L’artroscopia (dai termini greci arthron, articolazione e skopein, esaminare) è una tecnica nata nella prima metà del XX secolo; tradizionalmente la prima indagine artroscopica (1919) viene attribuita al professore Kenji Takagi, un chirurgo ortopedico giapponese, ma qualche anno fa sono stati riscoperti documenti dai quali risulta il primo artroscopista dell’artroscopia è un chirurgo danese, Severin Nordentoft che nel 1912 eseguì un’artroscopia al ginocchio che definì con termini latini: arthroscopia genu.
In ambito diagnostico l’artroscopia viene utilizzata per ispezionare la parte interna di un’articolazione e le sue strutture e che viene effettuata tramite un artroscopio, un modello speciale di endoscopio (un tipo di sonda ottica flessibile).
L’artroscopia riveste una particolare importanza nel campo della medicina, soprattutto per ciò che concerne le artropatie (per esempio le artriti o le artrosi), sia perché è in grado di diagnosticare un’eventuale alterazione patologica sia perché rende possibili interventi di una certa difficoltà senza dover ricorrere ai tradizionali metodi chirurgici.
Nata inizialmente come cura per il ginocchio, l’artroscopia è rapidamente diventata una delle tecniche più diffuse nella chirurgia ortopedica (viene impiegata anche per spalla, gomito, caviglia, polso e femore) grazie ai moderni sistemi di lenti e a una migliore illuminazione, ottenuta tramite le fibre ottiche.
La tecnica artroscopica deve molto anche al lavoro di Eugen Bircher, un chirurgo svizzero che molti considerano l’inventore dell’artroscopia interventistica, primato che molti contestano attribuendolo al giapponese Masaki Watanabe.
Artroscopia diagnostica e interventistica
L’artroscopia è impiegata ancora oggi prevalentemente per ispezionare l’interno dell’articolazione del ginocchio. Moltissime patologie che colpiscono questa articolazione non sono visibili tramite i raggi X e sono perciò difficili da diagnosticare unicamente sulla base dei sintomi.
L’artroscopia permette invece all’ortopedico di osservare le superfici delle ossa che vengono a contatto nell’articolazione, i legamenti e le cartilagini all’interno dell’articolazione e infine la membrana sinoviale che riveste la superficie interna della capsula articolare. Inoltre è possibile prelevare campioni di queste strutture per poterle successivamente esaminare per mezzo delle moderne tecniche di laboratorio.
Il più interessante sviluppo dell’artroscopia riguarda l’applicazione delle tecniche di chirurgia artroscopica. Strumenti ripiegabili, per poter essere introdotti nel canale dell’artroscopio, consentono all’ortopedico di eseguire alcuni interventi che prima rendevano necessaria l’apertura del ginocchio. Tali interventi consistono nell’asportazione di cartilagine danneggiata, nella riparazione di lacerazioni della cartilagine e dei legamenti e nella levigatura e perforazione della superficie della rotula (l’osso della regione anteriore del ginocchio).
La chirurgia artroscopica non solo è efficiente, ma riduce anche in modo sostanziale il tempo che il paziente deve trascorrere in ospedale e quello, in caso di sportivi, di astensione dall’attività sportiva. I campi di applicazione in cui viene utilizzata l’artroscopia riguardano i vari casi di lesione meniscale traumatica e degenerativa, le riparazioni dei legamenti crociati, la sindrome del tunnel carpale, il dito bloccato o l’estrazione di corpi estranei.
In circostanze particolari, determinati interventi possono combinare chirurgia standard e chirurgia artroscopica.

Si stima che, ogni anno, nel nostro Paese vengano effettuate circa 100.000 interventi di artroscopia (spalla, gomito, polso, ginocchio ecc.).
Come si esegue l’intervento
Questa tecnica è solitamente eseguita in anestesia generale, anche se a volte viene effettuato un blocco nervoso in grado di anestetizzare solamente l’area interessata, distendendo l’articolazione e iniettandovi aria oppure una soluzione fisiologica. Si inserisce poi l’artroscopio all’interno dell’articolazione praticando una piccola incisione nella pelle. In questo modo l’ortopedico è in grado di osservare la situazione interna, ma anche di sondare o spostare le strutture anatomiche per verificare l’eventuale presenza di lesioni.
L’artroscopio non è altro che un tubo di acciaio di dimensione simile a quella di una penna, provvisto di fibre ottiche, lente angolata e sorgente luminosa, strumenti collegati a una telecamera miniaturizzata che permette all’ortopedico di visionare l’interno dell’articolazione su uno schermo televisivo.
Le immagini che vengono fornite dall’artroscopio hanno una certa importanza a livello diagnostico poiché sono in grado di evidenziare le patologie delle strutture intra-articolari, molto difficili da verificare tramite le classiche lastre radiografiche (per esempio i legamenti o le cartilagini). Bisogna però sottolineare l’importanza dell’artroscopia anche a livello terapeutico poiché consente di intervenire direttamente su alcune strutture piuttosto delicate come i legamenti o i menischi (le note strutture cartilaginee a mezzaluna presenti all’interno del ginocchio).
Generalmente le vie di accesso per intervento possono variare da un minimo di due a un massimo di sei e l’incisione è sempre di dimensioni piuttosto modeste (attorno a qualche millimetro), in modo tale che la ferita possa poi essere protetta da semplici cerotti da tenersi per pochi giorni, evitando così di ricorrere ai punti di sutura.
Le complicanze legate a un’artroscopia sono molto rare, fra quelle più frequenti (che comunque riguardano meno dell’1% dei casi) vi sono gonfiore, emorragia, lesioni ai vasi sanguigni o ai nervi, flebite e infezioni.
Di norma, il soggetto sottoposto ad artroscopia deve sottoporsi a una terapia anticoagulante per almeno due giorni dopo l’intervento.
I tempi di recupero dall’intervento sono abbastanza veloci, variando ovviamente a seconda della tipologia di articolazione interessata e dalla gravità del caso. Esistono casi (in particolar modo quelli relativi a patologie minori) in cui il paziente può già muovere l’articolazione immediatamente dopo l’intervento.
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