Dislipidemia è un termine generico con il quale si fa riferimento a un’alterazione patologica della quantità di lipidi (grassi) presenti nel sangue; a seconda che le quantità di lipidi (colesterolo, trigliceridi, fosfolipidi e acidi grassi liberi) siano presenti in eccesso o in difetto si parla rispettivamente di iperlipidemia e ipolipidemia.
Le principali iperlipidemie sono l’ipertrigliceridemia (eccesso di trigliceridi nel sangue; popolarmente si parla di trigliceridi alti) e l’ipercolesterolemia (colesterolo alto); le principali ipolidemie sono l’ipocolesterolemia e l’ipotrigliceridemia.
In linea generale, le forme di dislipidemia più comuni sono le iperlipidemie, in particolar modo per quanto riguarda i Paesi industrializzati.
Come vedremo, si possono avere forme di dislipidemia primitive (ovvero su base genetica) e secondarie (vale a dire acquisite).
Le dislipidemie sono condizioni molto comuni e che non devono essere assolutamente sottovalutate in quanto rappresentano uno dei principali fattori di rischio per lo sviluppo di aterosclerosi (una seria condizione patologica a carico delle pareti interne arteriose caratterizzata dalla presenza dei cosiddetti ateromi; questi ultimi sono placche costituite da materiale lipidico, proteico e fibroso) e, in alcuni casi (ipertrigliceridemia familiare), per lo sviluppo di pancreatite acuta.
Esiste una definizione numerica di dislipidemia?
Non esiste una vera e propria soglia naturale fra valori normali e anormale dei lipidi nel sangue, ma si ritiene che esista un rapporto di linearità fra i livelli lipidici e il cosiddetto rischio cardiovascolare, così che molti soggetti in cui la colesterolemia risulta “normale” hanno dei benefici dall’ottenimento di livelli di colesterolo nel sangue ancora minori; non esiste, quindi, una definizione numerica di dislipidemia; effettivi benefici risultano più evidenti in quei casi in cui si riesce a ottenere una riduzione dei livelli elevati di lipoproteine a bassa densità (LDL); meno evidenti, nella popolazione generale, invece, sono i vantaggi della riduzione di elevati livelli di trigliceridemia e dell’aumento di bassi valori di lipoproteine ad alta densità (HDL).
Per inciso, i livelli di HDL non sempre aiutano nel predire il rischio cardiovascolare; per esempio, elevati livelli di colesterolo HDL (colesterolo buono) causati da patologie genetiche possono non proteggere da malattie cardiovascolari, mentre, viceversa, bassi livelli della medesima proteina, sempre determinati da malattie genetiche, non sempre significano un aumento del rischio di patologie cardiovascolari.
La classificazione di Fredrickson
La più nota classificazione delle dislipidemie è quella di Fredrickson; in base a essa si distinguono sei tipi di dislipidemia (fonte immagine: Wikipedia).
Un altro sistema distingue le varie forme di dislipidemia fra primarie e secondarie suddividendole inoltre sulla base dell’incremento dei livelli del solo colesterolo (ipercolesterolemia pura o isolata), dei soli trigliceridi (ipertrigliceridemia pura o isolata) o di entrambi (iperlipidemia mista o combinata). Questo sistema non tiene di conto specifiche alterazioni delle lipoproteine (per esempio, bassi livelli di lipoproteine HDL o alti valori di lipoproteine LDL) che possono contribuire alla patologia nonostante si registrino valori normali di colesterolo e di trigliceridi.
Cause
Come accennato in precedenza si hanno forme di dislipidemia primarie e secondarie; le dislipidemie primarie sono dovute a mutazioni genetiche responsabili di una produzione eccessiva o di una ridotta eliminazione di trigliceridi o di colesterolo LDL (il cosiddetto colesterolo cattivo) oppure di una ridotta produzione o un’eccessiva eliminazione di colesterolo HDL.
Vi sono poi cause secondarie, responsabili di moltissimi casi (la maggioranza) di dislipidemia nei soggetti in età adulta; quella sicuramente più importante è l’associazione di uno stile di vita sedentario a un apporto dietetico eccessivo di grassi saturi, colesterolo e grassi trans.
Altre importanti cause di dislipidemia sono:
- diabete mellito (si parla in questo caso di dislipidemia diabetica, spesso aggravata da uno stile di vita scorretto)
- abuso di bevande alcoliche e superalcoliche
- ipotiroidismo
- nefropatia cronica
- cirrosi biliare primitiva
- malattie colestatiche del fegato
- assunzione di determinati farmaci (per esempio, tiazidici, beta-bloccanti, retinoidi, glucocorticoidi ecc.).
Contribuiscono alla riduzione dei livelli di colesterolo buono l’abitudine al fumo, l’assunzione di steroidi anabolizzanti, la sindrome nefrosica e l’infezione da HIV.
Dislipidemia – Sintomi
In sé e per sé la dislipidemia è una condizione patologica asintomatica, ma, ovviamente, può indurre nel medio-lungo termine a patologie cardiovascolari sintomatiche (per esempio, arteriopatie periferiche e coronaropatie) con tutte le gravi conseguenze del caso.
Un’ipertrigliceridemia particolarmente elevata (trigliceridi >1.000 mg/dL) può essere causa di pancreatite acuta, una patologia particolarmente grave, non facile da gestire, che può avere esito fatale.
La presenza di elevati livelli di colesterolo LDL e o trigliceridi può causare l’insorgenza di xantelasmi e xantomi.

Non esiste una definizione numerica di dislipidemia; effettivi benefici risultano più evidenti in quei casi in cui si riesce a ottenere una riduzione dei livelli elevati di lipoproteine a bassa densità (LDL).
Come si fa la diagnosi
La diagnosi di dislipidemia richiede l’esecuzione di alcuni esami del sangue (il cosiddetto profilo lipidico sierico: colesterolo totale, trigliceridi, e colesterolo HDL misurati e colesterolo LDL e VLDL calcolati).
Il sospetto di dislipidemia si pone in quei soggetti in cui si riscontrano reperti caratteristici o complicanze di tale alterazione (per esempio, l’aterosclerosi); le forme primarie si sospettano in quei soggetti nei quali sono presenti segni obiettivi di dislipidemia, aterosclerosi prematura (età inferiore ai 60 anni), anamnesi familiare per aterosclerosi o livelli di colesterolemia >240 mg/dL.
Nel caso di forme secondarie, fra gli esami da eseguire vi sono anche le misurazioni dei livelli di glicemia a digiuno, della creatinina, del TSH, degli enzimi epatici e della proteinuria.
Dislipidemia – Cura
La cura della dislipidemia è opportuna in tutti coloro che sono affetti da malattie cardiovascolari (in questo caso si parla di prevenzione secondaria) e per alcuni soggetti che non ne sono affetti (prevenzione primaria). Le attuali linee guida raccomandano in primis la riduzione dei livelli di colesterolo LDL (quello cattivo) e, in seconda battuta, il trattamento dei bassi livelli di HDL, della sindrome metabolica e dell’ipertrigliceridemia.
Di fondamentale importanza l’adozione di un corretto stile di vita (attività fisica costante, alimentazione equilibrata, corretta gestione del peso, abolizione del fumo ecc.).
Nel caso in cui i livelli di colesterolo LDL rimanessero elevati nonostante il cambiamento nello stile di vita deve essere presa in considerazione la terapia farmacologica (statine, sequestranti degli acidi biliari ecc.).
In caso di ipertrigliceridemia o bassi livelli di colesterolo HDL possono essere d’aiuto i fibrati e /o la niacina.
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