L’infarto che si verifica con più frequenza* è l’infarto miocardico acuto (IMA), oggetto di quest’articolo.
L’infarto miocardico acuto (popolarmente noto come attacco di cuore) è uno dei più gravi eventi patologici cardiovascolari e avviene a seguito di un’ischemia acuta che si prolunga per più di quindici-venti minuti e che causa danni permanenti al cuore.
Nel nostro Paese, ogni anno, sono circa 120.000 le persone che vengono colpite da infarto miocardico; una buona parte di esse, circa 25.000, muoiono prima di giungere a una struttura ospedaliera, ma la gran parte dei circa 95.000 infartuati che giungono in ospedale riesce a salvarsi; la mortalità infatti è di circa l’11% e si ritiene che, nel giro di alcuni anni, si riuscirà perlomeno a dimezzarla. Come vedremo più avanti, un fattore decisivo per la sopravvivenza a un attacco di cuore è la tempestività nell’intervento.
Infarto transmurale e infarto intramurale
A seconda della sede dell’infarto e dell’estensione della zona da esso colpita si parla di infarto miocardico transmurale o di infarto miocardico intramurale. Nel primo caso la parete ventricolare è totalmente interessata, mentre in caso di infarto intramurale l’interessamento è solo parziale. L’infarto miocardico intramurale viene sottoclassificato come subendocardico se è prossimo all’endocardio o subpericardico se prossimo al pericardio.
Nel caso che l’infarto non sia particolarmente esteso generalmente non si registrano alterazioni delle altre pareti e la cinesi cardiaca è sostanzialmente invariata. Se, al contrario, l’infarto miocardico è di notevole estensione, il muscolo cardiaco perde parzialmente la sua capacità contrattile e possono esservi alterazioni anche nelle zone che non sono state colpite dall’attacco cardiaco.
Le cause dell’infarto miocardico
Come accennato all’inizio, l’infarto avviene a seguito di un evento acuto (ischemia), la causa principale è generalmente una trombosi (più raramente può essere uno spasmo a livello delle coronarie); tale evento però è la naturale conseguenza di un processo di natura aterosclerotica che colpisce le pareti dei vasi. Possiamo quindi affermare che, nella stragrande maggioranza dei casi, è l’aterosclerosi il processo che, a lungo andare, provoca l’evento acuto.
I fattori di rischio
A peggiorare il quadro indotto dall’aterosclerosi vi sono numerosi fattori di rischio; alcuni di essi non sono modificabili:
- familiarità (il rischio è maggiore in coloro che hanno familiari che sono stati colpiti da infarto, in particolar modo se questi lo hanno subito prima dei 60 anni)
- età (il rischio di infarto ha la tendenza ad aumentare progressivamente con l’avanzare dell’età; maggiore attenzione dovrebbero prestarle gli uomini che hanno più di 45 anni e le donne che hanno superato i 55)
- sesso maschile (gli uomini sono più a rischio delle donne; in queste ultime si registra un sensibile aumento del rischio dopo la menopausa).
Esistono poi fattori di rischio di primo e secondo ordine.
Tra i fattori di rischio di primo ordine ricordiamo i seguenti:
- dislipidemie (tra le quali rivestono notevole importanza l’aumento dei livelli ematici dei trigliceridi – ipertrigliceridemia – e del colesterolo LDL e la riduzione del colesterolo HDL, il cosiddetto colesterolo buono)
- ipertensione arteriosa (pressione alta) (l’ipertensione arteriosa è, fra le altre cose, causa di un superlavoro cardiaco che, alla lunga porta a un progressivo malfunzionamento del cuore con comparsa di scompenso cardiocircolatorio; fra l’altro la pressione alta causa generalmente diversi danni alle arterie accelerando il processo di aterosclerosi)
- diabete mellito (si tratta di una grave patologia che alla lunga danneggia i grandi vasi sanguigni aumentando notevolmente il rischio di infarto cardiaco e di ictus)
- sovrappeso (il sovrappeso è da anni noto come uno dei fattori di rischio più importanti relativamente all’aumento del rischio di patologie cardiovascolari; il rischio risulta maggiore se la massa adiposa che dà luogo all’aumento ponderale è concentrata a livello addominale)
- sindrome metabolica (dai dati presenti in letteratura si scopre che la sindrome metabolica risulta associata a un incremento da 2 a 3 volte del rischio di infarto miocardico acuto)
- fumo (il fumo attivo e quello passivo attivo provocano un danno a carico delle pareti interne delle arterie favorendo sia depositi di colesterolo che di altre sostanze dannose; il fumo inoltre provoca un rallentamento del flusso sanguigno aumentando il rischio di formazioni trombotiche che, loro volta, provocano l’insorgenza d’infarto)
- iperinsulinemia (l’incremento dei livelli di glicemia, indipendentemente dai livelli di insulina, ha un’azione pro-coagulante, mentre l’aumento dei livelli di insulina, indipendentemente dall’incremento dei livelli di glicemia, ha un effetto anti-fibrinolitico; pertanto, in condizioni caratterizzate sia da iperglicemia che da iperinsulinemia il rischio trombotico è significativamente più elevato a causa della maggiore tendenza alla coagulazione del sangue e la minore tendenza alla dissoluzione dei trombi che si sono già formati).
Tra i fattori di rischio di secondo ordine riportiamo i seguenti:
- aumento della lipoproteina (a)
- iperfibrinogenemia
- iperomocisteinemia
- anticorpi antifosfolipidi
- sedentarietà
- stress.
Come riconoscere un infarto: sintomi e segni
Un tempestivo riconoscimento del quadro patologico e una pronta messa in opera delle manovre rianimatorie appropriate fino al trasferimento in ospedale sono infatti fattori essenziali per la sopravvivenza a un attacco di cuore.
I sintomi principali dell’infarto miocardico acuto sono:
- dolore toracico particolarmente intenso fin dall’inizio, simile al dolore provocato dall’angina pectoris; l’intensità non presenta variazioni e spesso dura molto a lungo
- senso di oppressione
- sensazione di pesantezza a livello del torace
- sensazione di bruciore al petto.
Molto spesso il paziente colpito da infarto prova senso di nausea associato a vomito, è agitato, respira con una certa difficoltà (dispnea), ha sudori freddi e accusa senso di svenimento. La frequenza cardiaca risulta aumentata.
Il dolore, spesso, dal petto si irradia anche alle braccia (più spesso al solo braccio sinistro), al collo, alle spalle e anche alla mandibola.
Più raramente il dolore può localizzarsi solo nel braccio destro o nella parte destra del torace o si hanno dolorabilità di tipo diverso da quelle descritte in precedenza, alcuni soggetti avvertono solo problemi di tipo respiratorio e altri riferiscono di sensazioni simili a quelle che si provano durante un’indigestione.
Talvolta, soprattutto nel caso di pazienti anziani o di soggetti affetti da diabete, l’infarto è addirittura silente, non sono rari casi in cui l’infarto viene riscontrato in modo occasionale in seguito a un controllo elettrocardiografico effettuato per altri motivi.

Nel nostro Paese, ogni anno, sono circa 120.000 le persone che vengono colpite da infarto miocardico.
Infarto miocardico e shock cardiogeno
Nei casi più gravi di infarto miocardico più il già pesante quadro clinico viene complicato dal cosiddetto shock cardiogeno che si presenta con cianosi alle estremità, ipotensione e ipotermia, diminuzione della diuresi e confusione mentale; si tratta essenzialmente di una condizione particolarmente grave in cui il flusso sanguigno ai tessuti periferici è inadeguato al mantenimento delle funzioni vitali e che si verifica a seguito di un’insufficiente gittata cardiaca o di una maldistribuzione del flusso periferico.
Cosa fare se si sospetta un infarto cardiaco
Nel caso in cui il dolore anginoso duri più di quindici minuti, il sospetto di un infarto miocardico è sicuramente fondato; a questo punto diventa fondamentale una tempestiva riapertura dell’arteria coronarica occlusa perché quanto più rapidamente si interviene, minori saranno i danni a carico dell’organo cardiaco. Se si sospetta un attacco di cuore non si deve perdere tempo nel contattare il proprio medico di famiglia (ogni minuto diventa preziosissimo nel caso di infarto), ma si deve immediatamente contattare il 118 richiedendo un tempestivo intervento e spiegando nel miglior modo possibile la sintomatologia. Sarà compito degli addetti del 118 trasportare il soggetto in un centro adatto alla riapertura della coronaria occlusa, ovvero in un ospedale che sia dotato di un laboratorio di emodinamica funzionante 24 ore su 24; nei laboratori di emodinamica si esegue un intervento di angioplastica percutanea coronarica primaria, ovvero si effettua la riapertura meccanica della coronaria mediante palloncino. Nel caso in cui la distanza dal laboratorio di emodinamica sia eccessiva e il dolore non sia presente da più di 180 minuti esiste la possibilità di ricorrere alla fibrinolisi, ovvero l’infusione per endovena di un farmaco che può sciogliere il trombo che ha occluso l’arteria. L’intervento fibrinolitico può essere effettuato anche sull’ambulanza a patto che si tratti di un mezzo provvisto di un sistema di trasmissione dell’elettrocardiogramma.
Diagnosi
La diagnosi di infarto, oltre all’osservazione della sintomatologia, richiede generalmente l’esecuzione di un elettrocardiogramma che rileverà alterazioni del tratto ST e delle onde T e Q.
Il quadro elettrocardiografico si modificherà nei giorni successivi all’evento acuto a motivo del progressivo ridursi della lesione ischemica.
Per localizzare con estrema precisione la sede dell’infarto miocardico si ricorre a un esame ecocardiografico, una tecnica diagnostica che permette la visualizzazione delle zone che presentano un’alterazione della cinesi cardiaca.
Altri esami che rivestono una notevole importanza sono quelli relativi al dosaggio dei cosiddetti enzimi cardiaci fra i quali i più utilizzati sono i seguenti:
- troponina I (aumenta entro 6 ore dall’inizio dell’infarto e raggiunge il picco entro un range temporale di 12-24 ore, si normalizza generalmente dopo il sesto giorno dall’evento)
- CK-MB (aumenta entro 6 ore dall’inizio della dolorabilità toracica e raggiunge il picco entro un range temporale di 12-20 ore, si normalizza generalmente entro 36-48 ore)
- LDH (aumenta entro 12 ore dall’inizio dell’infarto e raggiunge il picco entro un range temporale di 24-48 ore; si normalizza dopo circa due settimane dall’evento).
Un altro esame utilizzato in caso di infarto è la scintigrafia miocardica i cui scopi principali sono quelli di valutare la condizione postinfartuale e individuare la presenza di ischemia residua postinfartuale, condizione che aumenta il rischio di successivi eventi di tipo ischemico.
Complicanze
Le complicanze dell’infarto possono essere numerose e notevolmente rischiose; le complicanze più comuni sono:
La terapia dell’infarto miocardico
La terapia ospedaliera dell’infarto cardiaco prevede la defibrillazione, con la quale, mediante una scossa elettrica, si cerca di arrestare la fibrillazione del cuore, la somministrazione di farmaci beta-bloccanti, per contrastare il danno al muscolo cardiaco, la somministrazione di farmaci antiaritmici per regolarizzare il battito. Se la terapia farmacologica non ha effetto, è necessario intervenire chirurgicamente per operare un by-pass coronarico, attraverso il quale, innestando parti di vasi sani, si ripristina l’irrorazione del cuore.
La terapia successiva prevede il trattamento dell’ipertensione arteriosa (pressione alta) e dell’ipercolesterolemia, fattori di rischio notevoli per l’infarto. Nel periodo che segue l’infarto il paziente deve modificare il proprio stile di vita, eliminando il fumo e assumendo una dieta corretta (si legga il nostro articolo Dieta postinfarto). Il recupero di una qualità accettabile della vita dipende dalla tempestività dell’intervento medico e dalla volontà del paziente di abbandonare stili di vita dannosi.
La prevenzione è fondamentale
L’aspetto preventivo rappresenta un capitolo molto importante nel quadro delle patologie cardio-circolatorie. Infatti è stato ormai accertato da numerosi studi e ricerche che esistono alcune condizioni che aumentano, anche di molto, il rischio di infarto al miocardio. Tra essi ricordiamo ancora una volta: il fumo di sigaretta, l’ipertensione arteriosa, l’obesità, la sedentarietà, l’eccessivo tasso di colesterolo e di grassi in genere. Risulta chiaro, quindi, come una vita sana e attiva e un’alimentazione corretta ed equilibrata possano contribuire a prevenire di molto questo tipo di patologie.
Vista la sua importanza, abbiamo dedicato a questo aspetto un articolo a parte: il piano SALVACUORE.
* Il termine infarto indica la necrosi di un tessuto in conseguenza all’arresto del flusso sanguigno arterioso dovuto a occlusione o rottura dell’arteria. La necrosi è di fatto la morte del tessuto cellulare dell’organo interessato dall’infarto o di una parte di esso. Si parla di infarto cardiaco o infarto miocardico, infarto splenico, infarto polmonare ecc. a seconda dell’arteria interessata.
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