L’epatite C è una patologia infettiva a carico del fegato causata da un virus appartenente alla famiglia Flaviviridae, l’HCV (Hepatitis C Virus, virus dell’epatite C). In passato l’epatite B era nota come epatite non A non B.
La scoperta del virus dell’epatite C è relativamente recente; risale infatti al 1989; a partire da quell’anno ne sono state identificate 6 varianti (numerate da 1 a 6); i sottotipi sono più di 90.
I 6 genotipi del virus dell’epatite C sono distribuiti nel mondo in modo variegato. La variante prevalente è la 1. La variante 1a del virus è diffusa in modo particolare nel Nord America, mentre la variante 1b è particolarmente diffusa nel continente europeo. La variante 2 è diffusa in Estremo Oriente, la variante 3 è diffusa nell’Asia centrale (in particolar modo in India), la variante 4 è diffusa in Africa e in Medio Oriente, la variante 5 è diffusa nell’Africa meridionale, mentre la variante 6 nell’Asia sudorientale. Nel nostro Paese il genotipo che si riscontra con più frequenza è l’1b (55% dei casi), seguito rispettivamente dai genotipi 2, 3 e 4.
L’identificazione del genotipo del virus dell’epatite C non è una questione da sottovalutare, essa infatti è di fondamentale importanza nell’impostazione della terapia.
In base a stime recenti, le persone affette nel mondo da questa forma di epatite sono circa 170 milioni; si stima inoltre che, sempre a livello mondiale, questa patologia rappresenti l’agente eziologico nel 27% dei casi di cirrosi epatica e del 25% dei casi di tumore al fegato.
Nel nostro Paese le persone affette da epatite C sono circa un milione; l’incidenza dei nuovi casi è di circa 0,5 casi su 100.000 abitanti; tale incidenza però è in diminuzione.
Generalmente l’epatite C decorre in modo asintomatico, ma la sua cronicizzazione conduce a un quadro di cirrosi epatica; in molti casi la cirrosi epatica porta allo sviluppo di patologie di notevole gravita quali tumore al fegato, varici gastriche ed esofagee e insufficienza epatica.
La trasmissione del virus dell’epatite C avviene tramite il contatto diretto con il sangue di un soggetto infetto (promiscuità nell’uso di siringhe, trasfusioni ecc.); il contagio per via sessuale è raro, ma le probabilità non sono comunque nulle.
Il virus dell’epatite C è considerato uno dei virus epatitici più pericolosi in quanto le ripercussioni a lungo termine sono generalmente di notevole gravità e inoltre, a tutt’oggi, non è disponibile un vaccino in grado di prevenire il contagio.
Epatite C: sintomi
L’epatite C è generalmente asintomatica (non a caso viene detta epatite silenziosa).
Se i sintomi sono presenti, sono alquanto vaghi e molto generici (calo di peso, perdita dell’appetito, senso di stanchezza, intolleranza alle bevande alcoliche e agli alimenti grassi, dolenzia addominale (spesso nel quadrante superiore destro, in corrispondenza del fegato); curiosamente la dolenzia addominale non è correlata alla gravità del quadro, spesso infatti è più frequente nei soggetti in cui l’infezione è di grado più lieve.
L’assenza di sintomatologia che caratterizza l’epatite C è uno dei motivi che porta la patologia alla cronicizzazione e, conseguentemente, a lungo termine, a un serio danneggiamento dell’organo epatico. La scoperta della malattia può avvenire dopo decenni; ovviamente quando le alterazioni a carico dell’organo epatico sono di serie entità fanno la loro comparsa manifestazioni di una certa importanza quali ittero, prurito, febbre, nausea, vomito ecc.
Epatite C: le complicanze
Se la stragrande maggioranza dei casi di epatite B si risolvono in modo spontaneo ciò non può dirsi per quanto concerne quelli di epatite C; sono pochi infatti i soggetti colpiti da epatite C che guariscono dall’infezione da HCV senza il ricorso ai farmaci e senza riportare danni di tipo permanente. La stragrande maggioranza delle persone affette da epatite C infatti sviluppa un’infezione di tipo cronico della quale, come detto, generalmente si viene a conoscenza dopo molti anni.
Circa un terzo di questi soggetti svilupperà una cirrosi epatica; ciò può avvenire in tempi più o meno brevi a seconda della presenza di altri fattori predisponenti quali, per esempio, la presenza di epatite B, la dipendenza da alcol, la presenza di HIV ecc. Com’è noto, i danni al fegato indotti dalla cirrosi non sono reversibili, senza contare che tale patologia è un fattore predisponente il tumore al fegato e l’insufficienza epatica. La presenza di epatite C inoltre aumenta inoltre il rischio di contrarre un linfoma.
Epatite C: trasmissione e contagio
Il virus dell’epatite C è sicuramente meno aggressivo di quelli dell’epatite A o dell’epatite B. Si è portati a ritenere che la stragrande maggioranza dei contagi sia avvenuta a causa di trasfusione di prodotti ematici effettuate prima dell’anno 1992; da quell’anno in poi, fu messa in atto una vera e propria campagna di screening di massa per la ricerca del virus in questione. Il virus può inoltre trasmettersi attraverso lo scambio di siringhe infette; la trasmissione del virus in seguito a rapporti sessuali non è particolarmente frequente (a differenza di quanto accade con il virus dell’epatite B), non sono particolarmente comuni nemmeno i casi di epatite C dovuti a trasmissione da madre a figlio durante il periodo della gravidanza o in seguito al parto, quelli dovuti a utilizzo promiscuo di materiali non sterilizzati utilizzati per effettuare tatuaggi, piercing e nemmeno quelli causati da utilizzo promiscuo di oggetti quali rasoi, spazzolini da denti ecc.
La trasmissione del virus dell’epatite C, a differenza di quanto accade con il virus dell’epatite A, non si trasmette attraverso cibi o bevande.
Viste le modalità di contagio, appaiono abbastanza ovvi i fattori di rischio della malattia; l’epatite C infatti viene contratta più facilmente da:
- coloro che hanno subito trasfusioni di prodotti ematici prima dell’anno 1992
- coloro che si iniettano droghe condividendo la siringa con altre persone
- coloro che per ragioni professionali sono più esposti al sangue umano.
Non esistendo un vaccino contro l’epatite C (la realizzazione del vaccino per l’epatite C è resa difficoltosa dal fatto che il virus è in grado di trasformarsi, disorientando il sistema immunitario) è necessario operare in modo da ridurre al minimo i fattori di rischio.
Diagnosi
Se esiste il sospetto di aver contratto l’epatite C è necessario effettuare due esami del sangue: la ricerca degli anticorpi anti-HCV e l’HCV-RNA.
Una valutazione indiretta dello stato infiammatorio dell’organo epatico può essere effettuata verificando i livelli delle transaminasi. Se la presenza del virus viene confermata il danno epatico può essere valutato tramite una biopsia epatica; altri esami che possono essere effettuati sono quelli atti a individuare il genotipo del virus e la carica virale.
Il test degli anticorpi anti-HCV consente di stabilire se il soggetto ha contratto l’epatite C, ma è bene precisare che esso non è sufficiente per stabilire se la malattia è pregressa oppure è in atto. È corretto altresì precisare che la ricerca di tali anticorpi può risultare negativa se l’esame in questione viene effettuato durante il cosiddetto “periodo finestra”, ovvero l’intervallo di tempo che va dal momento dell’infezione alla formazione degli specifici anticorpi. Tramite l’HCV-RNA si è in grado di determinare il genoma virale. La diagnosi di epatite C viene definitivamente confermata dall’individuazione di particelle virali presenti nel flusso ematico (carica virale o viremia) tramite un test molecolare basato sulla PCR (Polymerase chain reaction).
Cura dell’epatite C
In buona parte dei soggetti infettati dal virus dell’epatite C si sviluppa un’infezione cronica; molti di questi soggetti vengono trattati. I primi interventi da mettere in atto sono l’abolizione del consumo di bevande alcoliche e l’evitare di assumere farmaci che hanno effetto epatotossico.
Generalmente il soggetto affetto da epatite C dovrebbe vaccinarsi contro l’epatite A e l’epatite B per evitare un’eventuale associazione di queste patologie in quanto ciò potrebbe determinare un aumento del livello di degenerazione epatica.
Nei soggetti che sviluppano cirrosi è importante una costante monitorizzazione delle condizioni epatiche (ricordiamo che la cirrosi epatica è un notevole fattore di rischio per lo sviluppo di epatocarcinoma).
Nei soggetti in cui l’infezione da virus dell’epatite C provoca alterazione epatiche viene consigliato un trattamento di tipo farmacologico. Il gold standard di questo tipo di terapia è rappresentato dall’associazione di interferone pegilato e ribavirina. Questo tipo di trattamento porta a un miglioramento delle condizioni dei pazienti in circa la metà dei casi. La durata e lo schema di detto trattamento variano in base al genotipo del virus; di norma si effettuano cicli che vanno dalle 24 alle 48 settimane.
Nel trattamento dell’epatite C riveste una notevole importanza anche un corretto stile di vita.
Simeprevir e sofusbuvir: una svolta nella cura dell’epatite C?
L’ultima novità nel trattamento della malattia è rappresentata dalla combinazione di due antivirali di nuova generazione, il simeprevir e il sofusbuvir; si tratta di una terapia combinata orale senza interferone che, in base ai vari studi clinici effettuati, promette una percentuale di guarigione dal virus notevolissima (90% dei casi). Il percorso terapeutico ha avuto una durata di 12 settimane. Gli studi compiuti hanno mostrato che la terapia ottiene gli stessi risultati con o senza l’associazione di ribavirina.
Il simeprevir è un inibitore di proteasi di nuova generazione utilizzato per trattare gli adulti con epatite C di genotipo 1 e genotipo 4 (i due genotipi più comuni; nel nostro Paese, circa il 60% dei casi di epatite C è relativo al genotipo 1, mentre il genotipo 4 risulta il responsabile di circa il 20% delle infezioni da epatite C a livello globale).
Il sofusbuvir è un antivirale che agisce inibendo l’enzima RNA polimerasi RNA-dipendente(NS5B), fattore essenziale per la replicazione del virus dell’epatite C.
Indice materie – Medicina – Sintomi – Epatite C