Non chiederci la parola è uno dei componimenti poetici più noti di Eugenio Montale. Questa poesia, datata 10 luglio 1923, apre la sezione Ossi di seppia, la seconda dell’omonima raccolta (1925). Come I limoni, anche questo componimento – a maggior ragione in quanto collocato ad apertura di sezione – rappresenta una dichiarazione di poetica. Montale usa la prima persona plurale, con la quale intende la nuova generazione di poeti, per spiegare al lettore (il “tu” a cui ri rivolge) che non ha certezze né soluzioni da offrire, se non una poesia che sta ai margini e delle verità al negativo. Torna anche qui il paesaggio ligure tipico degli Ossi, ma colto nella sua desolazione e aridità.
Si tratta di tre quartine costituite da versi di varia lunghezza. Le rime sono incrociate nelle prime due quartine (ABBA CDDC) e la rima «amico / canicola» è ipermetra; le rime della terza strofa sono alternate EFEF.
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Non chiederci la parola è una delle poesie più note di Eugenio Montale. Scritta nel 1923, apre la sezione Ossi di seppia, la seconda dell’omonima raccolta.
Testo
- Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
- l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
- lo dichiari e risplenda come un croco
- perduto in mezzo a un polveroso prato. 4
- Ah l’uomo che se ne va sicuro,
- agli altri ed a se stesso amico,
- e l’ombra sua non cura che la canicola
- stampa sopra uno scalcinato muro! 8
- Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
- sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
- Codesto solo oggi possiamo dirti,
- ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. 12
Non chiederci la parola – Parafrasi
- Non chiederci la parola che indaghi da ogni lato
- il nostro animo senza forma, e lo riveli
- con parole incancellabili e lo faccia risplendere come un fiore sgargiante [il croco è il fiore dello zafferanno]
- perduto in mezzo a un prato quasi deserto.
- Ah l’uomo che procede sicuro,
- in pace con gli altri e con sé stesso,
- e non dà importanza alla sua ombra che il sole di mezzogiorno
- stampa sopra un muro con l’intonaco a pezzi!
- Non domandarci la formula che possa rivelarti verità nascoste
- bensì qualche sillaba storta e secca come un ramo.
- Oggi possiamo dirti solo questo,
- ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Non chiederci la parola – Analisi
La poesia inizia con un «non» che definisce le intenzioni del poeta: la parola non può dare ordine (squadrare) a ciò che ordinato non è («animo informe») ed esprimerlo chiaramente («a lettere di fuoco / lo dichiari»), fino a dare luce e rivitalizzare l’esistenza («polveroso prato»).
La seconda quartina si apre con l’esclamativo «Ah», che indica una sorta di pietà nei confronti dell’«uomo che procede sicuro» e sottolinea la distanza del poeta da quest’ultimo. L’uomo deciso è in armonia con sé stesso e gli altri perché non si pone domande su niente, nemmeno sull’«ombra sua», che rappresenta i lati più oscuri dell’animo umano. Risulta evidente anche la lontananza da d’Annunzio (uno dei principali protagonisti del decadentismo europeo), che riteneva il poeta un individuo superiore alla massa poiché depositario di verità non comprensibili all’uomo comune.
La terza strofa, collegata alla prima, riprende la negazione dell’incipit: la parola poetica non offre formule “magiche” per rivelare realtà è verità nascoste (si sottolinea la distanza dai Simbolisti), non è capace di affermare, ma solo di negare, come sottolineato dal distico finale: se il poeta ha parole da offrire, queste non possono esprimere certezze assolute, ma solo dire ciò che egli sa di non essere e ciò che non vuole.
Non chiederci la parola – Figure retoriche
Varie sono le figure retoriche individuabili in questa celebre poesia di Montale.
Nella richiesta del primo verso (Non chiederci…) è ravvisabile la figura dell’apostrofe (discorso fatto con toni accorati, di affetto o di rimprovero, a persone scomparse o assenti o a cose personificate).
Ai vv 2, 4 e 8 possiamo notare tre suggestive immagini metaforiche (lettere di fuoco; polveroso prato; scalcinato muro).
Varie volte ricorre l’anastrofe (l’animo nostro, polveroso prato; l’ombra sua; scalcinato muro; che mondi possa aprirti, storta sillaba).
Sia al v. 3 che al v. 10 è presente la figura della similitudine (risplenda come un croco; secca come un ramo).
Notiamo anche l’anafora dei vv. 1 e 9 (Non… / Non…).
Di notevole impatto l’epifonema dei vv. 11-12 (Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo). L’epifonema è una figura retorica che consiste nel chiudere un discorso con una frase caratterizzata da enfasi e/o solennità.
Sono presenti numerosi enjambement (vv. 1-2, 2-3, v.3-4, 7-8, 9-10) e allitterazioni (della r: chiederci, domandarci, croco; della p: perduto, polveroso, prato; della s: sì, storta, sillaba, secca).
Non chiederci la parola – La lettura di Gassman
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