L’artrite reumatoide è una grave patologia infiammatoria cronica, autoimmune sistemica (è la più frequente patologia di questo tipo), dalle cause sconosciute e il cui processo evolutivo non è facilmente prevedibile (in molti casi si hanno fasi di acutizzazione alternate a periodi in cui la malattia regredisce), ma, in linea generale, è una malattia che riduce pesantemente la qualità della vita di chi ne soffre; anche l’aspettativa di vita risulta diminuita.
Alla base dell’artrite reumatoide c’è un errore del sistema immunitario che attacca i tessuti articolari, producendo infiammazioni che li danneggiano. L’infiammazione parte dalla membrana sinoviale che muta le sue forme fino a formare il cosiddetto panno sinoviale che invade lo spazio circostante impedendo i movimenti e danneggiando la cartilagine, attaccata anche dagli enzimi prodotti durante l’infiammazione.
Classicamente, l’artrite reumatoide viene definita come una poliartrite simmetrica a evoluzione erosiva nella quale sono riscontrabili sintomi costituzionali quali astenia, febbricola e presenza del fattore reumatoide (70-80% circa dei casi).
L’artrite reumatoide colpisce in prevalenza le articolazioni rivestite dalla sierosa sinoviale (le articolazioni diartroidali), ma può interessare anche apparati extra-articolari come per esempio il sistema nervoso, l’apparato respiratorio (pleurite), l’apparato cardiocircolatorio (pericardite e miocardite) e il sangue (anemia).
Cause
Come detto in apertura di articolo, le cause dell’artrite reumatoide sono a tutt’oggi sconosciute; è evidentemente provato che l’artrite reumatoide sia una patologia di tipo autoimmune, ma non si è ancora stati in grado di identificare l’autoantigene che innesca la reattività autoimmunitaria nei confronti delle strutture articoli e, in particolar modo, della membrana sinoviale, l’organo che costituisce il principale bersaglio della malattia.
Vari studi hanno evidenziato la presenza di condizioni di predisposizione genetica all’artrite reumatoide o, più esattamente, di incremento del rischio relativo di contrarre la patologia; la più importante di queste condizioni predisponenti è la presenza di alcune molecole del sistema HLA (Human Leukocyte Antigen, antigene leucocitario umano), molecole che condividono una sequenza aminoacidica specifica.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la prevalenza dell’artrite reumatoide è di circa l’1%; le donne sono maggiormente colpite.; le malattie autoimmuni colpiscono quasi il 5% della popolazione nei Paesi occidentali
Sintomi e segni di artrite reumatoide
L’artrite reumatoide si manifesta in modo molto soggettivo e le caratteristiche di esordio e di evoluzione della patologia possono cambiare radicalmente da soggetto a soggetto; tuttavia, particolarità a parte, vi sono molti segni e sintomi comuni a tutti.
L’artrite reumatoide si manifesta con la tipica rigidità mattutina (che migliora dopo circa un’ora dal risveglio, man mano che le articolazioni si muovono e si riscaldano), con elezione simmetrica dell’articolazione. Le articolazioni si presentano tumefatte, arrossate, calde e dolenti; le prime articolazioni a essere interessate sono le mani, i polsi, le ginocchia, i piedi e i gomiti, mentre l’interessamento di spalle, caviglie, anche e collo si presenta tipicamente nelle fasi più avanzate. Nelle fasi iniziali non sono infrequenti neppure astenia, febbricola e sensazione di malessere.
Nelle fasi più avanzate dell’artrite reumatoide oltre ai segni e alla sintomatologia sopradescritta possono fare la loro comparsa contratture in flessione e deformità a livello articolare, noduli reumatoidi sottocutanei, secchezza oculare, interstiziopatia nodulare polmonare, pleurite, pericardite, vasculite, amiloidosi generalizzata, osteoporosi, anemia e arteriosclerosi.
Diagnosi di artrite reumatoide
La diagnosi di artrite reumatoide si basa prevalentemente sull’osservazione clinica, ma può essere difficoltosa quando la patologia è ai suoi esordi.
Solitamente per porre la diagnosi di artrite reumatoide si fa riferimento ai criteri diagnostici elaborati dall’American College of Rheumatology nel 1987 (ARA 1987); detti criteri sono i seguenti:
- rigidità mattutina
- artrite di tre o più aree articolari
- artrite alle articolazioni delle mani
- artrite simmetrica
- noduli reumatoidi
- fattore reumatoide sierico
- segni radiografici.
I primi quattro criteri devono essere presenti in modo persistente da almeno sei settimane.
Se vengono soddisfatti almeno quattro dei sopracitati criteri la diagnosi di artrite reumatoide è altamente probabile (sensibilità e specificità del 91,2 e 89,3% rispettivamente).
La diagnosi differenziale si impone in particolar modo nelle fasi iniziali dell’artrite reumatoide; le patologie che potrebbero dare sintomatologia simile sono le artriti non infiammatorie (artrosi generalizzata, fibromialgia), le connettivopatie (LES, sclerodermia, sindrome di Sjögren ecc.), le sindromi paraneoplastiche ecc.
Fra gli esami di laboratorio che vengono generalmente richiesti in caso di sospetta artrite reumatoide troviamo:
- PCR
- VES
- emocromo
- FR (fattore reumatoide)
- anticorpi anti citrullina (anticorpi anti-CCP)
- anticorpi antinucleo (ANA)
- transaminasi
- esame completo delle urine
- esame del liquido sinoviale.
L’esame del liquido sinoviale è un esame che può essere molto utile per la diagnosi differenziale.
Merita un breve cenno il fattore reumatoide, un anticorpo presente nel 75% dei soggetti affetti da artrite reumatoide, anche se è doveroso ricordare che tale anticorpo non è specifico di artrite reumatoide dal momento che è possibile rilevarlo in molte altre patologie reumatologiche (sindrome di Sjögren, lupus eritematoso sistemico e sclerodermia) e non reumatologiche (linfomi, leucemie, sifilide, epatiti croniche, sarcoidosi ecc.).
Fra gli esami strumentali che sono utilizzati nella diagnosi di artrite reumatoide ricordiamo l’esame radiografico (fornisce informazioni sulle articolazioni coinvolte dalla patologia) e l’ecografia (utile nelle indagini delle lesioni pararticolari).
Le cure per l’artrite reumatoide
L’approccio terapeutico all’artrite reumatoide è decisamente mutato nell’ultimo decennio e, se prendiamo in considerazione l’ultimo trentennio, i progressi ottenuti con le cure sono veramente notevoli.
Anni addietro, l’atteggiamento terapeutico era caratterizzato da notevole prudenza; nella stragrande maggioranza dei casi esso prevedeva un lungo periodo osservazionale del processo evolutivo della patologia e ci si limitava a cure sintomatiche utilizzando FANS e cortisonici.
L’uso di farmaci anti-reumatici più specifici era riservato in modo tardivo ai casi non controllati; si impiegavano farmaci anti-malarici, sali d’oro e D-penicillamina; dopo il fallimento di questi o comunque nei casi particolarmente gravi si ricorreva all’impiego del metotrexate, farmaco anti-reumatico che, come vedremo più avanti, è tuttora impiegato.
La prudenza nell’approccio terapeutico era legata al fatto che gli effetti collaterali dei farmaci che venivano utilizzati erano molto pesanti e l’efficacia terapeutica era decisamente relativa.
Negli ultimi anni si è avuta una notevole diffusione dei cosiddetti farmaci di fondo, una classe molto eterogenea di molecole che si è dimostrata in grado di modificare in meglio il decorso dell’artrite reumatoide soprattutto se utilizzata nelle fasi iniziali della patologia; per questo motivo tali farmaci sono stati definiti DMARDs (Disease-Modifying Antirheumatic Drugs ovvero farmaci antireumatici modificanti il decorso della malattia).
Attualmente comunque, purtroppo, non sono disponibili cure definitive per l’artrite reumatoide; gli obiettivi che ci si pongono con i trattamenti sono quelli di ridurre l’intensità dei sintomi della malattia e migliorare la disabilità del soggetto prima che le articolazioni interessate dall’artrite reumatoide subiscano danni irreversibili.
Come si sarà facilmente potuto intuire da quanto riportato in precedenza, non esiste un singolo farmaco che dimostri efficacia in tutte le persone colpite dalla malattia; peraltro capita spesso che molte persone debbano modificare il trattamento terapeutico nel corso della loro vita.
Il trattamento ideale richiede una diagnosi precoce, quando ancora l’artrite reumatoide è nella sua fase iniziale, e un trattamento particolarmente aggressivo.
Allo scopo di ridurre molto velocemente l’infiammazione articolare (e conseguentemente l’intensità della sintomatologia) si ricorre all’aiuto dei FANS (diclofenac, ketoprofene, ibuprofene, naprossene, celecoxib e etoricoxib); a seconda dei casi si somministrano, per bocca o per via intrarticolare, corticosteroidi come il prednisone.
Per i soggetti che presentano tumefazione articolare, le cure con i FANS e i corticosteroidi non sono sufficienti e si deve iniziare contemporaneamente l’assunzione dei già citati DMARDs, farmaci che, fortunatamente, migliorano in modo significativo la sintomatologia e la funzionalità articolare (e conseguentemente la qualità della vita) di coloro che sono affetti da artrite reumatoide.
I DMARDs utilizzati per la cura dell’artrite reumatoide sono numerosi, fra questi si ricordano il metotrexate, la leflunomide, la ciclosporina, la clorochina, l’idrossiclorochina, la ciclosporina, la sulfasalazina e i sali d’oro.
Negli ultimi anni si è fatto ricorso anche ai cosiddetti farmaci biologici (anche MRB, Modificatori della Risposta Biologica); si tratta di molecole ottenute grazie a tecniche di ingegneria genetica; questi farmaci neutralizzano l’azione di alcune proteine che favoriscono l’insorgere dell’infiammazione agendo in modo mirato; hanno dimostrato una certa efficacia anche in molti soggetti nei quali la terapia con altre sostanze non aveva sortito i risultati sperati. La peculiarità della gran parte dei farmaci biologici è quella di bloccare TNF (Tumor Necrosis Factor), implicato nel processo infiammatorio, una proteina che in un organismo sano agisce attivando le normali risposte infiammatorie, ma che in coloro che sono affetti da artrite reumatoide, venendo prodotta in quantità eccessive, scatena il processo infiammatorio che caratterizza la patologia in questione.
Recentemente gli studi stanno focalizzando la loro attenzione su una proteina prodotta dai leucociti nel corso della risposta immunitaria, l’interleuchina-6 (IL-6).
I farmaci biologici agiscono anche come DMARDs dal momento che rallentano la progressione della patologia. Talvolta i farmaci biologici vengono somministrati da soli, ma nella gran parte dei casi, per aumentare l’efficacia della terapia, vengono somministrati contemporaneamente al metotrexate.
Le caratteristiche dell’artrite reumatoide ci fanno capire come essa sia una patologia che richiede un approccio multispecialistico che veda la collaborazione del reumatologo, del medico di medicina generale, dell’ortopedico e del fisiatra; a seconda dei casi può essere opportuno il ricorso alla figura dello psicologo.
Diffusione della malattia e impatto sociale
L’artrite reumatoide è una patologia relativamente comune; nel nostro Paese sono circa 400.000 le persone che ne sono affette; nel continente europeo sono le popolazioni del nord quelle più colpite; nei Paesi che fanno parte del bacino mediterraneo si registrano forme meno severe caratterizzate da una minor presenza di manifestazioni extra-articolari.
La patologia interessa soprattutto le donne; nel nostro Paese, per esempio, secondo stime recenti, il 75% dello 0,5% della popolazione colpita da artrite reumatoide, è di sesso femminile con le prime manifestazioni che compaiono tra i 25 e i 40 anni.
Sfortunatamente quasi la metà dei pazienti non riesce a raggiungere livelli di remissione clinicamente rilevanti e quindi, nonostante i trattamenti, risulta fisicamente disabile. L’87% circa dei soggetti affetti dalla malattia riceve una diagnosi corretta, ma in alcuni casi si aspetta fino a 24 mesi.
L’artrite reumatoide è associata a molteplici comorbilità (in ambito medico con questo termine si indica la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso individuo; ci si può riferire a due o più patologie che coesistono simultaneamente, ma indipendentemente l’una dall’altra, oppure a malattie che compaiono secondariamente all’insorgenza di una patologia di fondo), in particolare infezioni, disturbi cardiovascolari, osteoporosi e depressione.
Notevole è l’influenza della malattia sulla vita lavorativa dei pazienti.
Si calcola che l’artrite reumatoide faccia perdere in media circa 40 giorni lavorativi all’anno; la capacità lavorativa viene intaccata nel giro di 5 anni dall’insorgenza della malattia; nel corso del primo di malattia essa diminuisce del 33%, fino ad arrivare alla perdita di circa il 50% della capacità lavorativa in 10 anni. La rigidità articolare mattutina, per esempio, determina ritardi al lavoro, permessi per malattia, con conseguente riduzione della performance lavorativa, comportando in Italia una perdita stimata di circa 11mila euro annui di media per paziente. Secondo una recente analisi, il costo sociale della patologia si aggira sui 2 miliardi annui.
Indice materie – Medicina – Sintomi – Artrite reumatoide