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Sono una creatura (Ungaretti)

Sono una creatura è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916); adesso fa parte della seconda sezione Il Porto Sepolto nella raccolta L’Allegria.

La poesia è preceduta da un’indicazione di luogo e tempo: «Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916»: si tratta di una località sul monte San Michele, in Friuli, così definita per la presenza di un gelso che separava i territori controllati dall’esercito italiano da quelli controllati dall’esercito austro-ungarico.

In questa lirica il poeta esprime il dolore senza lacrime di fronte agli orrori e alla disumanità della guerra.

Si tratta di tre strofe di versi liberi, privi di punteggiatura.

In questa pagina…

  • Testo
  • Parafrasi
  • Analisi e figure retoriche
Sono una creatura - Ungaretti - Parafrasi - Analisi

Sono una creatura è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916)

Testo

Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916

  • Come questa pietra
  • del S. Michele
  • così fredda
  • così dura
  • così prosciugata
  • così refrattaria
  • così totalmente
  • disanimata 8
  • Come questa pietra
  • è il mio pianto
  • che non si vede 11
  • La morte
  • si sconta
  • vivendo 14

Sono una creatura (Ungaretti) – Parafrasi

  • Come questa pietra
  • del monte San Michele
  • così fredda
  • così dura
  • così arida
  • così resistente
  • così totalmente
  • priva di vita
  • Come questa pietra
  • è il mio pianto
  • che scorre invisibile
  • Il destino di morte
  • si sconta
  • con le sofferenze del vivere

Sono una creatura (Ungaretti) – Analisi del testo e figure retoriche

Sono una creatura è una poesia costruita su una similitudine (figura retorica simile alla metafora; si veda per approfondimenti Differenza tra similitudine e metafora), che sottolinea l’identità tra la pietra carsica (secondo termine di paragone) e il pianto «che non si vede» del poeta (primo termine di paragone, esplicitato al v. 10 dopo la ripetizione dell’incipit al v. 9): il paesaggio del Carso – freddo, arido, desolato – è come l’anima del poeta, che non riesce, quasi come se fosse pietrificato, a esprimere ciò che sente.

La prima strofa è caratterizzata dall’anafora di «così» (vv. 4-7), dall’allitterazione delle dentali /d/ e /t/ e dal climax degli aggettivi riferiti alla pietra (fredda, dura, prosciugata, refrattaria, disanimata). Si noti anche l’ossimoro morte/vita dei vv. 12-14 (La morte / si sconta / vivendo); sono anche presenti le figure retoriche dell’enjambement (vv. 1-2; 7-8) e dell’anastrofe (vv. 9-10, Come questa pietra / è il mio pianto).

A differenza di Veglia – nella quale il contatto anche fisico con la morte aveva suscitato nel poeta un inconsapevole e istintivo attaccamento alla vita -, in Sono una creatura prevalgono il tormento e l’angoscia per le sofferenze a cui l’uomo – e in special modo l’uomo travolto dalla guerra – è costretto a sperimentare.

I versi finali sottolineano l’impossibilità di sfuggire al dolore che caratterizza l’esistenza. L’intera poesia si fonda sull’idea che esso possa arrivare a privare l’individuo della sua umanità e della capacità di “sentire” («disanimata / come questa pietra / è il mio pianto», vv. 8-10). È attraverso la sofferenza che l’uomo «sconta» la morte a cui tutti siamo destinati.

 

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