L’emocromatosi è una malattia caratterizzata da un abnorme e progressivo deposito di ferro in vari tessuti dell’organismo. Le forme di emocromatosi più frequenti sono generalmente di carattere ereditario (si parla in questi casi di emocromatosi genetica o emocromatosi ereditaria), ma esistono anche forme conseguenti ad altre condizioni di tipo morboso; si parla in questi casi di emocromatosi secondaria.
L’emocromatosi (nota in passato anche come diabete bronzino, denominazione derivante dalla triade di sintomi che caratterizza la patologia: pigmentazione cutanea bronzea, diabete mellito e cirrosi epatica) è una grave patologia che dovrebbe essere diagnosticata e trattata il più precocemente possibile in quanto può danneggiare in modo particolarmente grave diversi organi (cuore, fegato, pancreas, surreni, testicoli, ipofisi ecc.).
L’emocromatosi è una malattia che si presenta con una certa frequenza (un caso ogni 400 nati); nei maschi la patologia si presenta più frequentemente che nei soggetti di sesso femminile e, tra l’altro, in forma decisamente più grave (il motivo di ciò è spiegato dal fatto che nelle donne l’accumulo di ferro viene mitigato dalle perdite di sangue che si verificano con le mestruazioni).
Le forme
Esistono quattro forme di emocromatosi ereditaria (anche primitiva o idiopatica):
- tipo 1
- tipo 2
- tipo 3
- tipo 4.
Di seguito una breve analisi delle alterazioni genetiche che sono alla base delle sopracitate forme di emocromatosi ereditaria.
Emocromatosi di tipo 1 – È dovuta ad alterazioni genetiche a carico del gene HFE (questa forma è nota anche come emocromatosi HFE correlata); sono due le mutazioni genetiche principali e vengono indicate con le sigle C282Y e H63D. La stragrande maggioranza dei soggetti affetti dalla forma di tipo 1 sono omozigoti per la prima delle due mutazioni, una minoranza dei soggetti invece sono portatori di tutte e due queste mutazioni; rari gli omozigoti per la mutazione H63D. Vi sono anche mutazioni di altro tipo, ma sono molto rare, fra queste si ricordano le mutazioni S65C, E168X e W169X.
Emocromatosi di tipo 2 – Nota anche come emocromatosi giovanile, è una forma piuttosto severa che insorge precocemente (se non viene diagnosticata e trattata precocemente, la malattia porta alla morte entro i trenta anni di età).
L’emocromatosi giovanile è provocata dalle alterazioni a carico di due geni deputati allo svolgimento di importanti funzioni di regolazione del metabolismo del ferro: il gene HJV, deputato alla codifica dell’emojuvelina, e il gene HAMP, deputato alla codifica della epcidina. Nel primo caso si parla di emocromatosi di tipo 2a, mentre nel secondo caso si parla di emocromatosi di tipo 2b.
Emocromatosi di tipo 3 – È dovuta dovuta all’alterazione del gene TfR2 (un recettore della transferrina il cui ruolo a livello di metabolismo del ferro non è ancora stato chiarito con precisione); dal punto di vista clinico, questa forma è molto simile a quella di tipo 1, ma le alterazioni a carico degli indici del ferro possono presentarsi molto più precocemente (già in età adolescenziale).
Emocromatosi di tipo 4 – Nota anche come ferroportinopatia, è una forma di emocromatosi dovuta ad alterazioni nel gene della ferroportina 1. Si distinguono due tipologie di emocromatosi di tipo 4: A e B; la prima, più comune, caratterizzata da un accumulo eccessivo di ferro che coinvolge in prima battuta le cellule di Kupffer (macrofagi specializzati localizzati a livello epatico) e, in seguito, anche gli epatociti; la forma di tipo B presenta invece molte similitudini con l’emocromatosi di tipo 1.
La trasmissione dell’emocromatosi è di tipo autosomico recessivo nei tipi 1, 2 e 3, mentre è di tipo autosomico dominante nel tipo 4.
Emocromatosi secondaria
Esistono diverse varianti dell’emocromatosi secondaria (o acquisita) che possono essere fra loro molto diverse dipendentemente dalle cause scatenanti e dalla zona in cui la patologia ha iniziato a svilupparsi.
Una forma di emocromatosi secondaria è la cosiddetta emocromatosi da insufficiente eritropoiesi; è secondaria a patologie come, per esempio, la talassemia (anemia mediterranea) e le anemie sideroblastiche, malattie che provocano una riduzione della produzione degli eritrociti (i globuli rossi); ciò causa un ridotto utilizzo del ferro con conseguente accumulo di quest’ultimo.
Altro esempio di forma secondaria è quella provocata da cirrosi alcolica; un eccessivo consumo di bevande alcoliche con conseguente cirrosi epatica può portare ad un accumulo di ferro a livello epatico.
Esistono poi forme di emocromatosi da farmaci (iatrogena) provocate da quelle terapie a medio-lungo termine che prevedono o inducono l’assunzione di ferro in notevole quantità.
Emocromatosi – Sintomi e segni
Uno dei problemi che caratterizzano la patologia in questione è che, in molti casi, i sintomi rimangono nascosti per molto tempo; spesso la presenza della malattia viene scoperta, o comunque sospettata, a seguito di esami clinici effettuati per altre ragioni oppure a causa di una delle complicanze di cui la malattia può essere responsabile; come se non bastasse, anche nel caso che i segni e i sintomi siano presenti, essi sono talmente aspecifici che la diagnosi non giunge immediata.
Generalmente la sintomatologia fa la sua comparsa dopo i 40-50 anni di età (fa eccezione l’emocromatosi di tipo 2, la forma giovanile, caratterizzata da insorgenza precoce e severa) in modo lento, ma progressivo.
Mediamente un individuo normalmente sano assorbe giornalmente quantità di ferro che vanno da uno a due grammi; nei soggetti affetti da emocromatosi queste quantità possono raddoppiare o triplicare; ciò provoca a lungo andare un progressivo aumento dei depositi di tale metallo nell’organismo.
La manifestazione principale che caratterizza l’emocromatosi è la colorazione della pelle che acquista una tonalità bronzea; altri sintomi sono epatomegalia (fegato ingrossato), letargia, astenia, dolori articolari e addominali, riduzione della libido, ipogonadismo, bradicardia patologica, diabete ecc.
Emocromatosi – Diagnosi
I primi test che vengono effettuati in caso di sospetta emocromatosi sono la saturazione della transferrina e la ferritina sierica.
I valori normali nel primo test oscillano fra il 20 e il 45%; le patologie o le condizioni per le quali si possono riscontrare valori anormali in aumento sono, oltre all’emocromatosi, anche l’emosiderosi e la talassemia; valori anormali in diminuzione possono essere dovuti ad anemia sideropenica, artrite reumatoide, uremia, neoplasie di vario tipo ecc.
Attraverso il test della ferritina sierica è possibile valutare l’entità del sovraccarico di ferro; per i dettagli su questo test si consulti il nostro articolo Ferritina.
Quando il sovraccarico di ferro è nelle sue prime fasi, i valori di ferritina possono risultare normali; nel caso di valori aumentati, con saturazione della transferrina nel range di normalità, si devono escludere tutte quelle cause (infezioni, neoplasie, sindrome ipeferritinemia-cataratta congenita, abuso di sostanze alcoliche, epatiti di vario tipo ecc.) che possono provocare un aumento aspecifico della proteina in questione; esistono poi forme patologiche (vedasi per esempio l’aceruloplasminemia e l’emocromatosi di tipo 4) in cui si ha un sovraccarico di ferro di tipo genetico e in cui la percentuale di saturazione è quasi sempre entro il range di normalità; in queste forme la ferritina è il primo indice dello stato del ferro che tende ad aumentare.
La valutazione dei livelli di ferritina sierica può dare indicazioni sull’eventuale presenza di un danno a livello del fegato (valori >1.000 mcg/L), fermo restando che possono esserci variazioni a livello individuale decisamente notevoli.
Altri test che possono venire effettuati per la diagnosi di emocromatosi sono i test genetici come, per esempio, l’analisi molecolare del gene HFE (esistono test in grado di identificare tutte le mutazioni HFE presenti nella letteratura medica); esistono anche test per altri tipi di mutazione genetica, ma altri devono essere ancora sviluppati, si veda il caso dell’emocromatosi giovanile, patologia per la quale, attualmente, non sono disponibili test genetici adeguati.
Se i test biochimici e quelli genetici non sono sufficienti a porre la diagnosi con certezza si può ricorrere all’effettuazione di una biopsia epatica; attraverso la biopsia si è in grado di valutare l’effettiva entità del sovraccarico ferroso.
Altri esami che possono essere utilizzati per la diagnosi sono la risonanza magnetica e lo SQUID (Superconductive QUantum Interference Device), un esame che è possibile effettuare soltanto in pochi centri al mondo; uno di questi si trova ad Orbassano, in provincia di Torino.
Visto il carattere ereditario della patologia, i test diagnostici dovrebbero essere estesi anche ai familiari; come già accennato, la precocità della diagnosi è fondamentale in quanto i soggetti affetti dalla malattia rischiano di sviluppare patologie molto gravi quali cirrosi, fibrosi, neoplasie ecc. Il rischio è poi ancora più marcato in coloro che seguono regimi alimentari particolarmente ricchi di ferro e nei bevitori abituali; i rischi sono maggiori anche nelle donne affette dalla patologia e che entrano nel periodo della menopausa (a causa della cessazione del ciclo mestruale) e anche nei soggetti affetti da epatite virale. Conseguentemente alla cirrosi epatica che spesso si sviluppa nei soggetti affetti da emocromatosi, è probabile l’insorgenza di diabete mellito, patologia che riflette i problemi che possono essersi creati a livello del pancreas.

I primi test che vengono effettuati in caso di sospetta emocromatosi sono la saturazione della transferrina e la ferritina sierica.
Cura
La cura si pone come scopo principale la rimozione dei depositi di ferro in eccesso prima che essi siano causa di lesioni d’organo ormai irreversibili. A tale scopo la flebotomia (anche salassoterapia) periodica è la terapia di prima scelta; grazie alla flebotomia si rimuovono gli eccessi di ferro e, contemporaneamente, si stimola il midollo osso a richiamare il metallo dai depositi in quanto esso è necessario per la sintesi di nuovi eritrociti. Inizialmente la frequenza dei salassi è notevole (anche due prelievi per settimana), ma in seguito viene drasticamente ridotta (si passa infatti a 3-4 flebotomie all’anno).
Per curare la patologia è anche possibile ricorrere alle cosiddette terapie chelanti; si devono cioè assumere farmaci in grado di complessare il ferro e facilitarne la sua eliminazione per via urinaria; l’efficacia della terapia chelante è minore rispetto a quella della flebotomia, d’altronde è una delle poche alternative utili nel caso il soggetto affetto da emocromatosi sia anche affetto da anemia, condizione che rappresenta una controindicazione all’effettuazione dei salassi.
Il regime alimentare dei pazienti prevede una riduzione drastica dei cibi ricchi di ferro e l’astensione dalle bevande contenenti alcol. Dovrà inoltre essere previsto un certo introito di cibi con un buon apporto di fibre e fitati in quanto utili a ridurre l’assorbimento del ferro a livello intestinale.
I soggetti trattati precocemente possono condurre una vita pressoché normale perché si saranno evitate le complicanze derivanti dalla presenza della patologia; la questione cambia in quei soggetti in cui la diagnosi è arrivata tardivamente; in molti casi i danni sono irreversibili e c’è il rischio che si sviluppino patologie molto gravi come, per esempio, il carcinoma epatico.
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