L’epatocarcinoma, noto anche come carcinoma epatocellulare, carcinoma epatico o HCC, è senza dubbio alcuno il più comune e importante tumore del fegato.
Un epatocarcinoma può insorgere su un fegato sano o, più frequentemente, su un fegato interessato da cirrosi epatica (grave patologia cronico-degenerativa); di tale tumore si distinguono forme ben differenziate e forme indifferenziate; queste ultime sono solitamente quelle più aggressive.
Epatocarcinoma – Diffusione
L’epatocarcinoma è la forma di tumore al fegato più comune a livello mondiale con una prevalenza che segue da vicino quella delle epatiti B e C; oggi è la forma tumorale più diffusa al mondo nel sesso maschile e la settima nel sesso femminile.
L’incidenza dell’epatocarcinoma, attualmente in aumento, è maggiore nel continente asiatico e nei Paesi sub-sahariani (Paesi nei quali è endemica l’infezione da virus dell’epatite B), mentre si riscontra con relativa minore frequenza in Europa e nell’America del Nord. A livello europeo, i Paesi maggiormente interessati dal problema sono quelli del bacino mediterraneo fra cui l’Italia, dove l’incidenza è 13,5 casi/100.000 abitanti negli uomini e 4,6 casi/100.000 abitanti nelle donne.
Gli epatocarcinomi colpiscono in modo decisamente più frequente il sesso maschile (rapporto 4:1 circa).
Le forme di epatocarcinoma correlate alle infezioni da virus dell’epatite C rappresentano la causa più significativa di morte negli USA e, negli ultimi venti anni, nel continente nordamericano l’incidenza di questa grave forma di tumore al fegato è triplicata con una sopravvivenza a cinque anni intorno al 12%.
L’epatocarcinoma tende a insorgere dopo 20-30 anni dall’inizio del danno epatico; l’età media di insorgenza è compresa tra i 60 e i 65 anni; il picco d’incidenza si riscontra attorno ai 70 anni. Ha un tasso di mortalità elevatissimo, vicino al 100%.
L’epatocarcinoma è un tumore raro nei bambini, ma ciononostante è la seconda forma tumorale epatica che si riscontra in età infantile; la più frequente è l’epatoblastoma.
Epatocarcinoma – Cause e fattori di rischio
Il virus dell’epatite B (HBV) e quello dell’epatite C (HCV) e la cirrosi epatica, sia questa conseguente a epatite sia correlata all’abuso di bevande alcoliche e/o superalcoliche (la cosiddetta epatite alcolica), costituiscono i classici fattori di rischio per lo sviluppo dell’epatocarcinoma; l’infezione da HBV costituisce il fattore di rischio più importante; altri fattori di rischio di una certa importanza sono l’età nella quale si contrae l’infezione, il sesso maschile, la presenza di un danno attivo del fegato associato alla replicazione del virus.
L’epatocarcinoma può svilupparsi in portatori cronici di epatite B, anche in assenza di cirrosi epatica; questi soggetti devono essere monitorati attentamente e frequentemente allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile l’eventuale presenza di un tumore del fegato.

Notevole anche il rischio di sviluppare l’epatocarcinoma in coloro che sono affetti da cirrosi epatica epatite C correlata (20 volte superiore a quello di una persona sana).
Il ruolo dell’alcol nello sviluppo di un epatocarcinoma non si esplica soltanto tramite l’instaurarsi della cirrosi epatica, ma anche attraverso la presenza di sostanze che promuovono l’insorgere della malattia (i cosiddetti carcinogeni) oppure attraverso carenze nutrizionali legate all’alcolismo. Fattori di notevole importanza nell’incremento del rischio di sviluppare un epatocarcinoma in seguito a una cirrosi epatica da alcol sono l’età avanzata, il sesso maschile e la presenza di una forma di epatite (B e C).
Fattori di rischio meno frequenti sono intossicazione da aflatossine, il vizio del fumo, malattie metaboliche quali emocromatosi, morbo di Wilson, citrullinemia, galattosemia, deficit di alfa-1-antitripsina, sindrome di Alagille (una malattia genetica), tirosinemia di tipo 1, le glicogenosi e l’abuso di ormoni androgeni.
Alcuni studi hanno evidenziato una certa correlazione fra la steatoepatite non alcolica e l’epatocarcinoma.
Epatocarcinoma – Aspetto
L’epatocarcinoma può avere aspetti diversi; talvolta si osserva un singolo nodulo, in altri casi i noduli sono più di uno. Quando l’organo è epatico è in buona parte invaso dalla neoplasia si parla di tumore massivo.
Epatocarcinoma – Sintomi
Nelle fasi iniziali, l’epatocarcinoma, quando le sue dimensioni sono ancora piccole, è asintomatico (ovvero non dà luogo a particolari sintomi o segni). Tumori più grandi invece possono provocare sintomi più o meno intensi e fastidiosi quali dolore al fianco destro e anche alla schiena; il soggetto può inoltre avvertire una sensazione di pesantezza e tensione addominale. Non sono infrequenti i disturbi digestivi.
Con il passare del tempo, purtroppo, la sintomatologia tende ad aggravarsi e nelle fasi più avanzate della malattia si possono avere una varietà di sintomi e segni fra cui si ricordano principalmente:
- ascite
- ittero
- feci chiare
- urine scure
- ipertensione portale
- turbe della coagulazione
- gonfiore addominale
- perdita dell’appetito
- calo di peso
- astenia
- febbre
- nausea
- vomito.
Diagnosi
Per la diagnosi di epatocarcinoma si possono utilizzare diversi strumenti. Generalmente il primo mezzo utilizzato è l’ecografo. L’ecografia può essere eseguita con o senza contrasto.
L’ecografia con contrasto può rilevare anche neoplasie di piccole dimensioni. Altri metodi utilizzati sono la risonanza magnetica, l’angiografia e la TAC; quest’ultima metodica, in particolar modo se effettuata con la tecnica “spirale”, viene considerata il mezzo più sensibile per lo studio dei tumori epatici; il prelievo bioptico, tenendo conto dei potenziali rischi e delle eventuali complicazioni, viene generalmente eseguita quando i valori di alfafetoproteina sono inferiori a 400 ng/mL. In alcuni casi si ricorre alla laparoscopia con ecografia intraoperatoria. Raro ormai il ricorso alla scintigrafia epatica.
Relativamente agli del sangue, in caso di sospetta presenza di un epatocarcinoma viene sempre richiesto il dosaggio dell’alfafetoproteina (AFP); in circa la metà dei casi di epatocarcinoma, i valori di questo marcatore tumorale risultano molto più elevati rispetto al range di normalità (nell’adulto sano sono inferiori ai 10 ng/mL, mentre nel caso di carcinoma epatico possono superare i 500 ng/mL), fermo restando il fatto che valori di AFP nella norma non escludono la presenza di un tumore al fegato.
Epatocarcinoma – Cure
Le possibili cure in caso di epatocarcinoma possono variare molto a seconda delle condizioni del fegato
Nei soggetti non affetti da malattie del fegato quali l’epatite o la cirrosi epatica si deve in prima istanza valutare se è possibile eseguire una resezione epatica che in alcuni casi può essere preceduta da embolizzazione portale, una tecnica relativamente recente che ha un duplice scopo: rendere atrofico il tessuto che si intende asportare e ipertrofico il tessuto sano.
Le modalità d’intervento nei soggetti affetti da malattie croniche del fegato richiedono senz’altro valutazioni più complesse. Si devono prendere in considerazione diversi fattori tra i quali la portata del danno indotto dall’epatopatia cronica o dalla cirrosi epatica, la funzionalità dell’organo, la presenza o no di ipertensione portale. Le modalità di cura sono svariate.
Resezione epatica – La resezione epatica viene presa in considerazione nei soggetti con singoli noduli e nei quali il danno da cirrosi non sia particolarmente grave. L’ipertensione portale dovrebbe essere assente o comunque molto bassa. Non tutti gli autori però concordano sul fatto che la presenza di ipertensione portale sia una valida controindicazione all’intervento di resezione. Questo tipo di intervento comporta sicuramente dei vantaggi quali la totale asportazione del tumore e del tessuto che lo circonda. I problemi principali sono quelli di una possibile insorgenza di insufficienza epatica e la possibilità di recidive tumorali.
Alcolizzazione e radiofrequenza – Altre modalità di intervento sono la rimozione dell’epatocarcinoma attraverso l’alcolizzazione o la radiofrequenza. Sono tecniche alternative all’intervento di resezione epatica. Lo scopo è quello di distruggere l’epatocarcinoma con alcol assoluto o il calore. Le procedure si avvalgono di aghi o sonde che vengono introdotti attraverso l’addome. Tali tecniche sono utilizzate in quei pazienti che non possono (o non vogliono) essere sottoposti a intervento chirurgico. Lo svantaggio principale è che non si può avere l’assoluta sicurezza della distruzione dell’intera massa tumorale; possono inoltre essere necessarie sedute supplementari. Esiste il rischio di recidive.
Chemioterapia – Come per altri tipi di tumore, anche nel caso di epatocarcinoma è possibile utilizzare trattamenti chemioterapici, ma i tumori del fegato non sono fra i carcinomi che meglio rispondono a trattamenti di questo tipo. Un farmaco che mostra una certa efficacia è la doxorubicina, un antibiotico ad azione antitumorale; in certi casi la doxorubicina viene utilizzata come alternativa ad altri chemioterapici (cisplatino, metotrexato ecc.), in altri in associazione a essi. In linea generale, la chemioterapia non ha mostrato un aumento particolarmente significativo della sopravvivenza dei pazienti affetti da epatocarcinoma, senza contare gli effetti collaterali spesso non minimali. Interessanti prospettive sembrano provenire dal sorafenib, un farmaco che rientra nella classe delle cosiddette “terapie target”; il sorafenib, che non è considerato un chemioterapico, è un farmaco biomolecolare che agisce bloccando il meccanismo della crescita del tumore a livello della singola cellula. I risultati sembrano essere interessanti, ma, ovviamente, sono ancora necessarie verifiche a lungo termine.
Chemioembolizzazione – Un altro tipo di terapia che viene utilizzato in caso di epatocarcinoma è la chemioembolizzazione; è una modalità di trattamento che viene utilizzata in quei soggetti affetti da tumore al fegato con noduli singoli o multipli le cui dimensioni non superino i 6 cm di diametro. Nei soggetti che presentano cirrosi epatica è necessario verificare che la funzionalità epatica sia adeguata a tollerare questa modalità terapeutica, cosa non sempre scontata. Di norma la chemioembolizzazione viene utilizzata:
- in soggetti che non possono essere sottoposti a resezione epatica
- quale procedura preliminare all’intervento di resezione epatica
- quale procedura preliminare all’intervento di trapianto di fegato.
Per approfondire si consulti l’articolo Chemioembolizzazione.
Trapianto di fegato – Un’altra tecnica che è possibile utilizzare per la cura dell’epatocarcinoma è quella del trapianto di fegato. Teoricamente dovrebbe essere la strategia terapeutica migliore dal momento che non ci sarà più presenza di tumore e di cirrosi epatica. In pratica però ci si scontra con la carenza di soggetti donatori, cosa che obbliga a criteri discriminatori relativi all’inserimento nelle liste di attesa.
Tali criteri sono attualmente alquanto selettivi: non deve esistere la possibilità di eseguire la resezione chirurgica; deve essere presente un unico nodulo il cui diametro deve essere inferiore ai 5 cm oppure, in alternativa, non più di tre noduli il cui diametro deve essere inferiore ai 3 cm; non deve esserci invasione della vena porta e non devono essere presenti metastasi. Tale selettività non è seguita da tutti i centri che compiono trapianti; se il trapianto viene eseguito e non sono osservati contemporaneamente tutti i criteri, il rischio di recidiva tumorale rimane alto. Se, in caso contrario, vengono osservati tutti i criteri sopra esposti, il rischio di recidiva è notevolmente ridotto (oscilla fra il 2 e il 5%) e la sopravvivenza a 5 anni può arrivare all’80%.
Una strada che è possibile seguire è quella della donazione di una porzione di fegato da parte di membri familiari, ma è una scelta che comporta rischi notevoli per il paziente; inferiori, ma non nulli, quelli per il donatore. Per approfondire questo punto si consulti il nostro articolo Trapianto di fegato, che tratta la questione in modo molto dettagliato.
Epatocarcinoma – Sopravvivenza
La percentuale di sopravvivenza dei pazienti che sono stati colpiti da epatocarcinoma non è purtroppo molto elevata; secondo i dati più recenti (AIOM, Associazione Italiana Oncologia Medica, 2018) essa è del 20% a cinque anni dalla diagnosi. La sopravvivenza a 10 anni si attesta sul 10% circa. Rispetto agli anni precedenti si è registrato un lieve miglioramento; l’epatocarcinoma però resta ancora una malattia a prognosi infausta.
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