L’angioplastica percutanea transluminale (anche angioplastica con palloncino o, più semplicemente, angioplastica) è una metodica mini-invasiva che viene utilizzata per eliminare, o quantomeno diminuire, i restringimenti (stenosi) del calibro dei vasi sanguigni.
Le stenosi dei vasi sono generalmente legate alla presenza di placche aterosclerotiche (anche placche ateromasiche o ateromi), ma anche i trombi o determinati processi infiammatori possono condurre a una diminuzione del calibro vasale.
In presenza di stenosi vasale, il passaggio del sangue è ostacolato (nei casi peggiori è addirittura impedito); è quindi necessario, per evitare problematiche che possono essere anche di notevole gravità, ripristinare al più presto il normale flusso sanguigno dilatando il lume ostruito.
L’angioplastica è una metodica ampiamente collaudata che può, in molti casi, sostituirsi al più impegnativo intervento chirurgico; la si esegue, infatti, in anestesia locale e non è ovviamente necessario ricorrere alla toracotomia (l’operazione chirurgica che consiste nell’apertura del torace) o ad altri interventi più o meno invasivi.
Angioplastica coronarica, carotidea ecc.
Di fatto, qualsiasi vaso colpito da stenosi può essere sottoposto a intervento di angioplastica; più frequentemente gli interventi di angioplastica sono effettuati per riportare alla normalità il calibro di arterie coronarie, carotidini, arterie degli arti inferiori, arterie renali.
L’angioplastica coronarica è una metodica di corrente utilizzo; è ormai collaudatissima (il primo intervento di angioplastica coronarica fu eseguito nel 1977) e vi si ricorre quando è necessario dilatare un ramo coronarico occluso o molto ristretto in seguito ad aterosclerosi coronarica. È nota anche con gli acronimi PTCA e PCI (Percutaneous Transluminal Coronary Angioplasty e Percutaneous Coronary Intervention).
L’angioplastica carotidea è una metodica che spesso sostituisce la chirurgia (endoarteriectomia) nel trattamento di soggetti affetti da stenosi gravi a livello delle carotidi. È stata praticata per la prima volta nel 1979; questa metodica è ormai impiegata routinariamente in tutti i grandi centri di radiologia interventistica, chirurgia vascolare e chirurgia emodinamica, ma sono occorsi diversi anni prima che si affermasse come valida alternativa all’intervento chirurgico; anni addietro, infatti, erano molto più alti i rischi di complicanze cerebrovascolari legate a questa tecnica.
Gli interventi di angioplastica periferica, ovvero l’angioplastica relativa alle arterie degli arti inferiori, risalgono alla prima metà degli anni ’60 del XX secolo; vi si fa comunemente ricorso per il trattamento dei soggetti affetti da claudicatio intermittens, una manifestazione della vasculopatia periferica conseguente ad aterosclerosi che determina una riduzione del flusso sanguigno ai muscoli preposti alla deambulazione. Le arterie più frequentemente trattati con l’angioplastica periferica sono l’iliaca comune, l’iliaca esterna, la femorale e la poplitea.
L’angioplastica renale viene spesso utilizzata per trattare la stenosi dell’arteria renale, condizione che può provocare ipertensione arteriosa e insufficienza renale. È nota anche con l’acronimo PTRA (dati termini inglesi Percutaneous Transluminal Renal Angioplasty).
La tecnica
L’angioplastica, come detto, è una tecnica mini-invasiva, non prevedendo alcun tipo di intervento chirurgico a livello del cuore o sulle arterie del torace. Lo specialista si limita, infatti, a praticare un’incisione molto piccola nell’arteria femorale (il sito di inserimento più comune) o nell’arteria radiale (la principale arteria dell’avambraccio); l’intervento viene effettuato in anestesia locale (si somministra l’anestetico nel punto dove verrà inserito il catetere).
Una volta somministrato l’anestetico, un catetere a palloncino viene inserito nell’arteria e fatto avanzare fino a raggiungere il vaso interessato dalla stenosi; il cardiologo interventista controlla su un monitor l’avanzamento del catetere (la procedura è molto simile a quella seguita quando si effettua una coronarografia).
Per individuare il punto preciso in cui è localizzata la stenosi è necessario iniettare del liquido di contrasto nel catetere; ciò permette la visualizzazione dell’accumulo aterosclerotico tramite immagine a raggi X. Una volta giunti al punto da trattare, il palloncino viene gonfiato con del liquido sterile; grazie a questa operazione il lume del vaso viene dilatato e il materiale che ostruiva o restringeva il vaso viene spinto sulla parete arteriosa.
Nel momento in cui il palloncino viene gonfiato, il flusso sanguigno verso il cuore subisce una momentanea interruzione e il paziente può avvertire un leggero dolore al petto, dolore che deve essere immediatamente riferito a chi esegue l’intervento. Una volta ridotta o eliminata la stenosi, il palloncino viene sgonfiato e il catetere può essere ritirato. A questo punto il flusso sanguigno riprenderà a scorrere normalmente.
La durata di un intervento di angioplastica ha una durata che varia da caso a caso; di norma oscilla da un minimo di 30 a un massimo di 90 minuti.
Dopo l’intervento di angioplastica è necessario almeno un giorno di ricovero in ospedale e rimanere sdraiati per diverse ore per far sì che l’incisione nell’arteria utilizzata per l’inserimento del catetere cicatrizzi completamente.
Se non si verificano complicazioni, evenienza ormai piuttosto rara, il soggetto può riprendere le proprie attività nel giro di pochi giorni.
Durante il periodo di convalescenza il paziente dovrà assumere un farmaco anticoagulante. Saranno poi necessarie diverse visite di controllo per monitorare la situazione; il rischio di una nuova stenosi (restenosi) dell’arteria trattata con l’angioplastica non è per niente improbabile.
Angioplastica e stent
Nel caso in cui la stenosi arteriosa non possa essere efficacemente risolta con la dilatazione tramite palloncino, è possibile introdurre nel vaso stenotico una protesi metallica nota come stent; si tratta sostanzialmente di una protesi cilindrica costituita da una maglia metallica; viene posizionata all’interno dell’arteria e serve a rafforzare le pareti arteriose dall’interno; grazie allo stent il vaso interessato dalla stenosi può essere dilatato e mantenuto pervio; una volta che lo stent viene posizionato nel punto della stenosi, viene rilasciato ed esso si espanderà in modo automatico; trascorse alcune settimane, lo stent finirà per integrarsi con le pareti arteriose sulle quali si appoggia.
Le primissime protesi metalliche (anni ’80 del XX secolo) venivano utilizzate come trattamento aggiuntivo dell’angioplastica; nella maggior parte dei casi, peraltro, l’angioplastica tramite dilatazione del palloncino è ancora l’intervento di prima scelta. In alcune circostanze, però, è preferibile optare per il posizionamento di uno stent senza effettuare prima una dilatazione tramite palloncino.
In alcuni casi, il paziente sottoposto ad angioplastica con posizionamento di stent subiscono una nuova stenosi dell’arteria, la restenosi si verifica di norma a causa di una proliferazione cellulare eccessiva nella parete arteriosa; questo è, di fatto, il risultato della formazione di tessuto cicatriziale; il problema può verificarsi entro nove mesi dall’intervento di angioplastica. Gli stent ricoperti di farmaci diminuiscono (anche se non azzerano) il rischio di restenosi.
Alcuni cardiologi contrastano il fenomeno della restenosi con la crio-plastica; praticamente, si interviene nel seguente modo; viene dilatato un palloncino contenente azoto liquido e si portano le pareti del vaso stenotico a una temperatura di circa -10 °C per circa 20 secondi; ciò permette l’uccisione delle cellule della parete arteriosa che tendono a proliferare; questa particolare procedura viene percepita come una normale dilatazione effettuata con un tradizionale palloncino.

L’angioplastica è una metodica ampiamente collaudata che può, in molti casi, sostituirsi al più impegnativo intervento chirurgico.
Angioplastica – Rischi e complicazioni
L’intervento di angioplastica è molto comune e generalmente non si verificano complicazioni di rilievo; purtuttavia il rischio di problemi successivi all’intervento non è nullo. Fra le complicazioni più gravi che possono verificarsi ricordiamo le seguenti:
- emorragia dall’arteria utilizzata per l’inserimento del catetere
- danno ai vasi sanguigni causati dal catetere
- reazione allergica o danno regale provocati dal mezzo di contrasto
- aritmia
- necessità di impianto di un by-pass d’emergenza nel caso che l’arteria interessata dall’intervento si richiuda invece di riaprirsi
- infarto
- ictus.
Il rischio di morte in seguito ad angioplastica, ancorché molto basso, non è nullo.
Il rischio di complicazioni è superiore nel caso che l’intervento venga praticato su soggetti affetti da patologie renali, diabete, insufficienza cardiaca o patologie cardiache a uno stadio avanzato. Il rischio è maggiore anche nel caso in cui il soggetto abbia un’età superiore ai 75 anni.
Indice materie – Medicina – Interventi – Angioplastica