Il disturbo post traumatico da stress (anche PTSD, acronimo dei termini inglesi Post-Traumatic Stress Disorder) è, senza ombra di dubbio, uno dei più importanti e caratteristici disturbi legati all’esperienza di eventi traumatici. Esso rientra nella categoria generale dei cosiddetti disturbi d’ansia.
In base a quanto riportato dal DSM-IV-TR, il disturbo post traumatico da stress si manifesta quale conseguenza di un evento particolarmente stressante e traumatico che il soggetto ha vissuto direttamente oppure al quale ha assistito e che ha implicato morte, o minacce di morte, o gravi lesioni, oppure una minaccia all’integrità fisica propria o di altre persone (per esempio un’aggressione personale, uno stupro, un rapimento, una guerra, una tortura, una malattia particolarmente grave, un incidente ecc.).
La risposta della persona all’evento traumatico è estremamente variegata e comporta paura intensa, sentimento di impotenza e/o orrore; tale evento viene rivissuto frequentemente con ricordi particolarmente spiacevoli, invasivi e ricorrenti (pensieri, percezioni, incubi, sogni poco piacevoli, sonno disturbato, irritabilità, collera immotivata, ipervigilanza, difficoltà a concentrarsi, disagio psicologico intenso nel momento in cui si viene esposti a fattori scatenanti che ricordano anche in parte qualche aspetto dell’evento traumatico).
Il disturbo post traumatico da stress può insorgere anche diverso tempo dopo il verificarsi dell’evento traumatico; la sua durata può essere di qualche mese, ma può assumere anche i contorni della cronicità; per questo motivo è sempre necessario trattare il problema il più rapidamente possibile.
Diffusione
Non è facile dare dati precisi sulla diffusione del disturbo post traumatico da stress; secondo diversi studi si ritiene che la sua prevalenza oscilli tra l’1 e il 9% della popolazione generale e possa addirittura raggiungere il 50-60% in sottogruppi di soggetti che sono stati esposti a traumi ritenuti di particolare gravità. Va anche considerato il fatto che non esiste, a tutt’oggi, un consenso generalizzato sulla definizione di disturbo post traumatico da stress. Negli USA, dove questa denominazione è stata coniata, il National Institute of Mental Health (NIMH) ha stimato che 5,2 milioni di statunitensi tra i 18 e i 54 anni siano affetti da questo problema. Sempre secondo il NIMH, circa il 30% dei veterani reduci dalla guerra in Vietnam hanno sviluppato una forma di disturbo post traumatico da stress dopo l’evento bellico. Una percentuale minore è quella relativa ai veterani della prima Guerra del golfo (8% circa).
Gli studi effettuati fino a oggi mostrano che i soggetti di sesso femminile sono maggiormente soggetti a sviluppare il disturbo post traumatico da stress in seguito all’esposizione a un evento traumatico; categorie a rischio particolare sono quelle dei bambini, degli adolescenti e dei soccorritori.
Disturbo post traumatico da stress – Diagnosi e sintomi
Secondo quanto riportato dal già citato Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, i criteri diagnostici relativi al disturbo post traumatico da stress sono i seguenti:
A – Il soggetto è stato esposto a un evento traumatico nel quale erano presenti le due caratteristiche sottoriportate:
1) La persona ha vissuto, ha assistito o comunque si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altre persone.
2) La risposta del soggetto comprendeva paura intensa, senso di impotenza oppure di orrore. Nei bambini ciò può essere espresso attraverso un comportamento agitato o comunque disorganizzato.
B – L’evento traumatico viene rivissuto in modo persistente in uno, o più, dei seguenti modi:
1) Il soggetto ha ricordi spiacevoli, intrusivi e ricorrenti dell’evento (immagini, pensieri ecc.); nel caso di bambini si possono manifestare dei giochi ripetitivi durante i quali vengono espressi degli aspetti che hanno a che fare con l’evento traumatico.
2) Il soggetto fa, in modo ricorrente, dei sogni spiacevoli che riguardano l’evento. Nei bambini i sogni possono essere molto spaventosi, ma non è detto che essi siano in grado di descriverne il contenuto.
3) Il soggetto agisce o avverte come se l’evento traumatico si stesse di nuovo manifestando (allucinazioni, episodi di flashback, illusioni ecc.). Nei bambini si possono avere delle rappresentazioni ripetitive del trauma.
4) Il soggetto prova un disagio psicologico notevolissimo qualora si trovi esposto a fattori scatenanti (che possono essere interni o esterni) che simboleggiano o comunque assomigliano in alcuni aspetti all’evento traumatico.
5) Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
C – Evitamento persistente degli stimoli che sono associati al trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
1) Sforzi compiuti allo scopo di evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associati con l’evento traumatico.
2) Sforzi compiuti allo scopo di evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi dell’evento traumatico.
3) Incapacità di ricordare alcuni degli aspetti importanti relativi all’evento traumatico.
4) Notevole diminuzione dell’interesse o della partecipazione ad attività significative.
5) Sentimenti di distacco o di estraneità verso le altre persone.
6) Affettività ridotta (per esempio, incapacità di provare sentimenti di amore).
7) Sentimenti di riduzione delle prospettive future (per esempio, ritenere di non poter mai costruire una famiglia o di non poter avere una carriera lavorativa di una certa importanza ecc.).
D – Sintomi persistenti di aumentato arousal* (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
1) Difficoltà nell’addormentarsi oppure nel mantenere lo stato di sonno.
2) Irritabilità o scoppi di collera.
3) Difficoltà di concentrazione.
4) Ipervigilanza.
5) esagerate risposte di allarme.
E- La durata del disturbo (sintomi in B, C e D) è superiore ai 30 giorni.
F – Il disturbo provoca un disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, in quello lavorativo o di altre aree importanti.
Il disturbo post traumatico da stress viene definito acuto qualora la durata dei sintomi sia inferiore ai 3 mesi, è definito cronico nel caso di durata superiore ai 3 mesi e a esordio ritardato quando i sintomi si manifestano dopo almeno 6 mesi dal verificarsi dell’evento traumatico.

Il disturbo post traumatico da stress è detto anche “nevrosi da guerra” in quanto inizialmente riscontrato in soldati coinvolti in combattimenti o in situazioni belliche di notevolissima drammaticità
Disturbo post traumatico da stress – Cura
Le possibilità di trattamento del disturbo post traumatico da stress sono diverse. Analizziamo brevemente quelli più note.
Esposizione – Serve a ridurre le situazioni di evitamento; il paziente viene sollecitato a rivivere l’evento che ha determinato il trauma nella propria immaginazione e a raccontarlo allo psicoterapeuta. Si tratta di una procedura il cui obbiettivo principale è quello di consentire al soggetto di percepire e valutare in maniera controllata quello che rappresenta l’oggetto della sua paura. L’esposizione, effettuata in modo graduale, permette alla persona di riappropriarsi di quelle funzionalità sociali e quotidiane che sono andate perdute in seguito agli evitamenti causati ai sintomi ansiosi. È ovviamente necessaria la piena collaborazione del soggetto e, se lo psicoterapeuta lo ritiene opportuno, può essere coinvolto anche un familiare.
Rilassamento e respirazione addominale – Si tratta di tecniche che il soggetto può utilizzare quotidianamente e autonomamente quando avverte il bisogno di alleggerire le sensazioni di tensione e di stress.
Ri-etichettamento delle sensazioni somatiche – La discussione con il paziente dei motivi dei singoli sintomi, con eventuali esempi anche tarati sulle normali esperienze della vita quotidiana ha la funzione di normalizzare e decatastrofizzare la condizione soggettiva del paziente.
Ristrutturazione cognitiva – Il paziente viene aiutato a riconoscere i propri pensieri automatici e spontanei che sono legati all’evento stressante, pensieri che sono intrusivi, rapidi e istantanei. Allenarsi a percepire i propri pensieri e anche i propri atteggiamenti ha un’importanza fondamentale ai fini terapeutici perché consente al soggetto di prendere coscienza di come ciò è in grado di modificare il proprio stato emotivo. Grazie alla ristrutturazione cognitiva il paziente può modificare i propri schemi a favore di spiegazioni diverse più realistiche, concrete e adattive. Di notevole importanza è il lavoro con uno o più familiari; tramite esso, infatti, oltre a ottenere la collaborazione in eventuali coinvolgimenti nel lavoro di esposizione (vedasi il primo punto trattato) si può anche ottenere una collaborazione nella gestione delle relazioni domestiche.
EMDR (Eye Movement Desensitisation and Reprocessing) – Si tratta della cosiddetta desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari; si tratta di una metodologia relativamente recente (è stata messa a punto alla fine degli anni ’80 del secolo scorso da Francine Shapiro; la tecnica è basata sull’assunto che alcuni stimoli esterni possono avere una notevole efficacia nel far superare un trauma anche molto grave; in particolare, l’effettuazione di determinati movimenti oculari da parte del soggetto nel momento in cui sta rievocando l’evento gli consente di riprendere o di accelerare l’elaborazione delle informazioni connesse all’evento traumatico.
Homework – Si tratta dei “compiti a casa” per usare un linguaggio scolastico. Si tratta di procedure che dovrebbero essere effettuata fra una seduta e l’altra. I “compiti” vengono progettati dal terapeuta in collaborazione con il paziente; spesso si tratta di diari di automonitoraggio o di schede di analisi delle varie cognizioni associate agli eventi.
* L’arousal viene definito come uno stato generale di attivazione e reattività del sistema nervoso, in risposta a stimoli che possono essere interni (soggettivi) oppure esterni (ambientali e sociali).
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