L’epatite A è una patologia virale a carico del fegato causata da un RNA virus, l’HAV (Hepatitis A Virus, virus dell’epatite A), caratterizzata da una notevole contagiosità; la sua trasmissione avviene soprattutto attraverso l’ingestione di cibi e bevande contaminate (non a caso l’epatite A è popolarmente conosciuta come epatite alimentare), ma anche tramite il contatto diretto con soggetti che ne sono affetti.
L’epatite A è una patologia diffusa a livello mondiale, soprattutto in America Centrale, Sud America, Africa, Medio Oriente, Asia e zone del Pacifico occidentale. Nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, caratterizzati da un livello igienico-sanitario alquanto scarso, l’epatite A è un’infezione endemica e i soggetti più colpiti sono i bambini di età inferiore agli 11 anni. Nel nostro Paese la patologia risulta essere più diffusa nelle regioni meridionali.
L’epatite A è considerata una forma benigna di epatite; in effetti la sua pericolosità è decisamente inferiore a quella di altre forme quali l’epatite B o l’epatite C. La patologia non va comunque sottovalutata perché potrebbe complicarsi in una forma di epatite decisamente rischiosa, l’epatite fulminante, uno degli eventi più gravi a carico del fegato che causa una necrosi massiva degli epatociti (le cellule del fegato); l’epatite fulminante è caratterizzata da un elevatissimo tasso di mortalità (90% circa) e pochi sono gli interventi di tipo terapeutico in grado di contrastarla in modo efficace.
Il processo infiammatorio a carico del fegato sostenuto dal virus dell’epatite A ha un decorso acuto e, diversamente da quanto accade in caso di epatite B o epatite C, non cronicizza e non è da considerarsi un fattore di rischio per cirrosi epatica o tumore al fegato; inoltre il soggetto che ha contratto l’epatite A non acquisirà la condizione di portatore cronico di malattia.
Il virus dell’epatite A si replica nell’organo epatico e la sua eliminazione verso l’esterno avviene per via fecale.
Segni e sintomi di epatite A
Il periodo di incubazione del virus dell’epatite A può andare da una settimana a cinquanta giorni circa (mediamente è di quattro settimane); terminato il periodo di incubazione il soggetto affetto dalla patologia può accusare una sensazione di malessere generale accompagnata da rialzo febbrile; in alcuni soggetti però l’epatite A decorre in modo asintomatico, in particolar modo nei bambini.
L’insorgenza dell’epatite A avviene solitamente in modo alquanto brusco tant’è che spesso si pensa a un banale problema gastroenterico e si viene a conoscenza del vero problema in un secondo tempo, magari in seguito a controlli diagnostici di routine o effettuati per altre motivazioni.
I sintomi più comuni in caso di epatite A sono la stanchezza, la diarrea, dolori addominali (in particolar modo localizzati a destra), dolori muscolari, perdita dell’appetito, urine di colore scuro, prurito e febbre leggera. L’epatite A si fa conclamata con la comparsa dell’ittero, manifestazione che può avere una durata di alcune settimane.
Difficilmente l’epatite A si complica e nella stragrande maggioranza dei soggetti colpiti si ha una remissione dei sintomi nel giro di uno o due mesi circa. Il rischio di recidive è basso, ma non può essere considerato nullo; in quest’ultimo caso il periodo di guarigione può allungarsi decisamente.
Epatite A: contagio e fattori di rischio
Come detto in apertura, l’epatite A è una patologia notevolmente contagiosa; la sua trasmissione avviene solitamente per via oro-fecale, ovvero consumando cibi e bevande che sono state contaminate da feci infette. Il caso tipico di trasmissione è quello di un soggetto che manipola alimenti senza essersi lavato con cura le mani dopo essere stato in bagno. Il contagio può avvenire anche nel caso di sistemi fognari non adeguati. Il virus dell’epatite infatti viene eliminato per via fecale e, se il sistema fognario non funziona a dovere, possono esservi contaminazione delle falde acquifere con la conseguenza che il virus può trasmettersi sia direttamente, bevendo l’acqua contaminata, sia indirettamente, consumando i cibi che con quest’acqua vengono lavati. La contaminazione alimentare può essere dovuta anche al consumo di quei frutti di mare che vengono pescati nelle acque che si trovano vicini agli sbocchi delle falde acquifere contaminate.
Per quanto la resistenza del virus dell’epatite A sia considerevole, esso può essere inattivato previa bollitura delle acque che lo contengono (è questo il motivo per cui viene sempre raccomandato di non consumare cibi crudi e di effettuare un’accurata bollitura degli alimenti quando ci si reca in luoghi caratterizzati da uno scarso livello igienico).
La trasmissione del virus dell’epatite A può avvenire anche per via sessuale (in particolar modo in caso di rapporti procto-genitali o ano-linguali); altro veicolo di trasmissione è l’utilizzo promiscuo delle siringhe utilizzate per iniettarsi sostanze stupefacenti o dopanti.
In letteratura sono segnalati casi di trasmissione del virus dell’epatite A per via parenterale, ma tale evenienza è alquanto rara.
Il picco infettivo massimo viene raggiunto nel periodo compreso tra i quindici giorni che precedono l’esordio della patologia e la settimana che lo segue; da ciò discende che la malattia può essere trasmessa ancora prima che si manifestino eventualmente i sintomi a essa correlati.
Viste le modalità di contagio, appaiono abbastanza ovvi i fattori di rischio della malattia; l’epatite A infatti viene contratta più facilmente da:
- quei soggetti che svolgono la loro attività lavorativa o si recano in quelle zone in cui la patologia è particolarmente diffusa (vedasi paragrafo iniziale)
- coloro che si iniettano droghe condividendo la siringa con altre persone
- chi è a stretto contatto con soggetti infetti
- chi consuma alimenti crudi (in particolar modo frutti di mare) o cotti in modo inadeguato
- chi ha rapporti sessuali procto-genitali o ano-linguali non protetti.
Diagnosi
La diagnosi di epatite A, la cui presenza potrebbe essere sospettata in molti casi dopo la comparsa della sintomatologia a essa correlata, si basa sull’esecuzione di alcuni esami ematici, in particolar modo sulla ricerca degli anticorpi IgM anti virus A; questi anticorpi sono riscontrabili nella stragrande maggioranza dei soggetti infetti (90% circa) quando la patologia è nella sua fase iniziale; dopo la prima settimana la ricerca è positiva nel 100% dei pazienti.
La concentrazione delle IgM in questione raggiunge la sua massima concentrazione nel giro di alcune settimane e la sua permanenza nel circolo ematico può essere decisamente lunga (anche un anno). L’epatite A causa anche l’innalzamento dei valori degli anticorpi anti HAV di classe IgG; questi saranno presenti vita natural durante e sono un’indicazione dell’avvenuto contagio e dell’immunità permanente acquisita.
In caso di epatite A risultano alterati anche i valori ematici delle transaminasi (che possono raggiungere livelli elevatissimi), della fosfatasi alcalina e della frazione diretta della bilirubina.
Trattamento dell’epatite A e vaccinazione
Non è disponibile un trattamento specifico per l’epatite A, fatta eccezione per la somministrazione tempestiva (7-10 giorni dal contagio) di immunoglobuline. Ovviamente, se si è già avuta una manifestazione sintomatica, la somministrazione di immunoglobuline è praticamente inutile e non rimane altro che monitorare la situazione attendendo la sua spontanea regressione. Dal momento che in corso di epatite A lo stress a carico del fegato è comunque importante, generalmente si consigliano alcuni accorgimenti dietetici (riduzione di alimenti eccessivamente lipidici; abolizione o drastica riduzione del consumo di cibi fritti e di quello di bevande alcoliche; suddivisione dei pasti in piccoli spuntini ecc.); per approfondire quest’ultimo punto si consulti l’articolo Dieta per l’epatite.
Il medico curante deve essere informato sull’eventuale assunzione di farmaci in quanto molti di essi sono particolarmente stressanti per il fegato e potrebbe essere il caso di valutare una temporanea riduzione o una modifica di tali trattamenti farmacologici. L’assunzione di integratori alimentari deve avvenire dietro supervisione medica; fra gli integratori che vengono spesso consigliati in caso di epatite a troviamo quelli a base di cardo mariano e quelli a base di estratti di carciofo.
Per quanto riguarda la vaccinazione, utilissima nel caso di soggetti che per lavoro soggiornano o si recano in zone a rischio, è disponibile un apposito vaccino costituito da un virus inattivato che viene somministrato per via intramuscolare. La protezione dall’epatite A è attiva a partire da due o tre settimane dalla prima somministrazione. La somministrazione di una seconda dose (dose di richiamo) dopo sei mesi conferisce una protezione valida contro l’epatite A per più di dieci anni.
La somministrazione del vaccino per l’epatite A non è controindicata nei soggetti inconsapevolmente immuni dalla malattia, ma, allo scopo di evitare inutili costi, è consigliabile uno screening pre-vaccinale in quei soggetti che, presumibilmente, sono stati precedentemente infettati (è il caso delle persone di età superiore ai 40 anni nati in zone mediamente o altamente endemiche). Il vaccino per l’epatite A non garantisce protezione alcuna contro le altre forme di epatite.
Indice materie – Medicina – Sintomi – Epatite A