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Tanto gentile e tanto onesta pare

Tanto gentile e tanto onesta pare è l’incipit di uno dei più noti sonetti di Dante Alighieri, che si trova nella Vita nova. Quest’opera, la prima unitaria dello scrittore, composta tra 1292 e il 1294, è un prosimetro, cioè un componimento in cui si alternano parti in prosa e parti in versi. Essa è suddivisa in 42 capitoli e raccoglie 31 testi lirici inseriti all’interno di una narrazione biografica in prosa, che ruota attorno all’innamoramento di Dante per Beatrice, figura presente in tutta la scrittura dantesca.

I momenti più importanti della suddetta vicenda amorosa sono il primo incontro (a 9 anni), il secondo (a 18 anni) cui si accompagna il saluto di Beatrice, l’episodio della donna-schermo (cioè una donna che Dante sceglie come amata per non alimentare le maldicenze e le chiacchiere relative al suo amore per Beatrice), la negazione del saluto di Beatrice in seguito alla presunta disonestà di Dante, la poetica della lode, la morte di Beatrice, l’episodio della «donna pietosa» che sembra distrarlo dal suo antico amore e la conclusiva «mirabile visione» che suggerisce a Dante di trattare più degnamente la figura di Beatrice in futuro (e che risulta il primo presagio del progetto della Commedia).

In questa pagina…

  • Testo
  • Parafrasi
  • Analisi
  • Figure retoriche
tanto gentile e tanto onesta pare

Dante ammira Beatrice, dipinto di Henry Holiday (Walker Art Gallery, Liverpool)

Testo

Il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare si trova nel XXVI capitolo, quello della lode per la donna amata, che Dante introduce con queste parole: “volendo ripigliare lo stilo de la sua loda, propuosi di dicere parole, ne le quali io dessi ad intendere de le sue mirabili ed eccellenti operazioni […]. Allora dissi questo sonetto, lo quale comincia: Tanto gentile“. Si tratta di un sonetto in 14 endecasillabi raggruppati in due quartine e due terzine; le rime sono disposte secondo lo schema ABBA-ABBA-CDE-EDC (la rima è incrociata nelle quartine, mentre è invertita nelle terzine, com’è tipico della poesia stilnovistica).

  • Tanto gentile e tanto onesta pare
  • la donna mia quand’ella altrui saluta,
  • ch’ogne lingua deven tremando muta,
  • e li occhi no l’ardiscon di guardare.
  • Ella si va, sentendosi laudare, 5
  • benignamente d’umiltà vestuta;
  • e par che sia una cosa venuta
  • da cielo in terra a miracol mostrare.
  • Mostrasi sì piacente a chi la mira,
  • che dà per li occhi una dolcezza al core, 10
  • che ‘ntender no la può chi no la prova:
  • e par che de la sua labbia si mova
  • un spirito soave pien d’amore,
  • che va dicendo a l’anima: Sospira.

Parafrasi

  • La mia signora, quando saluta qualcuno,
  • si rivela tanto nobile e tanto dignitosa,
  • che ogni lingua diviene muta per il tremare,
  • e gli occhi non osano guardarla.
  • Ella procede, sentendosi lodare,
  • quasi vestita di benevolenza e di umiltà,
  • e si rivela un essere venuto
  • dal cielo a mostrare sulla terra la sua natura miracolosa.
  • Si mostra così bella a chi la guarda,
  • che trasmette attraverso gli occhi una tale dolcezza al cuore,
  • che chi non la sperimenta non può capire:
  • ed è chiaro come dal suo volto emani
  • uno spirito dolce pieno d’amore
  • che dice all’anima: Sospira.

Tanto gentile e tanto onesta pare – Analisi

Nel sonetto si descrive Beatrice, l’amata del poeta, nell’atto di salutare: ciò consiste nell’augurare e promettere la salvezza a chi la incontra, in quanto la donna è strumento e manifestazione miracolosa della divinità, come esplicitano i versi 7 e 8 (e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare). Il verso 8 mostra anche la figura retorica dell’allitterazione in m (miracol mostrare). Il tema del saluto di madonna, era caro a Guido Guinizzelli, precursore dello Stilnovismo, ma in questo sonetto troviamo anche la descrizione delle caratteristiche proprie della donna virtuosa cantata dagli altri poeti stilnovisti: la gentilezza, l’onestà, l’umiltà, la dolcezza.

La donna passeggia per le vie di Firenze e chi la guarda sembra essere di fronte a una visione miracolosa, tanto che rimane senza parole e intimorito al guardarla. Si tratta del motivo dell’ineffabilità della bellezza della donna (che torna anche al verso 11), affiancato a quello del tremore come manifestazione dell’amore. I due aggettivi riferiti alla donna nel primo verso, gentile e onesta, fanno entrambi riferimento alla sua nobiltà: il primo riguarda soprattutto la nobiltà interiore, il secondo invece il decoro esteriore.

Al verso 12 è presente la figura retorica della sineddoche, per cui il termine labbia sta per volto. Al verso 13 torna la figura retorica dell’allitterazione, questa volta in s: spirito soave. Il verbo “parere” è il termine-chiave del componimento e significa non “sembrare”, ma “si manifesta nella sua evidenza”, “si rivela”, a indicare la rivelazione della perfezione della donna. Il verbo “saluta” ha invece doppia valenza: sta sia per “rivolge il saluto” che per “rivela segni di salvezza”. Chiunque assista alla visione di Beatrice è coinvolto dalla sua dolcezza e dalla sua semplicità, che non sono comprensibili a parole per chi non partecipa direttamente al suo “miracolo”: di conseguenza, il sonetto ammette il proprio essere insufficiente a esprimere la materia trattata.

Tanto gentile e tanto onesta pare – Figure retoriche

Oltre alle figure retoriche descritte nell’analisi si notano al verso 1 la figura delle endiadi (Tanto gentile e tanto onesta pare); ricorre più volte la figura dell’anastrofe (donna mia, altrui saluta, d’umiltà vestuta e miracol mostrare). Al verso 6 è presente la figura retorica della metafora (d’umiltà vestuta); si notino anche l’iperbole ai versi 3 e 4 (ch’ogne lingua deven tremando muta e li occhi no l’ardiscon di guardare), la paronomasia ai versi 6-7 (vestuta / venuta), gli enjambement (versi 1-2, 7-8, 12-13) e le similitudini ai versi 7-8 (par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare) e 12 (par che de la sua labbia si mova). Ricorre più volte la figura retorica dell’apocope (deven, miracol, par, pien)

 

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