L’intervento di protesi d’anca (protesizzazione d’anca) è una metodica chirurgica utilizzata ormai da moltissimi anni (i primi pioneristici tentativi risalgono alla fine del XIX secolo, ma è a partire dalla seconda metà del secolo scorso che inizia la storia moderna di questo particolare intervento).
Sostanzialmente l’intervento di protesi d’anca consiste nella ricostruzione chirurgica dell’articolazione dell’anca (nota anche come articolazione coxo-femorale, è una delle più importanti e voluminose articolazioni del corpo umano) tramite il posizionamento di componenti artificiali che possono essere costituiti da materiali di vario tipo.
Non è esagerato affermare che le protesi d’anca hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione nel trattamento di malattie invalidanti quali coxartrosi e coxite (rispettivamente artrosi e artrite dell’anca).
Quella dell’anca è, per sua natura, una delle articolazioni più sottoposte a sollecitazioni di tipo meccanico e, per questo motivo, può essere, più facilmente di altre, sottoposta a diversi tipi di inconveniente, in particolar modo nell’età adulta.
Uno degli inconvenienti più diffusi a carico dell’articolazione dell’anca è sicuramente l’artrosi, patologia degenerativa che è causa di dolore intenso e irrigidimento articolare.
L’artrite è un’altra malattia che può colpire l’articolazione coxo-femorale danneggiando gravemente tutto il complesso articolare. Nel lungo periodo i danni causati dai processi artrosici ed artritici diventano irreversibili e si arriva al punto in cui è necessario prendere in considerazione l’intervento di protesizzazione che consiste, come accennato in precedenza, nella sostituzione dell’articolazione compromessa con un’articolazione di tipo artificiale in grado di compiere le stesse funzioni dell’articolazione naturale.
Per quanto considerato ormai un intervento routinario, la protesizzazione d’anca rimane un intervento chirurgico importante e sono necessarie attente valutazioni prima di intraprendere questa strada.
Indicazioni all’intervento
Le indicazioni all’intervento di protesi d’anca sono numerose; le condizioni patologiche per le quali potrebbe essere opportuno ricorrere a tale intervento possono essere suddivise in due grandi gruppi:
1) condizioni patologiche con indicazioni elettive (ovvero quelle in cui la tecnica è indicata in modo particolare);
2) condizioni patologiche con indicazioni relative.
Rientrano nel primo gruppo l’artrosi primaria e quella secondaria a trauma in stato avanzato, l’artrite reumatoide, l’osteonecrosi asettica della testa femorale, la displasia dell’anca, l’artropatia psoriasica, la spondilite anchilopoietica, la frattura mediale del collo femorale (in soggetti ultrasessantenni) e le lesioni secondarie a neoplasie.
Rientrano invece nel secondo gruppo l’osteite deformante (malattia ossea di Paget), i tumori ossei primitivi, gli esiti di artriti (osteomielite e tubercolosi ossea), gli esiti di artrodesi, la displasia dell’anca, le fratture dell’acetabolo e la frattura mediale del collo femorale in soggetti di età inferiore ai 60 anni.
Tutte queste condizioni patologiche e traumatiche, per quanto diverse fra loro, hanno in comune il fatto di provocare alterazioni delle strutture morfofunzionali dell’articolazione coxo-femorale finendo per causare invalidità con dolore, impotenza funzionale e zoppia.
Esistono diversi criteri per valutare l’opportunità di ricorrere o no all’intervento di protesi d’anca; ovviamente sono necessari, oltre all’esame obiettivo, anche i vari studi radiografici (radiografia convenzionale, TAC, risonanza magnetica).
Protesi d’anca – L’intervento
Esistono due tipologie di intervento per la protesizzazione dell’anca: la sostituzione totale (artroprotesi) e la sostituzione parziale (endoprotesi).
Con l’artroprotesi si interviene sia sulla componente acetabolare sia su quella femorale, mentre nel caso dell’endoprotesi la sostituzione riguarda soltanto la componente femorale (viene quindi mantenuto l’acetabolo naturale).
L’endoprotesi è indicata in alcuni tipi di frattura del collo femorale; non ha alcuna indicazione nel processo artrosico in quanto l’artrosi colpisce sia la cartilagine articolare della componente acetabolare sia quella della componente femorale; una sostituzione parziale, quindi, non porterebbe a una risoluzione completa del problema. In caso di artrosi è quindi indicato generalmente l’intervento di sostituzione totale.

L’intervento di protesi d’anca consiste nella ricostruzione chirurgica dell’articolazione dell’anca tramite il posizionamento di componenti artificiali.
Protesi d’anca – Quando operarsi
Quali sono le considerazioni da fare per capire quando è il momento di effettuare l’intervento chirurgico? Essenzialmente il tutto viene ricondotto alla qualità della vita.
La prima considerazione da fare è quella relativa al dolore; quando il processo artrosico è in fase avanzata e i farmaci e gli antidolorifici controllano il dolore soltanto parzialmente, la convivenza con esso può essere particolarmente frustrante e invalidante.
La seconda considerazione è relativa all’ipotrofia muscolare; alla base c’è sempre il dolore che il soggetto avverte e che modifica il suo modo di camminare nel tentativo di proteggere l’articolazione dalle sollecitazioni che causano dolore; ciò ha due principali conseguenze: la comparsa di zoppia e la progressiva riduzione delle masse muscolari della coscia e della zona glutea.
La terza considerazione riguarda l’artrosi della colonna lombare; in molti casi, infatti, alla coxartrosi si associa l’artrosi della colonna, una condizione che la zoppia causata dal dolore porta nel tempo ad aggravarsi. La presenza di artrosi a livello lombare è quindi un valido motivo per prendere in considerazione l’intervento.
La quarta considerazione è relativa all’eventuale presenza di artrosi controlaterale; la presenza di artrosi, magari allo stato iniziale, nell’anca meno danneggiata è un parametro che ha molta influenza nella decisione di ricorrere all’intervento di protesi; se, infatti, un’anca è particolarmente danneggiata, quella più “sana” subisce inevitabilmente un carico di lavoro decisamente maggiore del normale; se anch’essa è affetta da una forma, seppur lieve, di artrosi, un atteggiamento eccessivamente attendista rischia di aggravare pesantemente il quadro clinico costringendo il soggetto, nel peggiore dei casi, a subire non uno, bensì due interventi di protesi.
La quinta considerazione concerne la presenza di compromissione del capitale osseo; l’artrosi in fase avanzata determina sovente, dopo che lo strato cartilagineo è scomparso, alcune alterazioni a carico della massa ossea della regione dell’anca. In presenza di tali alterazioni, un’attesa prolungata non è consigliabile in quanto può essere causa, in seguito, di maggiori difficoltà nell’intervento e di un abbassamento del livello dei risultati ottenibili.
L’altro punto da considerare è relativo alle condizioni generali del soggetto; in soggetti ultrasettantacinquenni, rimandare l’intervento ha poco senso perché, tutto considerato, vuol dire rimandare l’operazione chirurgica di un paio d’anni al massimo; considerando che più passa il tempo e più c’è il rischio che si manifestino altre patologie (con aumento dei rischi operatori), la decisione di rimandare quanto più possibile l’intervento appare poco opportuna.
Attualmente c’è un sostanziale accordo sul fatto che, se la degenerazione dell’articolazione dell’anca compromette seriamente la vita di relazione del soggetto, sia opportuno, in mancanza di controindicazioni, intervenire al più presto.
Dopo l’intervento
A seconda dell’età del soggetto operato, se non si presentano particolari complicazioni, dopo l’intervento il soggetto operato dovrà restare ricoverato nella struttura ospedaliera per un periodo che va dai 5 ai 10 giorni dopodiché dovrà iniziare un preciso programma di riabilitazione. Se il soggetto risponde bene alla riabilitazione e non insorgono inconvenienti di alcun tipo, sarà in grado di tornare alla vita normale nel giro di un paio di mesi circa.
Ovviamente all’inizio sarà necessaria qualche cautela supplementare; i primi tempi è opportuno, fin quando non si recupera un equilibrio ottimale, muoversi aiutandosi con dei corrimano, eseguire regolarmente gli esercizi riabilitativi prescritti dal fisioterapista, effettuare le terapie farmacologiche prescritte (profilassi antitromboembolica ed eventuale terapia antibiotica), dormire in posizione supina, indossare calzature con il tacco basso, rimuovere tutto ciò che può rendere insicuro il cammino (tappeti, fili elettrici ecc.), preferire la doccia al bagno nella vasca, in bagno utilizzare tappeti antisdrucciolo e maniglie d’appoggio.
4 movimenti da evitare – Per un periodo di circa 6-8 mesi evitare di chinarsi a terra tenendo in flessione entrambe le anche (va piegata in avanti soltanto quella sana, mentre l’altra deve rimanere indietro in estensione), evitare di chinarsi in avanti quando siamo in posizione seduta; non accavallare le gambe; evitare sedersi su sedili eccessivamente bassi che costringano a tenere l’anca eccessivamente flessa.
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