L’epicondilite è una delle patologie più frequenti che interessano l’articolazione del gomito. Si tratta di un processo infiammatorio che interessa l’inserzione dei muscoli epicondilei sull’epicondilo, una sporgenza dell’estremità inferiore esterna dell’omero; è quindi una tendinopatia inserzionale. I muscoli epicondilei, estensori dell’avambraccio, sono quelli che permettono di sollevare la mano e il polso e consentono inoltre il piegamento all’indietro delle dita. L’articolazione del gomito che può venire colpita dall’epicondilite è posizionata tra l’omero e il radio; talvolta viene quindi definita come epicondilite omerale oppure epicondilite radiale. Altre definizioni (epicondilite laterale, epicondilite mediale o epicondilite posteriore) sono legate ai muscoli interessati dal processo infiammatorio. Molti considerano l’epicondilite come una patologia prettamente sportiva, non a caso viene popolarmente definita come gomito del tennista – epicondilite laterale – (alcuni fonti parlano anche di gomito del motociclista) o, seppur più raramente, gomito del golfista – epicondilite mediale o epicondilite posteriore -, ma, in realtà, si tratta di un disturbo che riguarda anche soggetti, non necessariamente praticanti attività sportive, che usano ripetutamente i tendini del gomito per esigenze di tipo professionale (barbieri, carpentieri, dattilografi, elettricisti, imbianchini, lanciatori, muratori, operatori ai videoterminali, pianisti, pittori, violinisti, sarti ecc.).
L’epicondilite viene considerata una overuse syndrome ovvero una sindrome da sovraccarico funzionale; con tale terminologia si identificano quelle patologie dei tessuti molli articolari dovute alla ripetitività quotidiana, per lunghi periodi di tempo, di determinati movimenti (tipici esempi sono la sindrome del tunnel radiale, la sindrome del tunnel carpale o la tendinite del rotuleo, patologia quest’ultima popolarmente nota come ginocchio del saltatore).
Il periodo di massima insorgenza dell’epicondilite è quello compreso tra i 30 e i 50 anni di età.
Classificazione
Vi sono molti modi di classificare l’epicondilite. Una delle più usate è quella relativa agli stadi anatomo-patologici della malattia. In base a questa classificazione si distinguono quattro stadi:
Stadio 1: il danno è di tipo infiammatorio. Non sono presenti alterazioni istologicamente interessanti. In questo stadio si avverte dolore quando si svolgono attività abbastanza intense; la dolenzia scompare totalmente con il riposo e la terapia antinfiammatoria.
Stadio 2: è presente una degenerazione angiofibroblastica. Il dolore compare anche con attività blandamente intense; non necessariamente la dolenzia scompare con il riposo; la risposta alla terapia antinfiammatoria non è sempre ottimale.
Stadio 3: si è in presenza di degenerazione patologica e notevole estensione angiofibroblastica. Il dolore è molto intenso, tanto da impedire, molto spesso, lo svolgimento delle normali attività lavorative o sportive.
Stadio 4: sono presenti aree fibrotiche e calcificazioni. La terapia conservativa è priva di qualsiasi efficacia e si richiede un approccio terapeutico importante.
Epicondilite – Cause
Nel corso degli anni (la condizione fu descritta la prima volta nel 1873*) sono state fatte molteplici ipotesi relativamente all’eziopatogenesi dell’epicondilite. Ancora oggi non si è raggiunta uniformità di vedute al riguardo; attualmente l’ipotesi più accreditata è quella di tipo “meccanico”; si ritiene cioè che l’epicondilite sia scatenata da ipersollecitazioni funzionali dei muscoli deputati all’estensione del polso in attività in cui è necessario ripetere determinati movimenti che, a lungo termine, provocherebbero dei microtraumi lacerativi a livello tendineo; tale quadro sarebbe peggiorato dall’invecchiamento fisiologico del tessuto tendineo, da errori tecnici nell’esecuzione dei movimenti ripetitivi e da una predisposizione di tipo individuale.
Epicondilite – Sintomi e segni
Il sintomo principale dell’epicondilite è rappresentato da un dolore nella zona laterale del gomito, dolore irradiato talvolta lungo il bordo radiale dell’avambraccio e che si acutizza quando si compiono movimenti di estensione o supinazione.
Talvolta il soggetto affetto da epicondilite avverte una sensazione di debolezza del braccio, anche se gli sforzi compiuti sono minimi e i movimenti sono abbastanza semplici. Nelle fasi iniziali, la patologia viene spesso sottovalutata perché la dolenzia provata è veramente molto modesta (talvolta il soggetto avverte un leggero dolore quando compie banali movimenti come il girare una maniglia o dare una stretta di mano); questa sottovalutazione è spesso causa di problemi futuri sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista riabilitativo dal momento che più il quadro peggiora tanto più si allungheranno i tempi di guarigione.
Diagnosi
Nella stragrande maggioranza dei casi, per formulare la diagnosi di epicondilite è sufficiente il solo esame obiettivo. Dopo la valutazione anamnestica, lo specialista procede con la pressopalpazione della parte interessata per accertarsi della provenienza del dolore; in qualche raro caso si riscontra una modesta tumefazione a livello locale.
In seguito, il paziente dovrà effettuare alcuni movimenti utili alla conferma della diagnosi come, per esempio, il test di Cozen (a gomito esteso si avverte dolore all’estensione contro resistenza di polso e dita a gomito flesso), il test di Maudsley (si avverte dolore all’estensione contro resistenza del dito medio), la manovra di Mills (si avverte dolore alla pronazione forzata con il polso flesso e il gomito esteso) e il test di Solveborn (si avverte dolore sollevando una sedia per lo schienale avendo il gomito in estensione, l’avambraccio in pronazione e il polso in dorso-flessione).
Sebbene l’esame obiettivo sia, come detto, sufficiente nel porre la diagnosi di epicondilite, generalmente il medico richiede una radiografia allo scopo di evidenziare l’eventuale presenza di calcificazioni a livello dell’epicondilo e per escludere alterazioni di tipo scheletrico a carico della testa radiale.
Talvolta gli esami strumentali vengono richiesti per escludere patologie che possono scatenare una sintomatologia simile a quella dell’epicondilite (artrosi cervicale, patologie articolari, sindrome del tunnel carpale, tendinite della cuffia dei rotatori ecc.).
Epicondilite – Cura
In letteratura sono descritti molti tipi di approccio terapeutico all’epicondilite. Non vi sono evidenze scientifiche che dimostrino una netta superiorità di un metodo rispetto all’altro. Nella fase acuta si ricorre generalmente ai FANS oppure alle infiltrazioni locali di corticosteroidi (ai quali, talvolta, si associano farmaci anestetici come la lidocaina). Ovviamente in questa fase il riposo funzionale è d’obbligo.
In qualche caso, allo scopo di alleviare la sintomatologia dolorosa, vengono prescritti speciali tutori la cui funzione è essenzialmente quella di far “riposare” il tendine estensore del polso (in commercio ne esistono sostanzialmente due tipi: un tutore da applicarsi sul dorso del polso e un tutore da indossare nella parte alta del braccio, sotto il gomito).
Anche l’applicazione di ghiaccio (crioterapia) può aiutare molto a ridurre l’eventuale gonfiore e i sintomi dolorosi legati all’infiammazione. Quando è possibile, è opportuno alzare il gomito a livello della spalla; questo movimento aiuta a prevenire o a ridurre il dolore. Nella fase subacuta si ricorre a un approccio di tipo fisioterapico utilizzando cure di tipo fisico quali Hilterapia®, ionoforesi, massoterapia, tecarterapia e ultrasuoni.
Gli scopi principali di tali terapie sono quelli della riabilitazione muscolo-tendinea e del miglioramento dei parametri di elasticità, forza e resistenza. Sono rarissimi i casi in cui è necessario ricorrere alla chirurgia.
L’intervento chirurgico può essere effettuato per via percutanea, per via artroscopica o tramite incisione; gli interventi più utilizzati sono l’intervento di Hohmann (distacco dell’inserzione tendinea) e l’intervento di Nirschl (asportazione del tessuto tendineo degenerato).

Nota come “gomito del tennista”, l’epicondilite non è però una patologia che riguarda esclusivamente gli sportivi
Tennis ed epicondilite – Prevenzione della patologia
Come detto, l’epicondilite è un disturbo che colpisce sovente chi pratica il tennis; di seguito forniremo alcuni consigli che possono aiutare a prevenire l’insorgenza della fastidiosa patologia.
In primis è necessario verificare che i propri movimenti siano corretti; qui è determinante il ruolo del proprio allenatore o di un praticante molto esperto e qualificato. È per esempio importante evitare di sovraccaricare polso che durante il contatto della racchetta con la palla deve essere tenuto ben rigido. È inoltre fondamentale verificare che le dimensioni del manico della racchetta (ecco come sceglierla) siano quelle giuste per noi e che la tensione delle corde sia corretta.
Chi pratica tennis in modo continuativo deve allenarsi adeguatamente e ciò significa lavorare anche sulla forza. A tale scopo è importante chiedere consiglio a un esperto sugli esercizi di stretching più adatti per il polso; utilizzando pesi appositi e opportuni si devono compiere movimenti di flesso-estensione. Un buon modo di aumentare la forza senza recar danno ai tessuti è quello di abbassare lentamente il peso dopo aver esteso il polso.
Il polso deve essere tenuto diritto e rigido, sia quando si sollevano dei pesi sia quando si sta giocando a tennis. Ciò fa sì che una buona parte del lavoro venga effettuata dai muscoli dell’avambraccio superiore che sono più grandi e potenti di quelli dell’avambraccio inferiore.
Ovviamente, come nel caso di tutte le attività sportive, è necessario, prima di iniziare l’allenamento vero e proprio o prima di iniziare una competizione, effettuare un corretto riscaldamento.
Dopo un allenamento piuttosto intenso può essere opportuno ricorrere a una borsa del ghiaccio per massaggiare il braccio per 5 o 6 minuti.
* L’epicondilite fu descritta da F. Runge nel 1873 (Zur Genese und Behandlung des Schreibekrampfes), Runge parlò di crampi dello scrittore (Schreibekrampfes), ma fu M. Morris, pochi anni dopo, (Riders sprain; Lancet 1882) il primo che usò la locuzione tennis elbow (gomito del tennista).
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