L’infezione da citomegalovirus è un’infezione molto comune. Il citomegalovirus (anche CMV, cytomegalovirus o herpes virus umano 5) è un virus diffuso globalmente che appartiene alla famiglia dei cosiddetti herpes virus, la stessa alla quale appartengono i virus che causano patologie molto comuni quali l’herpes simplex labiale, l’herpes simplex genitale, la varicella, il virus di Epstein-Barr (probabilmente più noto come mononucleosi infettiva) o patologie meno comuni come la cosiddetta sesta malattia, la pitiriasi rosea di Gibert (il probabile responsabile è l’herpes virus umano 7) e il sarcoma di Kaposi, causato dall’herpes virus umano 8.
Il termine citomegalovirus è dovuto al fatto che tale virus provoca un notevole aumento delle dimensioni delle cellule che colpisce.
Una volta contratta l’infezione, questa rimane latente e, come nel caso degli altri herpes virus, può riattivarsi in situazioni di immunodepressione.
Come detto, il citomegalovirus è un virus diffuso in tutto il mondo, ma, in linea generale, lo si riscontra con maggiore frequenza nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo e in quelle zone che si caratterizzano per le loro scarse condizioni socio-economiche. In base ai dati più recenti a nostra disposizione, la percentuale della popolazione mondiale che è entrata a contatto con il citomegalovirus è piuttosto elevata (60-90% circa).
Nel nostro Paese, in base a una recente ricerca, la sieroprevalenza per CMV si aggira attorno al 71% con il 2,3% di sieroconversione in gravidanza e lo 0,6% di infezione fetale.
Sintomi e segni dell’ infezione da citomegalovirus
Le infezioni sono generalmente asintomatiche; alcuni soggetti sviluppano forme leggere della patologia i cui sintomi sono molto generici (febbre, ingrossamento dei linfonodi, mal di gola, stanchezza ecc.).
Le cose possono cambiare nel caso di soggetti immunodepressi; in queste circostanze infatti l’infezione può determinare complicanze anche molto gravi a carico di fegato, occhi e sistemi gastrointestinale e nervoso.
Da un punto di vista medico, l’aspetto probabilmente più importante è rappresentato dalle infezioni da citomegalovirus contratte durante la gravidanza; infatti, se l’infezione viene contratta durante il periodo gestazionale e viene trasmessa al feto, quest’ultimo corre il rischio di danni permanenti che possono essere gravissimi. Quando la patologia viene contratta dal feto durante il periodo della gravidanza, si parla di citomegalovirus congenito. Vista la sua importanza, tratteremo questo aspetto più avanti in un paragrafo a parte.
Il contagio: come si contrae
L’uomo è il solo serbatoio dell’infezione. Il contagio può avvenire da soggetto a soggetto attraverso i fluidi corporei (latte materno, sangue, saliva, secrezioni vaginali, sperma e urina); l’infezione può quindi trasmettersi, per esempio, con rapporti sessuali, con baci sulla bocca, per contatto delle mucose orali con mani sporche di urina o saliva, con l’allattamento o per trasmissione madre-feto durante la gestazione. Altre modalità di contagio sono rappresentate da trasfusioni o trapianti di organi infetti.
L’eliminazione del virus dall’organismo infetto può avvenire anche dopo anni dalla prima infezione per cui si allungano molto i tempi in cui un soggetto infetto può contagiare un’altra persona (ciò spiega l’ampia diffusione del citomegalovirus).
Citomegalovirus in gravidanza
Come accennato in precedenza le infezioni congenite di citomegalovirus si verificano tramite trasmissione verticale da madre a feto. Si parla di citomegalovirus congenito primario quando l’infezione virale è stata acquisita per la prima volta durante la gestazione in una donna che in precedenza era sieronegativa; si parla invece di citomegalovirus congenito secondario quando l’infezione è avvenuta in seguito a riattivazione di un citomegalovirus latente oppure per reinfezione da un nuovo ceppo in una donna che aveva contratto l’infezione da citomegalovirus in precedenza. Si ritiene probabile che la severità della malattia sarà maggiore se la trasmissione del citomegalovirus è avvenuta durante il primo trimestre di gestazione. Non esistono evidenze su una correlazione tra rischio di trasmissione del citomegalovirus al feto e periodo gestazione nel quale si contrae l’infezione. Il rischio di trasmissione del virus al feto è più elevato nelle forme primarie (30-40% circa contro lo 0,5-2% delle forme secondarie).

Le infezioni da Citomegalovirus possono essere trasmesse in gravidanza dalla madre al feto
Citomegalovirus nei bambini
Una percentuale significativa dei neonati infetti da citomegalovirus è sintomatica; talvolta la sintomatologia è temporanea, talvolta è permanente. Tra le problematiche temporanee sono segnalati problemi alla milza, epatici, polmonari, ittero, petecchie, convulsioni ecc. In alcuni casi i danni causati dall’infezione sono permanenti e possono essere di una certa severità (cecità, sordità, deficit mentali, deficit della coordinazione, convulsioni ecc.); il pericolo di morte è raro, ma non nullo. In alcuni casi la sintomatologia si presenta dopo alcuni mesi o addirittura anni dalla nascita, ma le probabilità di danni permanenti sono maggiori nei bambini sintomatici fin dall’inizio.
Nei bambini piccoli il virus può essere eliminato solo dopo mesi o anni dopo la prima infezione; i bambini arrivano a diffonderlo anche per 5-6 anni dopo la nascita.
Prevenzione del citomegalovirus
Allo stato attuale non esiste un vaccino specifico atto a prevenire l’infezione. Esiste un vaccino che contiene un virus vivo attenuato (Towne) che è stato usato con un certo successo in persone a rischio (soggetti affetti da AIDS o che avevano subito un trapianto di organo) conferendo un’immunità praticamente sovrapponibile a quella da post-infezione.
Attualmente sono in corso dei trial clinici il cui obiettivo è quello di rendere immuni dal virus le donne citomegalovirus-negative così da prevenire la pericolosa infezione feto-neonatale.
Importanti passi avanti per la realizzazione di un vaccino per l’infezione sono stati fatti avanti da ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia che collaborando con ricercatori statunitensi e svizzeri hanno poi messo a punto un vaccino con il quale si sono vaccinati animali da laboratorio; nel sangue di questi animali sono stati poi ritrovati anticorpi che sono in grado di bloccare l’infezione da citomegalovirus con una potenza decisamente superiore a quella che è stata riscontrata nel siero umano nel corso della fase di convalescenza dell’infezione naturale. Il prossimo passo è rappresentato dalla sperimentazione del vaccino sull’uomo.
Nell’attesa di ulteriori sviluppi quello che si può concretamente fare è tentare di limitare il rischio con un’attenta igiene personale, soprattutto per quanto riguarda i soggetti più a rischio (bambini piccoli, immunodepressi, donne in stato di gravidanza ecc.).
Lo screening sierologico di routine per la ricerca del citomegalovirus nel sangue materno non è attualmente raccomandato. I motivi principali sono sostanzialmente due: il primo è che allo stato attuale non si dispone di un trattamento terapeutico efficace né dal punto di vista preventivo né dal punto di vista curativo; il secondo motivo risiede nel fatto che è molto difficile, se non impossibile, definire un segno prognostico di una certa affidabilità relativamente al danno fetale; si vogliono inoltre evitare tutte le probabili conseguenze che potrebbero verificarsi in termini di stati ansiosi indotti, di aumentata richiesta di interruzioni volontarie della gravidanza e di perdite fetali iatrogene.
Infezione da citomegalovirus: incubazione e diagnosi
Esistono diversi metodi che possono rilevare l’infezione. Meno semplice è determianre il periodo di incubazione, cioè quando il soggetto è stato infettato.
Se un campione di sangue è positivo (viene rilevata la presenza di anticorpi IgG contro il CMV) si ha la certezza di aver contratto il virus, ma non esiste la possibilità, con tale test, di determinare il periodo in cui ci si è infettati. Nel caso di una donna alla prima gravidanza in cui la ricerca del test abbia dato esisto negativo, è fondamentale che vengano seguite scrupolosamente tutte le misure atte a evitare di essere contagiati da citomegalovirus.
Talvolta viene utilizzato un test per rilevare gli anticorpi IgM; tale test viene usato per accertare recenti infezioni da citomegalovirus; sfortunatamente tale metodica, pur avendo una sensibilità diagnostica abbastanza alta, ha una specificità molto bassa. Si stima che tra le donne nelle quali si rileva una sierologia IgM positiva al citomegalovirus, soltanto il 10% partorirà un figlio infetto.
Per determinare l’incubazione, può rivelarsi di una certa utilità il cosiddetto test di avidità delle IgG; un indice di avidità >60% indica un’infezione da citomegalovirus contratta almeno quattro mesi prima; se l’indice è <30% l’infezione primaria è più recente; valori intermedi non sono in grado di offrire una datazione certa dell’infezione.
È possibile effettuare una diagnosi di infezione fetale da citomegalovirus tramite amniocentesi e ricerca del DNA del virus nel liquido amniotico tramite PCR (polymerase chain reaction). L’esame dovrebbe essere effettuato a partire dalla ventunesima settimana di gestazione e comunque non troppo precocemente rispetto al periodo di insorgenza dell’infezione da citomegalovirus nella madre (è consigliabile attendere almeno sei settimane); un’esecuzione dell’esame effettuata troppo precocemente infatti riduce la sua sensibilità con la conseguenza di un aumento del numero dei falsi positivi. È possibile inoltre analizzare il sangue fetale.
Valori IgG e IgM
Per interpretare i valori di IgG e IgM è necessario considerarli in coppia. Nel referto grande importanza hanno i valori di riferimento, mostrati a lato del risultato dell’esame. Poiché ogni laboratorio usa parametri di riferimento diversi (a seconda della metodica usata), non si può dire in modo assoluto quale sia il valore di positività dell’esame. Se il risultato è al di sotto del valore di riferimento, il risultato è negativo; se è al di sopra, è positivo.
IgG positivo e IgM negativo – Esposizione passata e acquisita immunità.
IgG positivo e IgM positivo – Prima infezione o riattivazione.
IgG negativo e IgM positivo – Prima infezione iniziata recentemente, soggetto riesposto al virus, riattivazione del virus. I sintomi sono fondamentali per la diagnosi.
IgG negativo e IgM negativo – Nessuna infezione, né presente né passata (eccezione: l’organismo non è in grado di produrre un’adeguata quantità di anticorpi, come avviene nell’AIDS).
Se si sospetta un’infezione in corso, si dovrebbe ripetere l’esame a distanza di 3-4 settimane per verificare la crescita dei valori.
La cura per il citomegalovirus
Per quanto riguarda le donne in gravidanza, attualmente non sono disponibili trattamenti prenatali che siano efficaci e sicuri atti o a prevenire la trasmissione da madre a feto o a ridurre le conseguenze dell’infezione congenita.
Nei soggetti immunocompetenti diversi dalle gestanti, non è necessaria una particolare cura per l’infezione; la cosa è invece diversa per quanto riguarda le persone immunocompromesse in quanto, nel caso di un’infezione primaria o secondaria sintomatica è opportuno ricorrere a un trattamento farmacologico.
Generalmente sono utilizzati farmaci antivirali quali il ganciclovir per via endovenosa e il valganciclovir, un profarmaco da assumersi oralmente (un profarmaco è un precursore di un principio attivo; in sostanza si tratta di una molecola biologicamente inattiva che quando viene introdotta nell’organismo, subisce delle trasformazioni chimiche che la rendono attiva).
Un altro farmaco utilizzato è il foscarnet, un farmaco che agisce efficacemente sulle degenerazioni retiniche da citomegalovirus rallentandone la sua progressione.
In rari casi si può ricorrere all’utilizzo di un altro farmaco antivirale, il cidofovir il cui impiego è limitato a causa della sua importante tossicità renale.
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