame all’uomo. L’eliminazione dei polli nell’area infetta bloccò il diffondersi del contagio.
Il tasso di mortalità di H5N1 è del 70%, ma la stima è fatta su piccoli numeri e può non essere significativa. Il virus produce gravi forme di polmonite, ma per fortuna non si ambienta bene nelle cellule umane.
A metà aprile 2013 si sono contati più di 60 casi di infezione da virus H7N9, la nuova variante dell’influenza aviaria che si sta diffondendo in terra cinese. L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha registrato, nel momento in cui scriviamo, 14 decessi imputabili al nuovo ceppo influenzale.
La domanda che molti si pongono è se esiste un rischio pandemia, domanda alla quale, per adesso, è impossibile rispondere sia perché è passato troppo poco tempo dalla registrazione dei primi casi sia perché, cosa ancora più importante, al momento attuale non esistono prove certe che il virus si trasmetta da un essere umano all’altro.
Il virus H7N9 è un virus influenzale di tipo A e fa parte della famiglia virale H7 (ricordiamo che l’influenza aviaria viene definita come infezione che colpisce i polli provocata da un qualsiasi virus influenzale di tipo A appartenente ai sottotipi H5 e H7).
Nel periodo di tempo intercorso tra l’anno 1996 e l’anno 2012 sono state registrate diverse infezioni a carico di essere umani imputabili a virus appartenenti al sottotipo influenzale H7, per l’esattezza le varianti H7N2, H7N3, H7N7.
L’OMS ha fatto sapere che è la prima volta che un essere umano viene infettato dalla variante influenzale H7N9. Le inevitabili analisi effettuate sui virus isolati dalle persone colpite dal virus hanno evidenziato alcuni mutamenti fra i virus riscontrati sugli uomini e quelli riscontrati sugli animali.
Il periodo di incubazione di questo ceppo virale va dai 5 ai 7 giorni; dal momento in cui si manifestano i primi segni dell’influenza fino ad arrivare alla fase acuta della patologia trascorrono circa 24 ore. I pazienti colpiti dal virus in questione presentano una severa polmonite; la sintomatologia è caratterizzata da difficoltà respiratorie, febbre e tosse.
Trasmissione del virus e dati sulla diffusione – Al momento sembra che la trasmissione del virus avvenga soltanto attraverso il contatto diretto tra animali e non da uomo a uomo (se confermato ciò scongiurerebbe il pericolo di pandemia), ma, dal momento che le analisi genetiche in corso mostrano che il virus sta mutando in modo da adattarsi alle cellule dei mammiferi, non è possibile escludere in maniera categorica che in futuro possa verificarsi una trasmissione da un essere umano all’altro.
A fine marzo le autorità sanitarie cinesi avevano informato l’OMS dell’individuazione di tre casi di influenza aviaria da ceppo virale H7N9. Il 6 aprile (a una settimana cioè dalla comunicazione ufficiale) il numero delle persone interessate dal problema era passato a 18; 6 di queste erano decedute, mentre 10 versavano in gravi condizioni. Il 16 aprile i casi registrati ufficialmente erano i seguenti: 63 infezioni da virus H7N9, ivi compresi 14 decessi.
Cosa fare
- Innanzitutto non spaventarsi per qualunque forma influenzale. Il medico di base e i reparti ospedalieri sono in grado di identificare casi sospetti; con un semplice esame (PCR) in tre ore è possibile individuare l’eventuale contagio da virus dei polli.
- Non esiste nessun caso segnalato di infezione da animale migratore a uomo.
- L’influenza aviaria si contrae per via aerea e NON dagli alimenti perché il virus si inattiva a contatto con il pH acido dello stomaco.
- La precauzione di cuocere gli alimenti deriva dal fatto che a 70 °C il virus muore.
- Nel caso di epidemia le autorità (sanità pubblica, Protezione civile, sanità militare) contrasterebbero la diffusione del virus con farmaci antivirali (oseltamivir, somministrato alle prime avvisaglie della patologia e a chi è in contatto con il malato; Tamiflu è il nome commerciale. Oppure zanamivir, nome commerciale Relenza; non sono invece efficaci l’amantadina e la rimantadina) ed eventualmente con vaccini. Si stima che occorrano 2,5 milioni di dosi per proteggere la percentuale della popolazione a rischio (5%). Da notare che il vaccino è in fase di studio, ma non è ancora pronto (ci vorranno circa 4 mesi di isolamento del virus).
- Non ha senso prendere preventivamente gli antivirali sopraccitati perché il loro impiego preventivo può creare resistenze.
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