Un’affezione delle arterie è attualmente definita come arteriopatia obliterante, il cui 90% dei casi può essere ricondotto all’arteriosclerosi. Se sono coinvolti i vasi del cuore si ha possibilità di infarti e dolore cardiaco, se è interessato il circolo cerebrale si ha possibilità di ictus o deterioramento delle funzioni cognitive. Quando la malattia interessa i vasi che portano il sangue alle gambe si parla di arteriopatia cronica ostruttiva degli arti inferiori.
Segni, sintomi e cause dell’arteriopatia obliterante
I segni e i sintomi iniziali dell’arteriopatia sono spesso trascurabili (parestesie, torpore, sensibilità al freddo, stanchezza e affaticabilità degli arti) mentre, quando la patologia è a uno stadio avanzato, la riduzione del flusso arterioso a valle della lesione causa in genere un dolore piuttosto vivo. In genere, solo il dolore della fase più avanzata porta il paziente dal medico: quando si compie un determinato sforzo (come camminare a lungo o per brevi tratti, ma in salita) compare un dolore crampiforme a valle della zona patologicamente interessata. Poiché normalmente si tratta dell’arteria femorale o della poplitea, il distretto dolente è quello del polpaccio. Se il paziente cessa lo sforzo, il dolore si risolve (da qui le denominazioni claudicatio intermittens o dyspraxia intermittens agli arti superiori).
I fattori di rischio delle arteriopatie sono il fumo (da 6 sigarette al giorno in su), l’ipercolesterolemia (oltre 260 mg/dl), l’ipertensione arteriosa (oltre 160/95), il diabete mellito manifesto, l’obesità e l’iperuricemia. In alcuni rari casi anche l’attività sportiva può causare un’arteriopatia.
Per chi non crede che una vita sana faccia vivere più a lungo, si consideri che solo lo 0,6% dei casi di arteriopatia riguarda soggetti immuni dai sopraccitati fattori di rischio. In genere in questo 0,6% rientrano alcuni rari casi dovuti all’attività sportiva: la degenerazione cistica della parete vasale e la sindrome del tibiale anteriore.
La degenerazione cistica è dovuta a una degenerazione della tunica avventizia dell’arteria che porta poi a una chiusura del lume. In genere è dovuta a microtraumi ripetuti o traumi diretti.
La sindrome del tibiale anteriore colpisce il tibiale, un muscolo situato nella parte anteriore della gamba che permette la flessione dorsale e l’inversione del piede, tant’è che quando ha dei problemi diventa molto difficoltoso sollevare la punta dei piedi. È una patologia subdola perché quando si manifesta in forma non grave non impedisce il gesto atletico, ma si presenta con una semplice sensazione di oppressione o di crampo sul muscolo. Nei casi più gravi si arriva all’obliterazione acuta dell’arteria tibiale. La causa sembra dovuta a un aumento della pressione dei liquidi interstiziali (dovuto ai microtraumi tipici di attività come la corsa su terreni duri) o all’ipertrofia del tibiale stesso.
Diagnosi e prova di Ratschow nell’arteriopatia obliterante
Oltre a esami sul paziente e a test funzionali (prova di Ratschow o del pugno della mano, test di Allen), l’indagine diagnostica viene svolta con l’oscillografia meccanica, quella elettronica, l’ultrasonografia Doppler, l’ecotomografia e l’angiologia digitale.
La prova di Ratschow – Si tratta di una prova che è indicata per tutti coloro che hanno problemi ai polpacci, non identificano una causa chiara e sono compatibili con il quadro di un’arteriopatia, seppur lieve.
Il test si effettua sdraiandosi su una panca, sollevando le gambe a squadra con le ginocchia leggermente piegate. Si flettono ed estendono le punte dei piedi al ritmo di una flessione al secondo (si muovono cioè i piedi come se si schiacciasse e si rilasciasse l’acceleratore di una macchina) per due minuti. Durante l’esercizio la pianta dei piedi potrebbe sbiancarsi. Se si sbianca prima di 60 secondi esiste un ostacolo all’irrorazione, tanto più grave quanto più veloce è lo sbiancamento.
Terminato l’esercizio, ci si siede poi sulla panca con le gambe penzoloni. L’esaminatore valuta la differenza fra i due piedi: non devono esistere differenze significative. Inoltre valuta in quanto tempo si riempiono le vene del dorso del piede: in stato di normalità il riempimento avviene entro i 15 secondi.

Un buon stile di vita che comprenda anche l’attività fisica è una buona strategia di prevenzioni di molte affezioni vascolari e cardiache, compresa la arteriopatia obliterante
Terapia dell’arteriopatia obliterante
Le arteriopatie vengono curate con terapie fisiche (allenamento alla marcia), farmacologiche e chirurgiche.
Gli scopi principali del trattamento delle arteriopatie sono essenzialmente tre:
- interrompere il peggioramento del quadro arteriosclerotico generale riducendo conseguentemente i rischi di infarto e ictus;
- modificare in meglio la qualità di vita dei soggetti affetti da arteriopatia permettendo loro di condurre un’esistenza più attiva senza avvertire dolore;
- prevenire la comparsa di piaghe o gangrene.
Per perseguire i primi due scopi è necessario che il soggetto affetto da arteriopatia migliori sensibilmente il proprio stile di vita (un consiglio particolare va ai soggetti affetti da arteriopatia che sono anche fumatori: l’astensione dal fumo deve essere immediata e totale; anche poche sigarette giornaliere sono in grado di peggiorare nettamente il quadro clinico dell’arteriopatico).
Un ruolo importante è svolto anche dall’allenamento alla marcia; il camminare, infatti, risulta fondamentale per lo sviluppo di un meccanismo di compenso noto come formazione di circoli collaterali, ovvero una fitta rete di piccoli vasi che collega a lato il tratto a monte della stenosi con il tratto che si trova a valle. All’inizio non risulterà semplice anche il semplice percorrere tratti molto brevi, ma man mano si potranno aumentare le distanze percorse, magari sforzandosi all’inizio di resistere all’inevitabile dolore. Non è necessario correre; l’importante è camminare scegliendo una velocità che permetta di percorrere la massima distanza possibile anche dopo che il dolore ha fatto la sua comparsa. È fondamentale evitare traumi agli arti inferiori (aumentano il rischio di piaghe, infezioni e ulcerazioni). Quest’ultimo consiglio vale soprattutto per i soggetti che sono affetti anche da diabete.
Dal momento che l’ipertensione arteriosa è un fattore di rischio importante per lo sviluppo di arteriopatie, è fondamentale controllare questo aspetto.
I trattamenti farmacologici si avvalgono di antiaggreganti piastrinici, anticoagulanti indiretti o diretti con eparina, miglioramento della reologia ematica, vasodilatatori.
Il trattamento farmacologico viene effettuato allo scopo di rallentare il più possibile l’evoluzione della patologia evitando (o comunque ritardando il più possibile) il ricorso all’opzione chirurgica. L’utilizzo di alcuni di questi farmaci (antiaggreganti) serve anche e soprattutto a ridurre il rischio di infarto e ictus (l’arteriopatia indica, infatti, che il quadro arteriosclerotico è piuttosto grave e i rischi di incorrere in complicanze cardiache o cerebrali non sono minimi).
L’utilizzo di anticoagulanti non è sempre indicato, ma viene riservato a determinati casi (il rischio di emorragia legato all’uso di questi farmaci non è, infatti, da considerarsi trascurabile). Dove le terapie fisiche e quelle farmacologiche non sono più sufficienti è necessario ricorrere alla chirurgia (interventi di rivascolarizzazione o angioplastiche).
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