Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (anche DDAI o ADHD, Attention-Deficit/Hiperactivity Disorder) è uno dei più comuni disturbi del comportamento che, nella prima infanzia, si caratterizza per un notevole livello di disattenzione e tutta una serie di comportamenti che denotano impulsività e iperattività motoria; non si tratta di un disturbo di poco conto, dal momento che si tratta di un problema potenzialmente cronico che in vari casi può impedire il normale sviluppo e l’integrazione e l’adattamento sociale del bambino. Peraltro, in circa l’80% dei casi è associato a uno o più disturbi comportamentali (per esempio i disturbi dell’apprendimento come dislessia e disgrafia, i disturbi di ansia, il disturbo oppositivo-provocatorio ecc.), cosa che ne rende più complesse la gestione, la diagnosi e la terapia.
ADHD: quanto è frequente?
In base ai dati forniti dall’APA (American Psychiatric Association), facendo riferimento ai criteri definiti dal DSM-IV, la prevalenza del disturbo da deficit di attenzione e iperattività tra i bambini statunitensi oscilla fra il 3 e il 5% (per un totale quindi di quasi cinque milioni di bambini); le percentuali relative ai Paesi europei, ivi compresa l’Italia, non sono dissimili da quelli nordamericani.
L’ADHD interessa maggiormente i maschi (rapporto maschi/femmine 3:1).
Il numero delle diagnosi di ADHD e quello dei trattamenti sono in costante aumento; peraltro si ritiene che con la revisione dei criteri diagnostici effettuata con l’uscita del DSM-V (2013 negli USA e 2014 in Italia), la percentuale di casi è destinata a salire, in particolar modo nella popolazione adulta.
Le cause dell’ADHD
Le cause dell’insorgenza dell’ADHD non sono note. Agli inizi del XX secolo fu ipotizzata, quale causa scatenante, la presenza di un imprecisato malfunzionamento del sistema nervoso centrale; durante il XX secoli molti ricercatori hanno puntato l’attenzione sulle similitudini fra il comportamento dei bambini affetti da ADHD e il comportamento di soggetti che avevano subito lesioni alle regioni frontali della corteccia cerebrale ovvero: difficoltà a mantenere l’attenzione, difficoltà nel pianificare e nell’utilizzare strategie cognitive, disinibizione ecc.
Alcuni studi, effettuati con sofisticate tecniche di brain imaging, indicavano che i bambini affetti da ADHD avevano livelli di attività cerebrali inferiori rispetto ai bambini non colpiti dal disturbo. Altri studi, sempre effettuati con tecniche di brain imaging, hanno mostrato che nei bambini con disturbo da deficit di attenzione e iperattività vi sono alcune aree cerebrali le cui dimensioni sono ridotte rispetto a quelle dei controlli (l’area pre-frontale destra, il nucleo caudato, il cervelletto ecc.); si tratta di aree in cui sono presenti i circuiti della dopamina e della noradrenalina; in effetti, i bambini con ADHD hanno livelli inferiori di tali neurotrasmettitori rispetto alla popolazione di controllo.
Altre ricerche hanno puntato l’attenzione su eventuali complicazioni nel corso della gravidanza o durante il parto, ma questo filone di ricerca non sembra aver suscitato più di tanto l’attenzione da parte della maggior parte degli autori.
Attualmente, la gran parte delle ricerche sono relative alla genetica; gli studi mostrano che quasi il 60% dei genitori di bambini con ADHD presentano a loro volta il disturbo in questione; tale percentuale si dimezza nel caso di fratelli non gemelli; si tratta di percentuali che sono da 6 a 12 volte maggiori rispetto all’incidenza della sindrome nella popolazione normale.
La strada della genetica sembra essere la più convincente per la gran parte degli autori che ritengono che nel 70-90% circa dei casi il disturbo sia attribuibile proprio a fattori genetici; la percentuale rimanente di casi sarebbe dovuta a fattori ambientali.
ADHD: segni e sintomi
La disattenzione, l’iperattività e l’impulsività sono gli elementi chiave del comportamento dei soggetti affetti da ADHD.
I sintomi che riguardano la disattenzione si ritrovano in particolar modo nei soggetti che, rispetto ai loro coetanei, hanno problemi evidenti nel mantenere l’attenzione o nel lavorare su uno stesso compito per un periodo di tempo sufficientemente lungo.
Secondo vari autori la disattenzione deve essere considerato il problema principale della sindrome, problema che sembra manifestarsi soprattutto quando il bambino deve effettuare attività ritenute noiose o che comunque comportano una certa ripetitività; le difficoltà nel mantenere l’attenzione non si riscontrano soltanto nelle attività scolastiche, ma anche nel gioco (tipico dei bambini con ADHD saltare da un gioco all’altro senza terminarne uno).
In ambito scolastico, il bambino commette vari errori (quelli che spesso vengono definiti “errori di distrazione”) e sembra spesso avere la testa da un’altra parte e dà l’impressione di non ascoltare nemmeno quando l’insegnante gli si rivolge direttamente. I bambini con ADHD sono disordinati e si distraggono facilmente (basta un suono o un altro stimolo che per altri bambini risulta irrilevante).
Va detto, a onor del vero, che secondo alcuni autori i bambini con ADHD non sono maggiormente distraibili degli altri e che i loro problemi di attenzione si manifestino nel caso in cui i compiti che devono svolgere non siano ritenuti da loro interessanti o motivanti.
Altra caratteristica del disturbo è l’iperattività; con tale termine si indica un’eccessiva esuberanza motoria o vocale; il bambino iperattivo è sempre agitato, non ama rimanere seduto e fermo a lungo; insomma, sembra sempre in movimento; ciò si verifica sia a scuola che a casa, sia se deve fare i compiti o se deve giocare.
L’impulsività si manifesta nella difficoltà che il soggetto ha a inibire un comportamento che non è appropriato, ad attendere una gratificazione che ritiene di meritare e a dilazionare un intervento o una risposta.
Il soggetto impulsivo non sa frenarsi e risponde sempre il più velocemente possibile (e di ciò risente l’accuratezza della risposta), interrompe spesso gli altri quando parlano, mostra impazienza nell’attendere il proprio turno e non amano restare in fila.
Un altro problema legato all’impulsività è quello che il bambino, non riflettendo a lungo e quindi senza prendere in considerazioni le conseguenze, tende a intraprendere azioni che possono risultare pericolose per lui o per gli altri.

I segni di ADHD (disturbo da deficit di attenzione e iperattività) sono percepibili soprattutto a scuola.
La diagnosi di ADHD
Come detto, la disattenzione, l’iperattività e l’impulsività sono i sintomi chiave del disturbo. Essi devono essere presenti per almeno 6 mesi e aver fatto la loro comparsa prima dell’età di 7 anni.
Basandosi sui criteri diagnostici DSM, la diagnosi di ADHD si basa sulla presenza di:
- 6 o più dei 9 sintomi di disattenzione
- 6 o più dei 9 sintomi di iperattività/impulsività.
Secondo il DSM-IV per fare diagnosi di ADHD è necessario che i sintomi siano tali da impedire il funzionamento sociale del bambino e che la compromissione funzionale sia presente in almeno due diversi contesti sociali (casa, scuola ecc.).
È necessario che vengano escluse altre patologie e si deve sempre valutare il livello cognitivo del bambino, le sue capacità di comunicare, la presenza altri disturbi comportamentali (disturbi di ansia, di umore, ecc.).
La diagnosi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività è comunque essenzialmente clinica ed è basata sull’osservazione e sulla raccolta di informazioni che devono provenire da varie fonti (genitori, insegnanti, educatori di altro tipo ecc.).
Per la diagnosi sono utilizzati vari strumenti fra cui test neuropsicologici, questionari per genitori e insegnanti, scale di valutazione per misurare la gravità del disturbo e che consentano di monitorarne l’andamento nel tempo.
ADHD: terapia
I farmaci psicostimolanti associati alla psicoterapia (trattamento cognitivo-comportamentale) rappresentano attualmente il trattamento di elezione, anche se vari studi mostrano che una buona percentuale di soggetti non risponde al trattamento farmacologico.
Gli psicostimolanti (in particolare il metilfenidato) si sono dimostrati più efficaci di altri tipi di farmaco (antidepressivi triciclici, altri farmaci psicoattivi ecc.); fra i problemi principali legati all’assunzione di psicostimolanti vi sono gli effetti collaterali che non sono sempre di poco conto (anoressia, insonnia, cefalea, mal di stomaco, problemi gastrointestinali).
Le modificazioni comportamentali sono in rapporto al dosaggio; molto spesso per un miglioramento dell’apprendimento sono sufficienti bassi dosaggi, mentre per un miglioramento del comportamento occorrono dosaggi più alti; d’altra parte, occorre una certa cautela nei dosaggi perché, se questi sono eccessivi, si rischia una compromissione delle capacità cognitive.
La risposta al farmaco è generalmente individuale e i dosaggi sono studiati dal medico a seconda della gravità del disturbo e della capacità del bambino nel tollerare il medicinale. In alcuni casi i farmaci vengono prescritti soltanto per aiutare il bambino nelle attività scolastiche ed è possibile sospenderli per determinati periodi (vacanze, week-end).
I benefici a lungo termine dei soli farmaci non sono ancora stati dimostrati in modo definitivo; è però certo che essi consentono la partecipazione del bambino molteplici attività, partecipazione che prima non sarebbe stata possibile.
La psicoterapia prevede terapie comportamentali e cognitive (definizione dello scopo, creazione di modelli, attribuzione dei ruoli, automonitoraggio ecc.) e deve essere indirizzato simultaneamente verso le diverse aree compromesse e riguardare le diverse dimensioni che sono implicate nella sindrome (dimensione cognitiva, dimensione relazionale, dimensione emotivo-affettiva, dimensione comportamentale ecc.).
In linea generale i risultati della combinazione di psicostimolanti e psicoterapia vengono considerati buoni e spesso si ottiene un notevole miglioramento dei sintomi.
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