Il disturbo evitante di personalità (DEP), noto nei Paesi di lingua inglese come Avoidant Personality Desorder (APD o AvPD), conosciuto anche come disturbo ansioso di personalità, è un disturbo di personalità che nel DSM IV-TR (la quarta revisione del Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) viene descritto come un “quadro pervasivo di inibizione sociale, sentimenti di inadeguatezza, ipersensibilità a valutazioni negative, che compare entro la prima età adulta, ed è presente in una varietà di contesti…”.
Per poter parlare di disturbo evitante di personalità dovrebbero essere soddisfatti almeno quattro di sette criteri specifici; il soggetto:
- evita attività lavorative che implicano contatti personali significativi per timore di critiche, disapprovazioni oppure rifiuti;
- è riluttante a coinvolgersi con le persone a meno di non avere la certezza di essere accettato;
- mostra ritengo all’interno di relazioni intime in quanto ha il timore di essere deriso o ridicolizzato;
- è preoccupato di essere criticato o rifiutato nel contesto di situazioni sociali;
- è inibito nelle nuove situazioni interpersonali in quanto prova sensazioni di inadeguatezza;
- si vede come socialmente incapace, non attraente a livello personale o inferiore alle altre persone;
- è insolitamente riluttante a intraprendere rischi personali o a impegnarsi in una qualsiasi nuova attività in quanto può provare imbarazzo.
Il disturbo evitante di personalità non è particolarmente diffuso, dai dati presenti in letteratura sembra riguardare circa lo 0,50-1% della popolazione generale. Non si hanno informazioni precise né su come il disturbo si distribuisce nei due sessi né sulla presenza di familiarità.
Disturbo evitante di personalità: le cause
Le cause del disturbo evitante di personalità non sono ancora state definite con certezza; la letteratura scientifica propone come fattori di rischio principali per lo sviluppo del disturbo due aspetti fra loro interagenti che si potenzierebbero reciprocamente:
- un contesto familiare e sociale caratterizzato da storie di abuso fisico, rifiuto da parte dei genitori, atteggiamenti che sarebbero rinforzati dal rifiuto dei propri coetanei, precoci esperienze di vita che hanno portato a un esagerato desiderio di accettazione e a una notevole intolleranza alle critiche.
- fattori genetico-temperamentali che porterebbero la persona allo sviluppo dell’evitamento.
Molte persone affette dal disturbo evitante di personalità riferiscono comunque, al contrario di molti altri, di avere avuto genitori eccessivamente protettivi che hanno impedito loro di sviluppare compiutamente la propria personalità.
Come si manifesta il disturbo evitante di personalità
Da quanto riportato nei paragrafi precedenti, ben si capisce perché una persona affetta da disturbo evitante di personalità (da non confondersi con il disturbo antisociale di personalità, tipico dei sociopatici) abbia la tendenza a stare in solitudine; la persona, infatti, allo scopo di evitare esperienze deludenti o dolorose nonché la sensazione di essere escluso dagli altri, ha la tendenza a condurre una vita alquanto ritirata; questa sorta di ritiro è causa di un’esistenza caratterizzata dalla tristezza e dalla mancanza di stimoli, ma evita alla persona di esporsi e di vivere il malessere derivante dal suo senso di inferiorità e inadeguatezza.
Pur avendo un intimo desiderio di relazioni (sia affettive che di amicizia), il soggetto affetto dal disturbo evitante di personalità tende a evitarle per evitare confronti che potrebbero metterlo in imbarazzo o addirittura umiliarlo. Le uniche relazioni a cui non si sottrae sono quelle abituali e che sente come tranquillizzanti e rasserenanti (per esempio quelle con i familiari più stretti); il bisogno di una vita di relazione, rimanendo inespresso, è causa di un notevole senso di vuoto o di un senso di esclusione alquanto doloroso.
Di fatto, chi è affetto dal disturbo evitante di personalità assiste alla vita delle altre persone come spettatore passivo; sente di non appartenere a nessun gruppo e nelle situazioni di coppia non è in grado di trovare un qualsivoglia elemento di condivisione con l’altra persona.
Quando il soggetto non può evitare il confronto con gli altri, avverte il disagio derivante dalla sensazione di non essere “visto”, non si sente “considerato”, come se fosse una persona di scarso valore. Di fatto, il soggetto ritiene di non essere attraente e di non essere in grado di proporre agli altri qualcosa di interessante.
L’evitare ciò che provoca malessere ed emozioni negative diventa quindi l’unico modo di autoproteggersi, appare però abbastanza ovvio che un comportamento del genere finisce per essere una sorta di boomerang in quanto non fa altro che impedire lo sviluppo di quelle abilità necessarie a relazionarsi con le altre persone.
Allo scopo di vivere sensazioni che possano regalarle una sensazione di benessere, la persona predilige occupazioni che possono essere svolte senza che si renda necessario essere a contatto con altre persone. Non mancano poi coloro che fanno anche ricorso all’utilizzo di sostanze che ritengono efficaci sia per ridurre il loro malessere interiore sia per aiutarle a ritagliarsi uno spazio di piacere (sostanze stupefacenti, bevande alcoliche ecc.). In alcuni casi, lo stile di vita indotto dal disturbo evitante di personalità può contribuire allo sviluppo di un quadro di tipo depressivo.
Nel caso in cui un soggetto affetto da disturbo evitante di personalità riesca a stabilire una relazione con un’altra persona, tende ad avere, nei suoi confronti, un atteggiamento di sottomissione, assecondandola in tutto e per tutto, in quanto ha paura di perderla e di tornare a essere solo. Alla lunga però questo atteggiamento può portare a reazioni rabbiose che non sempre è in grado di controllare appieno; questo perché chi è affetto dal disturbo non sopporta l’idea di vivere il rapporto di coppia come se fosse l’unico modo di uscire dalla sua condizione e tende a “esplodere” rabbiosamente nel momento in cui si trova ad affrontare situazioni difficili con il proprio compagno.
Come guarire?
Per trattare il disturbo evitante di personalità si può fare ricorso a diverse tecniche; in alcuni casi hanno mostrato una certa efficacia il trattamento psicoterapeutico individuale e quello di gruppo.
Le varie modalità terapeutiche utilizzate nel disturbo evitante di personalità vengono spesso associate a strategie di tipo comportamentale e di “skills training” (allenamento alle abilità); quest’ultimo è un trattamento che si pone come obiettivo principale il potenziamento di quelle specifiche abilità che risultano essere carenti nei soggetti sofferenti del disturbo in questione (per esempio il gestire i rapporti interpersonali e regolare le emozioni di notevole intensità).
In alcuni casi, in determinate fasi del trattamento, si ricorre anche al trattamento farmacologico; questo è in genere basato su ansiolitici; non è escluso il ricorso agli inibitori della ricaptazione della serotonina nel caso si debba trattare la sintomatologia tipica della fobia sociale.
Disturbo evitante di personalità: una testimonianza
In famiglia la situazione è sempre stata devastante a causa di mio padre. Un perfetto “bravo ragazzo”: secondo lui tutto (ma proprio tutto) ciò che si può fare è stabilito da regole che non possono mai essere messe in discussione da nessuno. Ecco che
- ci si deve sposare (anche se il partner è incompatibile)
- si devono fare per forza i figli (altrimenti il mondo non potrebbe andare avanti)
- lavorare tutta la vita per mantenerli.
Ha sposato una donna debole ed insufficiente con lui totalmente incompatibile (visione della vita, aspettative economiche, educazione dei figli ecc.) che non stima minimamente, che non ama e che invece detesta (mai visto un solo bacio, mai visti tenersi per mano una sola volta) e ha deciso di avere figli che dopo 25 anni non conosce minimamente. Passare del tempo con loro sarebbe “da imbecilli”, bisogna pensare a lavorare e fare in modo che le cose “vadano avanti” a modo suo (come gli è stato insegnato), «La donna può fare questo, l’uomo quest’altro» ecc.. «Le cose sono sempre andate avanti così».
Dopo pochi anni inizia a lamentarsi delle condizioni in cui si trova. Tutti i giorni deride la moglie, (ormai rassegnata) e i figli che non capiscono nulla, non sono capaci di fare nulla e non valgono nulla. Ogni cosa che dicono è sbagliata e non viene mai presa in considerazione, e sicuramente se si ritornasse alla vita di 50 anni fa (come si augura) non saprebbero sopravvivere, morirebbero. Agisce solo per dovere nei confronti dei familiari e praticamente mai per piacere (cosa che invece fa verso amici e conoscenti). Se una cosa è necessaria per la sopravvivenza altrui agisce (magari qualche volta lamentandosi), altrimenti è “da idioti”. Vede un mondo completamente diverso da quello di 50 anni fa, irriconoscibile, dove i figli non iniziano a lavorare subito, dove non si fanno più le stesse cose di una volta, dove non vale più la pena vivere. Ogni cosa viene confrontata con la vita passata e ogni volta si dispera per questo cambiamento nella società. Tutto prima era perfetto e tutti i problemi di oggi derivano dal cambiamento della società perché “prima non era così”: invoca quindi sempre la fine del mondo.
Si litiga tutti i giorni e tutte le ore con la moglie e i figli e una qualsiasi frase detta in famiglia viene utilizzata per cominciare a litigare (litigi a cui io non partecipo mai, rimango in silenzio). Ogni momento passato insieme a lui è un momento di umiliazione perché è totalmente insoddisfatto della sua vita che passa il suo tempo a massacrare gli altri. La comunicazione con lui è impossibile, perché porta inevitabilmente al litigio (grazie ad errori stupefacenti nel dialogo), alle accuse e alle minacce. L’ho capito da bambino (osservando gli altri) e da allora non ho più conversato con lui, mentre gli altri componenti della famiglia non l’hanno mai capito e ogni giorno volendo avere ragione con lui arrivano all’esasperazione. Ogni cosa relativa alla vita della famiglia è una lamentela: la gita scolastica, portare il figlio in auto dall’amico che abita al paese vicino, lo spazio che non esiste perché si è in troppi, ecc. Insomma: la presenza dei familiari. Vivendo con lui purtroppo non si può avere nemmeno un briciolo di autostima.
In tutti questi anni io mi sono “rassegnato”, facendo in modo da limitare al minimo i danni in famiglia, continuando ad evitare tantissime cose per soffrire il meno possibile, mentre quasi tutti gli altri componenti della famiglia non hanno seguito il mio esempio e hanno sempre litigato furiosamente con lui tutti i giorni nel tentativo di ottenere qualcosa, di contrastarlo, di avere ragione.
Avere degli oggetti d’amore è impossibile perché mancano sempre tempo, voglia, soldi, spazio ecc. e la cosa porterebbe a tanti litigi e lamentele. Rinuncio a fare tante cose perché dovrei farle con una superficialità incredibile e la cosa mi riempirebbe di tristezza. È riuscito cioè a creare un “regno di sopravvivenza” che ingloba tutta la famiglia, ma va bene così perché nessuno rischia di morire e si riesce ad andare avanti. La situazione è irreversibile ed è sempre stata così disastrosa che non esagero se dico che è un miracolo che nessun membro della mia famiglia si sia ucciso in tutti questi anni.
Certo, ci si poteva anche non sposare e si poteva anche non avere dei figli (che sono stati per la coppia praticamente una condizione invalidante, se c’è “qualcuno” che ha capito benissimo quanto avere dei figli possa essere penalizzante nei confronti della qualità della vita quello sono io), ma sarebbe stato “troppo facile”, “troppo comodo”, la vita per chi non ha proprio “nulla a cui pensare”.
Nonostante questo tutti gli vogliono bene e lui ne vuole alla sua famiglia, solo “non è il caso di amarla”. Personalmente non me la sento di condannare un “bravo ragazzo”. Posso comprendere che una persona, vedendo magari tanta sofferenza intorno a sé da giovane possa aver assorbito tutta una serie di regole che garantivano una sopravvivenza, ma non sono certo il massimo se applicate oggi (in questo la personalità vecchia “aiuta”). Non è assolutamente una persona cattiva, ma la sua personalità senza accorgersene ha dato e sta dando gravi problemi alla sua famiglia. Non posso comunque non considerare i valori che mio padre mi ha trasmesso in tutti questi anni, come l’onestà e la semplicità.
Da adolescente ero debole e terribilmente ansioso. Ho avuto un solo amico che purtroppo cominciava la sua vita con tante, tante condizioni penalizzanti. A scuola come avrà già intuito è stato un massacro. Io e il mio amico già dai primi anni eravamo molto diversi dagli altri, molto più equilibrati e con molto più spirito critico. Gli altri ragazzi in gruppo (adorati e difesi dalle ragazze che avrebbero dato la vita per loro e a cui noi facevamo schifo) ci hanno massacrato tutti i giorni (nessuno escluso) per più di cinque anni alle scuole medie e superiori. Ogni luogo (classe, palestra ecc.) e situazione veniva utilizzata per distruggerci e farci stare male.
Inizialmente avevamo avvertito i professori più volte, ma sono sempre rimasti praticamente indifferenti. Facevano sempre finta di niente ed alcuni di loro erano troppo deboli per impensierire i ragazzi e il massimo che mi sono sentito dire da uno di loro è stato un “ìsolati”.
Durante l’adolescenza non sono mai praticamente uscito di casa perché sarebbe stato davvero pericoloso. Quando costretto ad uscire stavo attento ad evitare luoghi e situazioni che mi avrebbero messo a disagio.
Uscivo solo per andare a casa del mio amico (che si trovava nelle mia stessa situazione), a pochi metri dalla mia. Eravamo ragazzi molto strani, sicuramente non normali. Niente alcol, fumo, discoteca, calcio, gadget costosi, tatuaggi, vacanze ecc. Abbiamo avuto un’adolescenza totalmente diversa da quella degli altri. Cercavamo un po’ di amore ed eravamo sensibili, profondi. Volevamo studiare e capire la vita.
Mi sono diplomato con il massimo dei voti dopo un anno con voti altissimi sia nelle materie umanistiche che in quelle scientifiche, dopo che i compagni violenti erano stati tutti bocciati al quarto anno. Nello stesso anno ho iniziato l’università. Dei ragazzi della mia età al mio paese e dalle scuole superiori ero l’unico ad aver scelto l’università. Questo non è nemmeno il dato più desolante: avere il diploma è un’impresa per loro (meno della metà lo ha) e non sono molti i ragazzi che riescono a parlare e scrivere in modo decente. C’è chi a 24-25 anni è ubriacone e frequenta ancora la discoteca, chi fa discorsi spaventosi, ci sono ragazze che fanno figli a caso e si fanno di droga davanti a loro insieme al partner, ecc. Io cominciavo l’università ed ero definito dagli altri come “malato”.
Mi sono iscritto ad un’autoscuola per dare una svolta alla mia vita, ma l’esperienza avuta è stata tra le più brutte. Ho scoperto di soffrire di agorafobia durante le lezioni di guida: diventavo bianco, tremavo, avevo paura, sudavo freddo. Inizialmente l’istruttore si era dimostrato comprensivo, ma dopo alcune guide disastrose dove vedeva (e diceva) che ero troppo ansioso e stavo sempre male ha cominciato a deridermi e umiliarmi. L’ansia era tantissima prima, durante e dopo le guide. Non si era mai vista una cosa del genere nella storia della sua autoscuola, ero “un po’ particolare”, non ero una persona normale, forse nemmeno un uomo. Continuava a gridare e prendermi in giro e dopo tante guide mi ha detto che se suo figlio gli avesse fatto una cosa del genere «Un ceffone non glielo avrebbe levato nessuno». Queste parole purtroppo sono sempre presenti nella mia mente da anni e mi fanno soffrire molto tutti i giorni. Non so nemmeno quando sarò in grado di guidare un’auto nella vita e cosa più importante quando imparerò ad essere autosufficiente.
Ogni giorno ciò che sento dire dalla gente, ciò che leggo sui social network e quello che vedo in televisione (totalmente avvilente per me) mi fa capire come io abbia avuto una vita completamente diversa da quella degli altri e come io sia totalmente sbagliato per questa società. Non mi sento un uomo o una persona da tenere in considerazione. Mi sento sempre più inadeguato e sfiduciato, abbandonato dalla società e la sensazione è quella di non avere più una via d’uscita. Negli ultimi anni riflettendo sulla mia intera vita ho iniziato a pensare con convinzione che per questa società sarebbe meglio se fossi morto.
Passo le giornate chiuso in casa (praticamente ora il 100% del mio tempo) perché è il luogo che mi fa soffrire di meno ed il futuro che vedo è nero, non c’è nessuna prospettiva. Vorrei trovare lavoro per non sentirmi così in colpa (tutti i giorni da tanti anni mio padre si lamenta dei pochi soldi), ma mi sento incapace di lavorare. Sento di non avere capacità (requisito fondamentale per lavorare secondo il Personalismo) e non riuscirei comunque ad allontanarmi da casa da solo, ad entrare in negozi, supermercati, luoghi non familiari ecc. a causa dell’agorafobia, una strana forma di invalidità che la maggior parte delle persone non conosce e di cui non sospetterebbe nemmeno dell’esistenza.
Potrei riuscire ad avere una vita sentimentale, che è sempre stata vuota tutti i giorni della mia vita. Non sono mai stato stimato da nessuna ragazza, anzi. Sono troppo diverso dagli altri ragazzi: ho molto spirito critico e non va bene, mi ritengo una persona molto buona (con il mio mondo dell’amore, ovvio: amo gli altri come se venissero a mancare domani), ho una vita molto semplice e la cosa non è mai stata apprezzata, limito al minimo i miei spostamenti (ad esempio non sono mai andato in vacanza nemmeno una volta nella vita e solo il pensiero mi mette tristezza: non capisco che bisogno esista di partire, tutti i giorni dell’anno suono la mia chitarra e non posso certo allontanarmi da lei), condanno l’apparenza e chi non ha una vita semplice e non è una cosa ben vista, spendo pochissimo e solo per i miei oggetti d’amore, ho interessi molto strani e socialmente poco rilevanti, non bevo e non fumo, non urlo per un goal della squadra del cuore ecc. Molto meglio chi è violento, ubriacone, superficiale, ignorante e totalmente inaffidabile. Insomma: sono troppo diverso e non sono praticamente mai stato accettato nella vita venendo apprezzato solo da chi ha avuto gravi problemi e condizioni penalizzanti.
Potrei continuare l’università che però per ora è stata disastrosa: in 5 anni sono riuscito a guadagnare 1/3 dei crediti per la laurea triennale. Un dato che lascia pochissime speranze e che nessuno conosce perché non ho il coraggio di dirlo alla mia famiglia e ad altre persone. In “La Felicità è possibile” viene detto che non è mai troppo tardi e che è meglio superare un esame all’anno piuttosto che rimandare il tutto, ma ricordo un tweet dove diceva che chi non è al passo con gli esami sostanzialmente non ha futuro. Beh, non avrei proprio alcun futuro. La differenza con la sua carriera universitaria è sconvolgente e quando ho letto che è riuscito a laurearsi ancora prima dei tempi previsti (e con il massimo dei voti) ci sono rimasto molto male. Se un osservatore esterno confrontasse le due carriere potrebbe concludere che io non mi sono impegnato affatto in questi anni e che sono un fannullone (cosa che non è perché ho sempre cercato di buttare il cuore oltre l’ostacolo) e la cosa mi fa soffrire. Forse potrebbe anche concludere, e a questo punto non mi stupirebbe, che meriterei un pugno o una coltellata da parte dei genitori.
Non riesco più a studiare oppure riesco a malapena e negli ultimi due anni pur impegnandomi moltissimo ho superato solamente due esami. Non riesco ad avere la concentrazione e la determinazione che aveva lei quando studiava interessandosi alla qualità della sua vita. Penso di non essere in grado di superare l’esame, non riesco a svolgere esercizi e a trovare supporto (nemmeno quello dei professori: solo pochissimi mettono a disposizione delle dispense, gli altri dicono di non avere tempo), non riesco a seguire durante le lezioni perché ho costantemente pensieri negativi e di autosvalutazione, evito gli esami con l’orale perché mi mettono troppo in difficoltà (vedendo l’ansia e l’insicurezza i professori potrebbero deridermi, non è così improbabile…), non seguo più un corso se il professore fa uscire gli studenti alla lavagna, ecc. E ovviamente ogni giorno a casa non c’è pace, la confusione è totale e ci si deve sentire in colpa, pentirsi di essere nati.
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