La fibrillazione atriale (FA) è una delle varie forme di tachicardia, fa quindi parte delle cosiddette aritmie cardiache.
La fibrillazione atriale è una patologia caratterizzata dal fatto che l’attività elettrica degli atrii è anomala, rapida e inefficace dal punto di vista meccanico (la contrazione degli atrii non si svolge ritmicamente e non vi è coordinazione con l’attività ventricolare).
In presenza di fibrillazione atriale il battito cardiaco è totalmente irregolare. Come detto, gli atrii pulsano molto rapidamente (300-600 bpm). Poiché non tutti i battiti passano attraverso il nodo atrioventricolare (ossia il regolatore degli impulsi tra atrii e ventricoli), i ventricoli finiscono per pulsare in modo irregolare a una velocità di 80-160 bpm.
Fra tutte le aritmie cardiache, la fibrillazione atriale è sicuramente la più comune e peraltro molti autori sostengono che le stime presenti in letteratura sottodimensionino il problema; nella popolazione adulta l’incidenza percentuale è di circa l’1-2%, ma ha la tendenza ad aumentare con l’innalzarsi dell’età (è presente nel 6% circa della popolazione di età superiore ai 60 anni).
La fibrillazione atriale è un evento che si ritrova molto spesso in soggetti affetti da altre malattie relative all’apparato cardiocircolatorio (ipertensione arteriosa, patologie coronariche e valvolari). Come facilmente si può immaginare il suo impatto socio-economico è notevole.
Fibrillazione atriale: l’impatto sulla qualità della vita
La fibrillazione atriale è un tipo di aritmia cardiaca può significativamente incrementare il rischio di complicazioni a livello cardiovascolare e può rappresentare una causa di diminuzione della sopravvivenza a lungo termine. Ovviamente le conseguenze dovute alla diminuzione della funzionalità meccanica atriale sono variabili da soggetto a soggetto; se non sono presenti cardiopatie, una fibrillazione atriale parossistica (vedasi più avanti), al di là della fastidiosa sensazione di palpitazione cardiaca, non crea particolari problemi ed è quindi ben tollerata dal soggetto che ne risulta colpito. Quando invece sono presenti cardiopatie di altro genere, l’insorgere di una fibrillazione atriale è quasi sempre causa di un rapido peggioramento del quadro clinico.
La perdita di efficienza contrattile cardiaca provoca una diminuzione della velocità sanguigna nelle camere atriali di destra e di sinistra; tale diminuzione favorisce la formazione di trombi che, nel caso entrino in circolo possono provocare embolia polmonare, ictus, infarto intestinale, infarto renale ecc. È per questa ragione questo motivo che, generalmente, i soggetti sofferenti di fibrillazione atriale seguono una terapia a base di farmaci anticoagulanti.
Tipologie
Una pratica suddivisione della fibrillazione atriale, che fa riferimento alla sua durata e alle modalità di insorgenza, è quella che la distingue in:
- fibrillazione atriale cronica (ovvero stabile nel tempo)
- fibrillazione atriale persistente (episodi prolungati nel tempo e che necessitano di un intervento di tipo medico per essere risolti)
- fibrillazione atriale parossistica (episodi di breve durata che si risolvono spontaneamente).
Con fibrillazione atriale cronica si fa riferimento a una condizione caratterizzata dalla manifestazione stabile nel tempo di episodi di aritmia legati a una patologia preesistente; determinate malattie, in particolar modo quelle cardiache, hanno fra le loro conseguenze l’insorgenza di una fibrillazione atriale il cui trattamento non risolve il problema sottostante.
La fibrillazione atriale persistente è caratterizzata dall’insorgenza di episodi di fibrillazione che hanno una durata prolungata (superiore ai sette giorni) e che necessitano di specifici interventi medici per essere risolti.
Nelle forme cronica e persistente, la frequenza cardiaca è generalmente compresa tra i 100 e i 140 battiti per minuto.
La parossistica è, delle tre, la forma meno grave; l’aggettivo che qualifica questa tipologia di fibrillazione fa riferimento al fatto che essa insorge in modo improvviso.
Diversamente dalle altre forme di fibrillazione atriale, quella parossistica si caratterizza per la frequenza cardiaca elevata (generalmente sempre superiore ai 140 bpm), per il fatto di non essere legata ad altre condizioni patologiche (cardiache e no) e per la sua transitorietà; di norma gli episodi sono di breve durata e comunque raramente superano le 48 ore.
Fibrillazione atriale – Cause
Le cause della fibrillazione atriale sono molteplici. Essa può essere la conseguenza di problematiche a livello cardiovascolare e no come per esempio le valvulopatie, le cardiomiopatie, le miocarditi, cardiopatie di tipo congenito, l’infarto del miocardio, l’ipertensione arteriosa, patologie tiroidee (in genere ipertiroidismo), l’embolia polmonare, l’ernia iatale, il reflusso gastroesofageo, l’obesità, alcune patologie respiratorie ecc.; può inoltre avere cause di tipo iatrogeno (ovvero essere provocata dall’assunzione di determinati farmaci) o essere dovuta a un eccessivo consumo di bevande alcoliche, ma anche all’abuso di caffeina o sostanze stupefacenti. In alcuni casi non si riesce a individuare la causa e si parla quindi di fibrillazione atriale idiopatica.
Fibrillazione atriale – Sintomi
La fibrillazione atriale può essere asintomatica. Se presenti, i sintomi principali consistono in palpitazioni, dolori toracici provocati dal ridotto afflusso di sangue, senso di oppressione sempre a livello toracico, angina pectoris, dispnea (difficoltà nella respirazione), sensazione di affaticamento, vertigini e sensazione di svenimento; spesso è presente anche ansia e alcuni soggetti riferiscono poliuria (produzione di abbondante quantità di urina associata a un aumento della frequenza della minzione).
Diagnosi
La diagnosi può essere più o meno complessa. Non è per esempio semplice diagnosticare la fibrillazione atriale parossistica perché tali episodi non hanno quasi mai una durata particolarmente lunga e in alcuni casi il soggetto la percepisce blandamente e non dà all’episodio alcun peso. Se invece siamo di fronte a fibrillazione atriale persistente o cronica la diagnosi può essere posta più agevolmente.
In alcuni casi la fibrillazione atriale può essere diagnosticata con la semplice auscultazione cardiaca.
Tra i test diagnostici che possono essere effettuati i più comuni sono i seguenti: misurazione del polso (valutazione di polso arterioso – effettuata sull’arteria radiale, serve ad avere informazioni su frequenza e regolarità del ritmo del cuore – e valutazione di polso venoso giugulare – fornisce informazioni sul livello di pressione venosa -), elettrocardiogramma (un esame che serve a rilevare l’attività elettrica cardiaca); registrazione ECG Holter (registrazione elettrocardiografica che dura 24 ore molto utile nel rilevare la presenza di aritmie); radiografia toracica (esame che consente la valutazione di dimensioni, forma e struttura del cuore oltre che dei polmoni); test ematologici (si eseguono quelli che possono indicare la presenza di uno squilibrio che potrebbe essere alla base della fibrillazione atriale); prova da sforzo (test che permette di valutare il comportamento del muscolo cardiaco quando si trova sotto sforzo e di verificare un’eventuale comparsa di aritmie); ecocardiogramma transtoracico (un’ecografia che consente di esaminare sia il cuore sia i cosiddetti grossi vasi); ecocardiogramma transesofageo (esame che a differenza del precedente viene eseguito “dall’interno” e che fornisce dettagli molto particolareggiati); studio elettrofisiologico endocavitario (esame che, attraverso delle sonde, consente la registrazione dell’attività elettrica cardiaca).
Fibrillazione atriale – Terapia
Durante una fase acuta di fibrillazione atriale sono due gli obiettivi principali del trattamento: il controllo della frequenza cardiaca e il ripristino del ritmo sinusale. I trattamenti possono variare a seconda tipologia di fibrillazione e anche in base alle condizioni generali di salute del soggetto.
Trattamento in caso di fibrillazione atriale parossistica – In un soggetto sano, vittima di fibrillazione atriale parossistica, trascorse poche ore dalla fase acuta, il ripristino del ritmo sinusale è spontaneo in più della metà dei casi (60% circa); si parla, in tali evenienze, di cardioversione spontanea. In assenza di cardioversione spontanea è possibile tentare un intervento di cardioversione farmacologica; si utilizzano a tale scopo farmaci ad azione antiaritmica come per esempio l’amiodarone, il dronedarone, il sotalolo o il propafenone. Per approfondire si consulti il nostro articolo Cardioversione dove si spiegano nel dettaglio le due tipologie.
Trattamento in caso di fibrillazione atriale in soggetto cardiopatico senza insufficienza cardiaca – In prima battuta si può tentare un intervento di tipo farmacologico con farmaci antiaritmici (amiodarone, propafenone ecc.); se il trattamento farmacologico non sortisce gli effetti sperati si deve prendere in considerazione un intervento di cardioversione elettrica. Per evitare un distacco di trombi dagli atrii (con la possibilità che si formino emboli) è opportuno far precedere l’intervento di cardioversione da un trattamento anticoagulante (per esempio somministrando eparina).
Trattamento in caso di fibrillazione atriale in soggetto cardiopatico con insufficienza cardiaca – In questi casi il ripristino del normale ritmo sinusale viene tentato attraverso la cardioversione elettrica esterna; praticamente, attraverso un’apposita apparecchiatura che viene posizionata sopra il torace, si provvede all’erogazione di una scossa elettrica. La procedura è solitamente efficace, ma non è indolore ed è quindi necessario che il paziente sia sottoposto ad anestesia generale.
Trattamento in caso di fibrillazione cronica – La terapia si basa sull’utilizzo di farmaci quali la digitale o i betabloccanti; essendo sempre presente il rischio di embolie, il paziente dovrà assumere anche farmaci ad azione anticoagulante.
In determinati soggetti affetti da fibrillazione atriale cronica a bassa frequenza è possibile intervenire attraverso l’impianto definitivo di pacemaker. Per approfondire quest’ultimo punto si consulti il nostro articolo Pacemaker.
Un altro tipo di intervento in certi casi di fibrillazione atriale cronica è l’ablazione transcatetere con radiofrequenza. Con l’ablazione transcatetere si procede con la “distruzione” di una piccolissima parte di tessuto cardiaco che si ritiene essere alla base dell’insorgenza del fenomeno aritmico. L’intervento viene eseguito attraverso l’introduzione di un catetere nelle cavità cardiache; tale catetere (detto catetere ablatore) viene messo a contatto con la porzione di tessuto da rimuovere; l’erogazione di energia a radiofrequenze provoca un riscaldamento della punta del catetere (65 °C al massimo); il calore generato porta alla distruzione la parte di tessuto responsabile dell’insorgere dell’aritmia. La percentuale successo di questo tipo di trattamento non è minimale, ma, secondo molti autori, non può definirsi “esaltante” (60%). Il trattamento non è scevro da complicazioni anche severe.
Un tipo di trattamento un tempo usato più raramente, ma che adesso sembra riscuotere maggiori consensi, è la crioablazione cardiaca; questo tipo di metodica distrugge la parte di tessuto responsabile dell’aritmia tramite il raffreddamento (la temperatura arriva a -70 °C). La differenza sostanziale con l’ablazione transcatetere con radiofrequenza è che tramite la crioablazione si determina una necrosi tissutale “gelando” l’acqua intracellulare e rompendo le proteine citoplasmatiche e nucleare, mentre con la radiofrequenza si bruciano le cellule causando una necrosi coagulativa. La crioablazione cardiaca sembra determinare lesioni più demarcate e meno trombogene rispetto a quelle determinate dall’ablazione transcatetere con radiofrequenza. La degenza ospedaliera dopo un intervento di ablazione non è particolarmente lunga (2 o 3 giorni al massimo se non sorgono complicazioni).
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