L’AIDS, acronimo inglese per Acquired Immune Deficiency Syndrome (sindrome da immunodeficienza acquisita), è una sindrome caratterizzata da un progressivo deterioramento del sistema immunitario.
La causa è un virus, l’HIV. Il virus attacca le cellule umane con predilezione per quelle che hanno sulla loro superficie il recettore CD4, in particolare i linfociti, la cui distruzione altera progressivamente le difese immunitarie del soggetto.
In genere con il termine AIDS si indica la fase sintomatica grave dell’infezione da HIV, tipici della quale sono infezioni o tumori. La progressione della malattia dipende dalle condizioni del soggetto (età, tossicodipendenza, infezioni virali come epatite o da virus di Epstein-Barr ecc.) e dalla terapia. I sintomi sono quelli tipici delle patologie “opportunistiche” che si instaurano (aspergillosi, candidosi, infezioni da cytomegalovirus e da herpes, carcinomi, linfomi, polmoniti, tubercolosi ecc.).

Le ultime statistiche disponibili dicono che in Italia ci sono 4,7 nuovi ammalati di AIDS all’anno ogni 100.000 abitanti.
Probabilmente, l’infezione nell’uomo ha avuto origine in Africa centrale (tra il 1955 e il 1965) da un adattamento di un virus animale che colpisce gli scimpanzé. La trasmissione animale-uomo sarebbe avvenuta per contatto di sangue (caccia o riti tribali). Alla fine degli anni ’70 l’infezione uscì dalla zona originaria e si manifestò nelle isole dei Caraibi e in alcune città degli Stati Uniti e del Nord Europa.
Il virus HIV appartiene alla famiglia dei Retrovirus (classe Lentivirus), misura 90-100 nm (nm = nanometro) ed è costituito da un involucro esterno di natura fosfolipidica (in cui sono presenti glicoproteine che, fra l’altro, permettono il legame con il recettore della cellula ospite) e da una parte centrale che contiene due coppie di RNA a singola elica e alcuni enzimi che sono impiegati nella replicazione del virus. Il sierotipo 1 è il principale responsabile dell’epidemia a livello mondiale, mentre il sierotipo 2 ha una diffusione più circoscritta e limitata all’Africa Occidentale.
Infezione da HIV: i sintomi
L’infezione da HIV passa attraverso quattro fasi:
- incubazione (asintomatica, da 2 a 6 settimane dopo il contagio)
- fase acuta (dura al massimo un mese e in molti soggetti è asintomatica, in altri ha sintomi simili a quelli di una comune influenza)
- periodo di latenza (asintomatico, dura da 2 settimane a oltre 20 anni)
- AIDS
Speranza di vita – In assenza di trattamento, la sopravvivenza media dopo l’infezione da HIV è stimata in circa 10 anni, a seconda del sottotipo HIV. Dopo la diagnosi di AIDS, se il trattamento non è disponibile, la sopravvivenza varia tra i 6 mesi e i due anni. La disponibilità di farmaci antiretrovirali e la prevenzione dalle infezioni opportunistiche riduce il tasso di mortalità dell’80% e aumenta la speranza di vita a 20-50 anni; tale periodo diminuisce quanto più tardi è inziato il trattamento.
La metà dei bambini nati con l’HIV muoiono prima dei due anni di età, se non ricevono un trattamento.
La sieropositività – Dopo 2-6 settimane dal contagio, si ha la fase di infezione primaria; è spesso asintomatica nel 25-50% dei soggetti; altrimenti può dare scarsa sintomatologia con esantema e linfoadenopatia. A volte è interessato anche il sistema nervoso centrale.
I soggetti che presentano nel sangue anticorpi anti-HIV vengono detti sieropositivi. In essi si assiste a una progressiva riduzione dei linfociti CD4+ e a un deterioramento del sistema immunitario.
AIDS: la trasmissione
Il contagio – Avviene per rapporti sessuali, scambio di siringhe, punture accidentali, trasfusioni e trapianti di organi e contatti con liquidi biologici.
Sessualmente il contagio avviene per contatto delle secrezioni pre-eiaculatorie, sperma o secrezioni vaginali, con la mucosa vaginale o anale durante rapporti sessuali non protetti. I rapporti orali non protetti rappresentano una pratica sessuale a rischio documentato di infezione.
Il virus dell’HIV è poco resistente al di fuori dell’organismo per cui è praticamente nullo il rischio per puntura accidentale con una siringa ed è estremamente basso quello in cui sia presente sangue infetto (0,3%).
I liquidi biologici in grado di trasmettere il virus sono sangue, sperma, liquido pre-eiaculatorio, secrezioni vaginali e latte materno. Non sono in grado di trasmettere il virus le lacrime, il sudore, la saliva, l’urina, le feci, le secrezioni nasali, il vomito.
La prevenzione – La prevenzione si basa ovviamente sull’eliminazione (astinenza o relazione stabile con soggetto non sieropositivo, uso di siringhe monouso ecc.) o sulla riduzione dei rischi del contagio (preservativo, basso numero di partner ecc.).
La diagnosi – Per diagnosticare la sindrome si ricercano gli anticorpi specifici.
La terapia – I farmaci per trattare l’HIV e l’AIDS usano principalmente tre strategie:
- interferiscono con la riproduzione del materiale genetico dell’HIV
- interferiscono con gli enzimi di cui l’HIV necessita per prendere il comando su alcune cellule dell’organismo
- interferiscono con la capacità dell’HIV di trasformare il suo materiale genetico in un codice virale di cui l’HIV ha bisogno per riprodursi.
Dal momento che tali farmaci agiscono attraverso modalità diverse, vengono generalmente prescritta una combinazione di farmaci da assumere quotidianamente (terapia HAART, Highly Active Anti-Retroviral Therapy ovvero terapia antiretrovirale altamente attiva). Spesso vengono prescritti anche farmaci per la prevenzione di infezioni opportunistiche, per esempio alcuni antibiotici che aiutano a prevenire la PCP (polmonite da Pneumocystis carinii), in particolar modo nei bambini.
In mancanza di questa terapia, il passaggio da HIV all’AIDS si registra in un arco di tempo dai 9 ai 10 anni e la durata media di sopravvivenza da questo momento è mediamente di 9 mesi. La HAART aumenta notevolmente il tempo che intercorre dalla diagnosi alla morte mentre continua la ricerca volta allo sviluppo di nuovi farmaci e di vaccini.
Per quanti siano molti i farmaci a disposizione per curare l’infezione da HIV e ritardare la sintomatologia iniziale dell’AIDS, a meno che non vengano assunti e somministrati correttamente ventiquattrore su ventiquattro in orario, il virus può velocemente diventare resistente a questo particolare mix di medicine. L’HIV è particolarmente adattabile ed è necessario che le terapie vangano seguite scrupolosamente.
Una posizione più scientifica e razionale
Nel 1994 l’OMS elaborò (nel 1993 lo avevano fatto i CDC, Centers for Disease Control and Prevention, americani) una definizione dell’AIDS che di fatto equiparava ogni sieropositivo a un malato. Doveva essere la peste del terzo millennio, ma, nonostante non siano cambiati i costumi sessuali e il consumo di preservativi sia aumentato di poco, la diffusione della malattia nei Paesi più sviluppati è rimasta modesta.
L’evidenza clinica obbligò l’OMS a rivedere la propria posizione: molti sieropositivi (fra cui il grande cestista “Magic” Johnson) non sviluppavano i sintomi dell’infezione nemmeno dopo quelli che erano allora ritenuti i limiti massimi, 8-10 anni; nel 2009 Johnson ha festeggiato i suoi 50 anni in perfetta forma. L’aspetto scientificamente poco accettabile è che molti sostenitori delle primitive teorie sull’AIDS, anziché rivedere le loro posizioni, hanno semplicemente e candidamente sostenuto che il periodo di incubazione poteva essere di 50 anni e non di 10.
In cosa consiste il dietrofront (2005) dell’OMS? Nel definire ben 3 stadi che non sono più riconosciuti come AIDS; addirittura si sostiene che nei primi stadi le eventuali infezioni possono essere facilmente curate in soggetti “altrimenti sani”.
- I stadio. Infezione da HIV asintomatica; non si parla di AIDS.
- II stadio. Piccole patologie mucocutanee e frequenti non gravi infezioni del tratto respiratorio superiore.
- III stadio. Oltre a quelle del II stadio, infezioni gastroenteriche e polmonari (tubercolosi).
- IV stadio. Patologie gravi e potenzialmente letali (infezione cerebrale da toxoplasma), infezione da candida di esofago, trachea, bronchi o polmoni, sarcoma di Kaposi ecc.). Si parla di AIDS in quanto sono queste patologie a identificare oggi la malattia.
A metà degli anni ’90 si pensava che l’HIV fosse una causa sufficiente per sviluppare l’AIDS, con la nuova definizione è invece una causa necessaria, ma non sufficiente.
La definizione del 2005 e diverse ricerche che hanno “scoperto” che ci sarebbero individui (geneticamente?) del tutto immuni all’HIV, interpretata alla luce dei fatti, significa che, per una parte della popolazione, l’infezione da HIV non evolve in AIDS. Molti infettivologi hanno sempre meno lavoro da AIDS nei loro reparti e molti progetti (come la Torre AIDS di Pavia, oggi centro oncologico) sono stati riconvertiti.
Non a caso, l’attuale raccomandazione del Department of Health and Human Services (Dipartimento della Sanità e dei Servizi Sociali degli Stati Uniti) è di procedere con terapia antivirale in base al numero di linfociti T di tipo CD4+ secondo lo stato del soggetto:
- CD4+ inferiori a 200/μl. Terapia necessaria
- CD4+ da 200/μl a 350/μl. Decide il paziente dopo aver sconosciuto i rischi/benefici della terapia
- CD4+ superiori a 350/μl e HIV RNA nel plasma maggiore di 100,000 copie/ml. Si consiglia ai medici di rinunciare al trattamento.
- CD4+ superiori a 350/μl e HIV RNA nel plasma minore di 100,000 copie/ml. Si raccomanda ai medici di rinunciare al trattamento.
Queste raccomandazioni e periodi di latenza osservati sempre più lunghi complicano non poco la causalità strettamente diretta fra HIV e AIDS. Nuovi fatti continuano a far pensare a un rapporto molto più complesso fra HIV e AIDS.
Nel luglio 2015 i medici dell’Institut Pasteur di Parigi annunciarono il primo caso di regressione del virus dell’AIDS: una ragazza francese di 18 anni, nata sieropositiva nel 1996, già contagiata alla nascita, che aveva interrotto i trattamenti antiretrovirali ben 12 anni fa.
Due australiani, che si erano sottoposti a un trapianto di midollo osseo per combattere il cancro all’Ospedale St Vincent’s di Sydney, si sono liberati del virus dell’Hiv. I due pazienti hanno livelli non rilevabili di Hiv (2014) da più di 3 anni dopo aver subito questa procedura.
AIDS: una posizione coerente
Importante analizzare come cofattori altre cause di immunodepressione:
- malnutrizione (ciò spiega la massiccia presenza dell’AIDS in Africa)
- stress
- uso di droghe
- politrasfusioni (emofiliaci)
- rapporti sessuali multipli con pratiche poco igieniche (come la casuale commistione di sangue e feci nei rapporti anali)
- età (ciò spiegherebbe i lunghi periodi di latenza)
- farmaci
- disordini genetici riguardanti il sistema immunitario ecc.
In sostanza chi non ha un buon stile di vita sarebbe molto più esposto all’attacco del virus. A fronte di ciò e delle posizioni attualmente assunte dagli organi più autorevoli vediamo una posizione “attualmente” (cioè allo stato attuale delle conoscenze) coerente:
- La concausa principale dell’AIDS è un virus, l’HIV. Il virus può attaccare le cellule umane con predilezione per quelle che hanno sulla loro superficie il recettore CD4, in particolare i linfociti, la cui possibile distruzione altera progressivamente le difese immunitarie del soggetto. Tale distruzione è sicuramente favorita da condizioni di immunodepressione del soggetto perché l’evidenza dei fatti dimostra che non avviene per tutti.
- Attualmente in Italia su 100.000 sieropositivi (stadio I) si contano 16.000 malati di AIDS (stadio IV); i sostenitori della teoria classica sostengono che ciò sia dovuto ai nuovi farmaci antivirali che hanno rallentato l’incubazione; i detrattori di tale teoria sostengono che moltissimi sieropositivi “inconsapevoli” non evolvono in AIDS senza ricevere nessuna cura.
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