San Martino del Carso è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916); adesso fa parte della seconda sezione Il porto sepolto nella raccolta L’Allegria.
La poesia è preceduta da un’indicazione di luogo e tempo: «Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916»: si tratta di una località sul monte San Michele, in Friuli, così definita per la presenza di un gelso che separava i territori controllati dall’esercito italiano da quelli controllati dall’esercito austro-ungarico.
Nell’agosto 1916 le truppe italiane conquistarono San Martino del Carso, una delle località più colpite della zona di San Michele.
Lo sguardo del poeta-soldato Ungaretti al paese, ridotto a un cumulo di rovine, suscita una riflessione sullo strazio interiore dovuto alla perdita degli affetti più cari, in una forte corrispondenza tra paesaggio e io interiore.
Si tratta di versi liberi, privi di punteggiatura, raggruppati in strofe di lunghezza variabile.
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Il componimento San Martino del Carso compare per la prima volta nella raccolta Il porto sepolto (1916) con una lunghezza di 15 versi; adesso fa parte della seconda sezione Il porto sepolto nella raccolta L’Allegria.
Testo
Valloncello dell’Albero Isolato il 27 agosto 1916
- Di queste case
- non è rimasto
- che qualche
- brandello di muro
- Di tanti 5
- che mi corrispondevano
- non è rimasto
- neppure tanto
- Ma nel cuore
- nessuna croce manca 10
- È il mio cuore
- il paese più straziato
San Martino del Carso (Ungaretti) – Analisi del testo
Ungaretti, giunto a San Martino del Carso, osserva il paese distrutto dalla guerra, del quale rimane solo «qualche / brandello di muro» (vv. 3-4), dove il termine di solito è usato in riferimento a un corpo torturato e smembrato. Lo stesso vale per i suoi compagni e i suoi affetti («tanti / che mi corrispondevano», vv. 5-6), persi a causa della guerra.
Il «ma» del v. 9 segna il passaggio dallo sguardo del poeta sul paese distrutto a quello sulla propria interiorità: mancando un luogo dove gli affetti perduti possano trovare spazio (un cimitero), è il cuore, pur «straziato» (v. 12), che offre un riparo e assicura il loro ricordo (addirittura gli antichi consideravano il cuore la sede memoria).
Attraverso un’analogia, il cuore del poeta diventa sia il cimitero (risulta evidente dal riferimento alle croci del v. 10) in cui riposano gli affetti perduti sia il «paese», il luogo maggiormente colpito dalla guerra.
San Martino del Carso (Ungaretti) – Figure retoriche
Come sempre, nel caso di Ungaretti, non mancano in questa struggente poesia le figure retoriche.
Spiccano particolarmente le metafore (v. 4, brandello di muro; vv. 9-10, Ma nel cuore / nessuna croce manca) e soprattutto la stupenda analogia dei versi finali (È il mio cuore / il paese più straziato); si veda a questo proposito l’analisi del testo sopra riportata.
Di notevole impatto risulta anche il parallelismo tra i vv. 1-4 e (Di queste case…) e i vv. 5-8 (Di tanti…).
Si possono notare due anafore (vv. 1 e 5: Di… / Di…; vv. 2 e 7: non è rimasto… / non è rimasto…) e due epifore (vv. 5 e 8: … tanti / … tanto; vv. 9 e 11: … cuore / … cuore).
Ai vv. 11-12 è ravvisabile un’anastrofe (È il mio cuore / il paese più straziato).
Ricorrenti le allitterazioni (della a: case-rimasto-qualche-tanti-tanto-manca-straziato; della r: rimasto-brandello-muro-corrispondevano-neppure-cuore-croce-straziato; della c: cuore-croce-manca).
Immancabili i numerosi enjambement (vv. 1-2, 2-3, 3-4, 5-6, 6-7, 7-8, 9-10, 11-12).
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