Con fuoco di sant’Antonio si fa riferimento a una patologia, l’herpes zoster, di tipo cutaneo-nervoso che viene provocata dall’herpes virus umano 3 (anche virus varicella-zoster), l’herpesvirus che è anche responsabile della varicella.
Tecnicamente, l’herpes zoster viene anche definito ganglioradicolite posteriore acuta (o ganglioradicolite posteriore zosteriana). Il termine zoster è di origine greca e significa cintura.
Nota – Più raramente il fuoco di sant’Antonio è indicato con espressioni quali fiamme di Satana o varicella degli adulti.
Fuoco di Sant’Antonio: una patologia diffusa
L’incidenza del fuoco di Sant’Antonio presenta dati simili pressoché in tutto il mondo ed è correlata con l’età; interessa annualmente circa 2-3 persone ogni 1.000 nell’arco di età compreso tra i 20 e i 50 anni; si registrano invece 5 casi ogni 1.000 persone nella sesta decade di età; i casi passano a 7 nel periodo relativo alla settima e all’ottava decade; il picco viene registrato nei soggetti di età compresa fra i 75 e i 79 anni.
Mediamente, circa il 25% delle persone sviluppa il fuoco di Sant’Antonio nel corso della propria esistenza e la patologia interessa circa il 50% delle persone che raggiungono gli 85 anni di età.
Generalmente si registra un solo episodio di fuoco di Sant’Antonio nel corso della vita di una persona, ma le probabilità che si possano registrare più episodi non è nulla; questa possibilità è più frequente nelle persone immunocompromesse, ma non è impossibile nemmeno in quelle immunocompetenti (ovvero, detto un po’ grossolanamente, che hanno un sistema immunitario che risulta integro in tutte le sue parti).
Per quanto riguarda il nostro Paese, stime recenti indicano che il fuoco di Sant’Antonio interessi annualmente poco meno di 160.000 persone.
In Italia si stimano circa 157.000 nuovi casi di fuoco di Sant’Antonio ogni anno. In Italia nel periodo 1999-2005 vi furono 35.328 ospedalizzazioni, la maggior parte di queste coinvolse soggetti di età superiore a 65 anni, con una durata media di 8 giorni e un totale di oltre 22 mila giornate di degenza all’anno.
Fuoco di Sant’Antonio – Cause
Nella quasi totalità dei casi la patologia è dovuta alla riattivazione endogena del sopracitato herpes virus che rimane latente nell’organismo dopo l’infezione primaria varicellosa.
Il virus della varicella non viene eliminato dall’organismo, esso rimane generalmente latente per tutto il corso della vita nelle cellule dei gangli delle radici nervose spinali e in un certo numero di casi (circa 10-20%) il virus si risveglia, generalmente dopo i cinquanta anni di età e provoca il fuoco di Sant’Antonio. I soggetti che non si sono mai ammalati di varicella sono immuni dal fuoco di Sant’Antonio.
Fu un pediatra ungherese, James Bokay, nel 1892, il primo che intuì la relazione tra varicella e fuoco di Sant’Antonio dopo che aver osservato che diversi bambini avevano contratto la varicella dopo essere stati a contatto con persone adulte affette da fuoco di Sant’Antonio. Fu solo molti anni dopo però che si capì che il fuoco di Sant’Antonio era la conseguenza della riattivazione del virus della varicella contratto precedentemente, generalmente nei primi anni d’infanzia.
Nel corso degli anni il virus attraversa periodi in cui si verifica la sua riattivazione, ma il soggetto non avverte alcuna sintomatologia; ciò avviene perché, negli individui sani, la risposta immunitaria è sufficiente a neutralizzare l’attacco virale, generalmente blando; nel soggetto si ha cioè una sorta di equilibrio fra la virulenza del virus e la capacità immunitaria dell’organismo ospite. Il problema si verifica però quando questo equilibrio viene a mancare perché le difese immunitarie del soggetto scendono al di sotto di un determinato livello; in questi casi il virus è in grado di moltiplicarsi, diffondersi e dare luogo alla tipica sintomatologia.
Il motivo per cui tale il livello delle difese immunitarie decresce può essere conseguente a fattori di tipo fisiologico (con l’invecchiamento le difese immunitarie sono meno efficienti), di tipo patologico (per esempio le patologie che coinvolgono pesantemente il sistema immunitario) oppure di tipo iatrogeno (ne sono un esempio le terapie a lungo termine effettuate con corticosteroidi oppure quelle effettuate con farmaci immunosoppressori).
Un altro fattore scatenante la patologia è rappresentato dall’intensiva esposizione ai raggi solari.
Da quanto sopra riportato si intuisce perché il fuoco di Sant’Antonio colpisce generalmente i soggetti adulti (anche se l’incidenza nei bambini, per quanto bassissima, non è nulla), in particolar modo le persone anziane e i soggetti affetti da patologie quali linfomi, neoplasie, emopatie e coloro in cui è presente un deficit dell’immunità cellulo-mediata (l’immunità cellulo-mediata è una risposta da parte del sistema immunitario che non coinvolge gli anticorpi) come nel caso, per esempio, delle persone che HIV positive o che si sottopongono a trattamenti immunodepressivi.
Non esistono fattori predisponenti alla patologia legati alla razza (anche se alcuni autori ritengono che la razza bianca presenti un rischio lievemente maggiore di contrarre la patologia) o al sesso.
Forme di herpes zoster
Sono numerose le forme di herpes zoster e generalmente vengono classificate in base al dermatomero interessato dalla riattivazione del virus herpetico (il dermatomero è la zona cutanea che è innervata da una singola radice spinale posteriore).
Tutti i dermatomeri possono essere interessati dalla patologia; la forma più frequente (e anche la più facilmente riconoscibile) è l’herpes zoster intercostale. Altre forme di herpes zoster sono le seguenti:
- herpes zoster cervicale
- herpes zoster lombo-femorale
- herpes zoster lombo-inguinale
- herpes zoster dei segmenti sacrali
- herpes zoster dei nervi cranici (la forma più grave è l’herpes zoster oftalmico)
- herpes zoster del ganglio genicolato (la causa della cosiddetta sindrome di Ramsay-Hunt)
- zoster sine herpete (ovvero zoster senza eruzione, una forma rara che può essere difficile da diagnosticare).
L’herpes zoster intercostale rappresenta circa il 50% dei casi di fuoco di Sant’Antonio; l’herpes zoster cervicale è una delle forme più frequenti dal momento che rappresenta circa il 15% della totalità dei casi; l’herpes zoster lombo-femorale è più raro e si diffonde lungo i fasci nervosi presenti nella zona femorale; l’herpes zoster lombo-inguinale, che interessa inguine e zone circostanti, è un’altra forma piuttosto rara, ma che si caratterizza per il notevole fastidio che può recare; l’herpes zoster dei segmenti sacrali si sviluppa attorno alla zona sacrale ed è relativamente frequente, rappresentando circa il 5% dei casi della patologia; l’herpes zoster dei nervi cranici è una forma molto insidiosa e può essere causa di lesioni particolarmente gravi alla fronte, alle palpebre e anche alla retina (distacco).
L’herpes zoster del ganglio genicolato è una forma particolarmente insidiosa nella quale si registrano un dolore all’orecchio che talvolta può essere insopportabile nonché paralisi facciale nel lato interessato dalla patologia; nel canale uditivo esterno dell’orecchio si ha un’eruzione vescicolare e si registra la perdita del gusto nei due terzi anteriori della lingua.
Lo zoster sine herpete, come detto, è una forma particolare che pone problemi diagnostici; la diagnosi differenziale, a seconda della zona dolente, va posta con appendicite, colecistite, colica renale, embolia polmonare e infarto del miocardio.

Mediamente, circa il 25% delle persone sviluppa il fuoco di Sant’Antonio (herpes zoster) nel corso della propria esistenza e la patologia interessa circa il 50% delle persone che raggiungono gli 85 anni di età.
Fuoco di Sant’Antonio – Sintomi e segni
Il fuoco di Sant’Antonio è caratterizzato da un’eruzione vescicolare molto dolorosa localizzata a livello di un singolo dermatomero tant’è che alcuni autori definiscono tale patologia come “varicella di un singolo dermatomero”.
In alcuni casi l’eruzione cutanea è preceduta da febbre, astenia, cefalea e senso di malessere generale. In altri casi si registra anche adenopatia. Nell’herpes zoster intercostale, la forma che si registra più frequentemente, l’eruzione si distribuisce monolateralmente a livello toracico, lungo le coste; la forma dell’eruzione ricorda una cintura (da qui il termine greco corrispondente). Le chiazze eritematose si trasformano nel giro di breve tempo in maculo-papule che, a loro volta, si trasformano in vescicole dal colore chiaro che successivamente diventeranno delle croste. L’eruzione cutanea è, come detto, associata a un dolore che in alcuni casi può essere talmente intenso da impedire addirittura al soggetto di addormentarsi.
In alcuni punti della zona interessata dall’eruzione cutanea possono registrarsi fenomeni, più o meno accentuati, di ipostesia.
Il fuoco di Sant’Antonio guarisce generalmente nell’arco di tre o quattro settimane; le recidive sono rare, ma pur sempre possibili (si è osservato, come già accennato in precedenza, che circa il 5% dei soggetti colpiti da fuoco di Sant’Antonio va incontro a un altro episodio della patologia durante il corso della sua esistenza; in un soggetto immunocompetente, il verificarsi di più di due episodi di fuoco di Sant’Antonio nel corso della propria vita è da considerarsi un evento eccezionale).
Complicanze
Non è detto che una volta scomparse le croste, il dolore cessi; una delle complicanze più frequenti del fuoco di Sant’Antonio, infatti, è la cosiddetta nevralgia post-erpetica; il dolore tipico della patologia può perdurare per lunghi periodi di tempo, mesi o addirittura anni; in alcuni casi il dolore può avere effetti invalidanti. Il permanere del dolore è probabilmente da ricercarsi nel persistere di un processo infettivo produttivo a basso livello nei gangli nervosi. Altre complicazioni da fuoco di Sant’Antonio registrate abbastanza comunemente sono il prurito cronico nella zona interessata e la sovrinfezione batterica delle vescicole.
Le complicazioni a livello di sistema nervoso centrale sono rare, ma non sono da escludere a priori.
Diagnosi
La diagnosi di fuoco di Sant’Antonio, una volta che la patologia si è manifestata con l’eruzione, è generalmente molto facile (fatta eccezione per la forma sine herpete) ed è quasi sempre sufficiente l’esame clinico; è molto poco frequente il ricorso a indagini sierologiche o virologiche (che sono le stesse che sono utilizzate per diagnosticare la varicella) che vengono riservate ai casi sospetti.
Nel caso si sospetti una forma sine herpete si prescrive, utilizzando il cosiddetto criterio ex-adjuvantibus, un’applicazione di soluzione a base di acido acetilsalicilico ed etere etilico; se il soggetto presenta miglioramenti, ci sono buone probabilità di trovarsi di fronte a una forma di zoster sine herpete.
La diagnosi differenziale si pone con diverse altre patologie o condizioni fra le quali si ricordano gli esantemi virali, l’eritema multiforme, l’orticaria papulosa, le eruzioni da medicinali, la dermatite erpetiforme, la dermatite da contatto ecc.
Diverso è il caso della forma zoster sine herpete che può essere inizialmente scambiata, come detto nel paragrafo relativo alle varie forme di herpes zoster, con patologie quali infarto miocardico, appendicite ecc.
Fuoco di Sant’Antonio – Cure
Come già accennato in precedenza, nei soggetti non immunodepressi il fuoco di Sant’Antonio guarisce generalmente nel giro di tre o quattro settimane.
Gli scopi delle cure sono quelli di ridurre la replicazione del virus, limitare l’estensione dell’eruzione vescicolare, ridurre gravità e durata della patologia, scongiurare la diffusione del processo infettivo ad altre zone del sistema nervoso e tentare di prevenire la nevralgia post-erpetica.
La cura del fuoco di Sant’Antonio si basa sulla somministrazione di farmaci ad azione antivirale; uno dei principi attivi più utilizzati è l’aciclovir (800 mg) che generalmente viene somministrato 5 volte pro die per via orale per circa una settimana (nei soggetti immunodepressi la somministrazione viene generalmente effettuata per via endovenosa); altri farmaci antivirali usati in caso di fuoco di Sant’Antonio sono il valaciclovir, il famciclovir, la citarabina e la brivudina.
Per il trattamento del dolore durante la fase acuta della patologia sono utilizzati farmaci antinfiammatori non steroidei, oppioidi, gli antidepressivi triciclici (in particolare l’amitriptilina; la somministrazione di questi farmaci viene ordinata soprattutto quando il dolore è bruciante e persistente) e il gabapentin.
In alcuni casi vengono prescritti farmaci antiepilettici; servono a regolarizzare l’anomala attività elettrica del sistema nervoso provocata dal danneggiamento dei nervi; di norma vengono prescritti a coloro che avvertono il dolore a fitte.
Si ipotizza che i farmaci antidepressivi triciclici e il gabapentin possano svolgere anche un’azione preventiva nei confronti della temuta nevralgia post-erpetica. L’utilizzo di farmaci corticosteroidi per ridurre la risposta infiammatoria non trova concordi tutti gli autori. Anche per quest’ultimo tipo di farmaci si ipotizza un’azione preventiva nei confronti della nevralgia post-erpetica.
Fra le cure prescritte vi sono anche le terapie topiche, ovvero pomate e cerotti utilizzati sulla parte interessata dall’eruzione vescicolare e dal dolore. Fra i rimedi maggiormente usati vi sono pomate alla capsaicina, soluzione a base di etere etilico e acido acetilsalicilico e cerotti o pomate a base di lidocaina.
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