La gotta è una patologia dismetabolica caratterizzata da iperuricemia e successivo deposito di cristalli di acido urico nei tessuti periarticolari. La malattia è legata a un disordine del metabolismo dell’acido urico che provoca:
a) iperuricemia da esaltata sintesi di purine (sostanze azotate che possono essere endogene o esogene e il cui catabolismo origina acido urico) con conseguente aumentata produzione di acido urico oppure
b) iperuricemia da ridotta escrezione renale di acido urico.
La gotta è un problema che interessa circa il 2% della popolazione occidentale (in particolare gli uomini; nel 95% dei casi, infatti, sono gli individui di sesso maschile a essere interessati dal problema) e che sta diventando sempre più frequente tant’è che negli ultimi vent’anni i tassi di incidenza sono quasi raddoppiati.
La malattia, che di norma insorge tra i 40 e i 50 anni di età, era nota anche agli antichi ed è stata descritta dai grandi medici greci come Ippocrate e Galeno.
Un tempo, la gotta veniva considerata la malattia dei ceti più abbienti; in effetti, la si definiva pittorescamente come la malattia dei ricchi o anche il re delle malattie e la malattia dei re; la gotta veniva infatti associata a un’alimentazione abbondante e a un notevole consumo di bevande alcoliche, condizioni che erano prerogativa dei ceti sociali più altolocati. In realtà, come vedremo più avanti nel paragrafo Gotta e alimentazione, il ruolo di quest’ultima nella patogenesi della malattia è stato riconsiderato e nettamente ridimensionato. La gotta, in effetti, è una patologia in cui la componente genetica è preponderante e lo stile di vita ha un ruolo più marginale rispetto a quello che esplica in altre malattie.
Si possono distinguere due forme di gotta: gotta primaria (patologia a carattere ereditario che, come accennato in precedenza, interessa prevalentemente i soggetti di sesso maschile) e una gotta secondaria legata a patologie sottostanti (malattie del rene, ipertensione arteriosa, saturnismo, leucemia ecc.).
Segni e sintomi di gotta
La sintomatologia della gotta può essere suddivisa in 4 fasi distinte.
La prima fase è quella asintomatica; nel soggetto, affetto da iperuricemia (ricordiamo che si parla di iperuricemia quando i valori ematici di acido urico superano il range di normalità che variano fra 3,4 e 7 mg/dl per gli uomini e fra 2,4 e 6,5 mg/dl per le donne), iniziano ad accumularsi, nei tessuti periarticolari, cristalli di urato.
La fase successiva è quella acuta; l’accumulo dei depositi provoca a sua volta infiammazioni molto dolorose a livello articolare; oltre al dolore, che può essere acutissimo, si possono riscontrare arrossamenti, gonfiore e vampate di calore; nella stragrande maggioranza dei casi il dolore è localizzato a livello dei piedi e l’articolazione più colpita è quella metatarso-falangea dell’alluce; questa condizione viene spesso definita podagra. Nei soggetti più avanti con gli anni, la dolenzia può presentarsi in modo differente e maggiormente diffusa ad altre articolazioni.
Si entra poi nella cosiddetta fase intermedia in cui il dolore cessa; questa rappresenta una pausa tra un attacco doloroso e l’altro; è comunque bene precisare che, nonostante non si avvertano sintomi di rilievo, persiste l’accumulo di cristalli di urato. Con il procedere della malattia, le fasi intermedie asintomatiche si fanno sempre più brevi.
L’ultima fase, quella cronica, è caratterizzata dalla presenza di una forma di artrite cronica deformante. Inoltre i depositi possono anche formarsi nei reni, causando calcolosi renale, oppure nel tessuto sottocutaneo con la formazione di noduli detti tofi. Le coliche renali legate alla calcolosi possono anche presentarsi senza precedenti sintomi a livello articolare.
La diagnosi
Di norma la gotta può essere diagnosticata piuttosto facilmente nel caso siano presenti iperuricemia e i classici sintomi che caratterizzano la malattia (si noti che la sola presenza di iperuricemia non è sufficiente per porre la diagnosi in quanto la maggior parte dei soggetti con iperuricemia non è affetto da gotta); nel caso in cui si abbiano dubbi è possibile ricorrere all’analisi del liquido sinoviale che dovrebbe evidenziare la presenza di cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale o nei tofi.
Il ricorso ai raggi X riveste scarsa importanza in caso di gotta acuta, ma può rivelarsi utile nell’identificare la gotta cronica. A seconda dei casi è possibile anche il ricorso a tecniche diagnostiche quali la TAC e l’ecografia.
La diagnosi differenziale va posta con l’artrite settica, l’artrite reumatoide e la condrocalcinosi (nota anche come pseudogotta).
Il trattamento della gotta
Il trattamento è basato sostanzialmente sul controllo del metabolismo dell’acido urico. Gli attacchi artritici acuti vanno trattati immobilizzando e ponendo a riposo l’articolazione interessata. Il medico potrà prescrivere l’assunzione di FANS e colchicina, un farmaco che favorisce l’escrezione dell’acido urico e che, per di più, possiede effetti antinfiammatori e analgesici.
Il soggetto colpito da gotta deve sospendere l’eventuale assunzione di farmaci cortisonici, diuretici nonché aspirina e derivati.
L’iperuricemia cronica deve essere trattata con farmaci, come l’allopurinolo, che inibiscono la sintesi dell’acido urico oppure con medicinali che ne favoriscono l’escrezione (i cosiddetti farmaci uricosurici quali il probenecid o il sulfinpirazone); la somministrazione di tali farmaci non deve però essere iniziata qualora sia in corso un attacco acuto della malattia.
Se il medico lo ritiene opportuno, è possibile affiancare alla terapia farmacologica, un regime alimentare che preveda l’eliminazione di alcolici e di alimenti ricchi in purine; ricordiamo però che il ruolo dell’alimentazione nella gotta non deve essere sopravvalutato.
È consigliabile, al fine di prevenire la formazione di calcoli renali, che il soggetto colpito da gotta consumi adeguate quantità di acqua.
Gotta e alimentazione
Come già accennato nel paragrafo iniziale, il ruolo dell’alimentazione e in particolare di alcune sostanze (alcol, purine, fruttosio ecc.) nella patogenesi della gotta è sempre stato esagerato. Ippocrate descriveva la malattia l’artrite dei ricchi, in contrapposizione al reumatismo, che chiamava artrite dei poveri. Egli infatti aveva messo in relazione la gotta con la dieta di chi poteva permettersi di mangiare carne tutti i giorni. Tuttavia la relazione tra gotta e alimentazione non è mai stata provata da studi scientifici.

Il ruolo dell’alimentazione e in particolare di alcune sostanze come l’alcol nella patogenesi della gotta è sempre stato sopravvalutato.
Stranamente esistono anche poche ricerche che si sono orientate in tal senso. Probabilmente perché a livello medico basta una banale considerazione che a livello generale sfugge ai più: se un soggetto è estremamente carente di vitamina B1 è vittima del beri beri e ciò accade a tutti. Invece moltissimi soggetti che seguono regimi alimentari a rischio di gotta ne sono perfettamente immuni. Sembra cioè che nella gotta l’astensione da certi cibi sia piuttosto un rimedio della nonna che un consiglio basato su solide basi scientifiche. Inoltre i vari elenchi di alimenti proibiti spesso si contraddicono e la loro intersezione possiede pochissimi alimenti comuni (per esempio l’alcol, vedasi la parte finale sullo stile di vita).
Un altro dato statistico riguarda il fatto che, nei paesi industrializzati, la gotta colpisce un soggetto su 30, ma gli uomini sono colpiti quattro volte più delle donne. E in tali paesi non esiste una significativa differenza alimentare fra uomini e donne.
Una ricerca relativamente recente pubblicata sul The New England Journal of Medicine, frutto di 12 anni di osservazione (quasi 50.000 soggetti) non ha confermato le raccomandazioni precedenti: è stato osservato un aumento del rischio del 21% per ogni portata di carne consumata in più al giorno e un 7% per ogni portata di pesce. Come dire: se il rischio con un piatto a base di carne al giorno è del 3,3% (1 soggetto colpito su 30), con due piatti di carne passa al 4%. Correttamente gli autori hanno trovato che non tutte le purine (precedentemente ritenute responsabili degli attacchi di gotta) sono dannose. Molte carni bianche, le proteine vegetali (prima messe sotto accusa), le uova e i formaggi magri sono stati assolta dalla ricerca (anzi, il latte sembra contrastare la patologia). Rimarrebbero invece incriminati fegato, rognone, cuore, aringa, sgombro, acciuga e trota.
Basta leggere l’elenco per capire che, se un ammalato di gotta fa bene a toglierli dalla propria dieta, sicuramente non possono essere la causa della patologia perché, tranne rarissime eccezioni, nessuno si alimenta in modo continuo con tali alimenti. Qual è allora la vera relazione fra alimentazione e gotta?
Moltissime ricerche rilevano che l’iperuricemia è spesso associata a:
- obesità
- un valore elevato di trigliceridi
- diabete mellito
- ipertensione arteriosa
- poliglobulia.
Come nel caso del colesterolo, si può quindi supporre un percorso di questo tipo:
cattivo stile di vita –> cattiva alimentazione –> gotta.
Non sarebbe pertanto corretto associare il consumo di certi cibi alla gotta, quanto le cattive abitudini alimentari che esaltano il ruolo di questi ultimi (questi cibi sarebbero la goccia che fa traboccare il vaso). Anche la gotta è il classico esempio di come sia ragionevole la posizione della dieta italiana che rileva come non esistano cibi buoni o cibi cattivi, ma è l’abuso di essi che crea i problemi. Infatti il semplice vincolo del sovrappeso limita ogni eccesso (regola num. 1).
Anziché eliminare dalla dieta alcuni cibi (peraltro dopo la ricerca inglese l’elenco è diventato abbastanza limitato) non è più opportuno cambiare stile di vita optando per un regime ipocalorico e una sana attività sportiva? Ulteriori informazioni sono reperibili su Dieta per l’iperuricemia e la gotta.
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