La clamidia è una patologia sessualmente trasmissibile causata da un batterio Gram- parassita intracellulare obbligato, Chlamydia trachomatis; quest’ultima è l’unica specie di clamidia patogena per gli esseri umani; in passato venivano inquadrati nel genere Chlamidya anche altre due specie patogene ora appartenenti al genere Chlamydophila, Chlamydia pneumoniae (ora Chlamydophila pneumoniae) e Chlamydia psittaci (ora Chlamydophila psittaci).
La Chlamydia trachomatis comprende diversi sierotipi che sono associati a diversi quadri clinici; i sierotipi L1, L2 e L3 sono responsabili del linfogranuloma venereo; i sierotipi A, B, Ba e C sono associati al tracoma, mentre i sierotipi D, E, F, G, H, I, J e K sono associati a varie forme di congiuntivite, infezioni genitali e polmonite del neonato.
La clamidia, attualmente, è la patologia a trasmissione sessuale più diffusa a livello mondiale per quanto riguarda i Paesi industrializzati e ovunque il trend è in aumento.
Secondo stime effettuate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la prevalenza dell’infezione da clamidia nelle donne di età compresa tra i 16 e i 24 anni è del 24-27% circa.
Le percentuali di prevalenza variano moltissimo a seconda delle zone geografiche, ma la variabilità nei dati può dipendere in parte anche dal livello qualitativo dei vari servizi sanitari nazionali e quindi dalla loro capacità di rilevare la presenza dell’infezione nella popolazione (la patologia è spesso asintomatica o dà luogo a una sintomatologia piuttosto sfumata).
Nel nostro Paese la patologia non è soggetta a notifica; secondo quanto riportato dall’OMS, l’Italia risulta essere uno dei Paesi europei con la più bassa prevalenza della patologia in questione.
Clamidia – Trasmissione
La malattia si trasmette solitamente attraverso i rapporti sessuali di qualsiasi tipo. È possibile anche la trasmissione materno-fetale, ovvero una donna in stato interessante può, durante il parto, trasmettere l’infezione al neonato; nei neonati la clamidia si manifesta sotto forma di infiammazione agli occhi e all’apparato respiratorio; la clamidia risulta infatti essere una delle principali cause di congiuntivite e di polmonite nei bambini appena nati.
Clamidia – Sintomi e segni
La clamidia risulta asintomatica nella grande maggioranza dei casi, si ritiene che ciò si verifichi in circa il 70% delle donne e nel 50% degli uomini infettati.
Di norma, quando presenti, le manifestazioni cliniche della malattia fanno la loro comparsa dopo una o due settimane dall’infezione.
Nelle donne i sintomi possono essere di vario tipo: dolore durante i rapporti sessuali, dolori nella parte bassa dell’addome, perdite vaginali, perdite ematiche non legate al flusso mestruale, dolori nella minzione; negli uomini si possono registrare dolore nel corso della minzione, dolori testicolari, ingrossamento dei testicoli, prurito uretrale e perdite uretrali; nel caso in cui la patologia sia stata trasmessa in seguito a rapporti sessuali anali, si possono avere proctite (sia negli uomini che nelle donne) e cervicite (nelle donne); nel caso di rapporti orali la gola può essere infettata.
Una seria complicanza dell’infezione da Clamidia, fortunatamente non particolarmente frequente, è la cosiddetta sindrome di Reiter: tipicamente si sviluppa un’uretrite non batterica cui seguono dopo diverse settimane, febbre di lieve intensità, congiuntivite e artrite; abbastanza frequenti sono forme incomplete della sindrome in questione. L’artrite può essere di lieve o, al contrario, di notevole intensità. Di norma, la sindrome di Reiter trova risoluzione dopo alcuni mesi, ma in circa il 50% dei soggetti si registrano episodi ricorrenti di artrite, sia di breve che di lunga durata, o altre manifestazioni sempre legate alla sindrome.
Diagnosi
La diagnosi di clamidia è generalmente piuttosto semplice. La presenza della malattia può essere accertata tramite varie metodiche tra cui il test colturale, il test di immunofluorescenza diretta, la ricerca nelle urine di anticorpi anti clamidia e il test di biologia nucleare.
Il test colturale viene effettuato prelevando alcuni campioni di cellule del soggetto tramite tampone (cervicale o uretrale nelle donne, uretrale negli uomini); in seguito si effettua una coltura e si ricerca la presenza del batterio; il prelievo deve essere molto accurato perché c’è il rischio che non si riesca a individuare quelle infezioni da clamidia a bassa carica batterica.
Per molto tempo questo test (che richiede alcuni giorni di attesa, è lievemente invasivo e piuttosto costoso) è stato l’unico esame attendibile disponibile.
Poco costoso, rapido ed efficace è invece il test di immunofluorescenza diretta; il problema è la sua scarsa sensibilità e, conseguentemente, si possono registrare diversi falsi positivi.
Un altro test impiegabile è la ricerca nelle urine di anticorpi anti clamidia; viene utilizzato normalmente come test di screening per la malattia; rileva la presenza dell’antigene, ma non è possibile verificarne la sua concentrazione; non è immune da falsi positivi in quei soggetti che, una volta effettuata la terapia, risultano positivi agli anticorpi, anche nel caso in cui la carica batterica non sia più viva.
I test di biologia molecolare sono sicuramente attendibili e risolutivi in quanto sono in grado di rilevare la presenza del materiale genetico del batterio in causa, ma hanno costi molto elevati e, a causa di ciò, sono utilizzati soltanto nei casi in cui si debbano risolvere casi che hanno dato adito a dubbi.

La presenza di clamidia può essere accertata tramite varie metodiche tra cui il test colturale, il test di immunofluorescenza diretta, la ricerca nelle urine di anticorpi anti clamidia e il test di biologia nucleare.
Clamidia – Cura
La clamidia è un’infezione batterica e, di conseguenza, la cura si basa primariamente sulla somministrazione di farmaci antibiotici; fra quelli maggiormente utilizzati per curare la clamidia vanno ricordati l’azitromicina e la doxiciclina.
Il trattamento con azitromicina (somministrazione di una singola dose) è la terapia più diffusa; in alternativa si può ricorrere al trattamento con doxiciclina che ha una durata più lunga (dai 7 ai 10 giorni).
A prescindere dal tipo di cura scelta, la terapia antibiotica dovrebbe essere estesa anche al proprio partner sessuale così da prevenire il dilagare dell’infezione.
Nel corso della cura è decisamente opportuno astenersi da rapporti sessuali o, perlomeno, ricorrere al profilattico.
Nel caso di rapporti oro-genitali, l’infezione potrebbe interessare la regione faringea ed è quindi buona norma evitare lo scambio di baci fino a quanto il trattamento antibiotico non sarà giunto alla fine.
Nel caso di ceppi batterici particolarmente resistenti, potrebbe essere necessario ripetere il ciclo terapeutico.
Qualora i trattamenti antibiotici siano duraturi c’è il rischio di contrarre infezioni da candida e il medico potrebbe decidere di associare agli antibiotici una cura antifungina.
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