Nella belletta è una breve poesia di Gabriele D’Annunzio; fa parte dei Madrigali dell’estate, un gruppo di 11 liriche brevi composte nel 1903 che sono inserite nella quarta sezione (Laudi) della raccolta Alcyone. Il termine belletta è quello con cui Dante Alighieri indica la fanghiglia della palude Stigia (Inferno, canto VII, v. 124):
- Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo
- ne l’aere dolce che dal sol s’allegra,
- portando dentro accidïoso fummo:
- or ci attristiam ne la belletta negra”.
Il vocabolo è ripreso anche da Eugenio Montale nella sua Non recidere, forbice, quel volto (v. 8, nella prima belletta di Novembre). Dal punto di vista metrico Nella belletta è un madrigale (due terzine e un distico) di endecasillabi; lo schema delle rime è ABC ADC EF (rimano i vv. 1 e 3 delle terzine: odore/fiore, morte/morte; i versi del distico sono in assonanza: appresso/silenzio). Si ricorda che il termine madrigale indica un breve componimento poetico costituito da due o tre terzine seguite da un distico (strofa costituita da una coppia di versi).
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“Belletta” è un sostantivo femminile che ha il significato di “fanghiglia melmosa”
Testo
Di seguito il testo del componimento.
- Nella belletta i giunchi hanno l’odore
- delle persiche mézze e delle rose
- passe, del miele guasto e della morte. 3
- Or tutta la palude è come un fiore
- lutulento che il sol d’agosto cuoce,
- con non so che dolcigna afa di morte. 6
- Ammutisce la rana, se m’appresso.
- Le bolle d’aria salgono in silenzio. 8
Nella belletta – Parafrasi
Di seguito la parafrasi.
- Nel fango della palude le canne hanno l’odore
- delle pesche troppo mature e delle rose
- appassite, del miele andato a male e della morte.
- Adesso la palude è come un fiore
- fangoso che il sole di agosto surriscalda,
- in una indefinita aria stagnante dolciastra [satura] di morte.
- Se mi avvicino la rana ammutolisce,
- le bolle d’aria salgono silenziosamente [in superficie, dal fondo dello stagno].
Nella belletta – Analisi
Tutte le 11 liriche che costituiscono le Madrigali dell’estate hanno in comune il tema della stagione estiva che sta giungendo al termine. Nel caso di Nella belletta, il poeta “dipinge” un momento di una giornata estiva (siamo nel mese di agosto), torrida e afosa. Il testo è sicuramente uno dei più emblematici della poetica del decadentismo italiano.
D’Annunzio è nei pressi di una palude (o di un grande stagno); le canne (i giunchi) emanano un odore sgradevole, dolciastro, che ricorda quello delle pesche che stanno marcendo (il termine mézzo è un aggettivo che si usa in riferimento a frutti carnosi troppo avanti con la maturazione) e delle rose che stanno appassendo, del miele rancido (v. 1-3).
L’aria è afosa, stagnante, quasi irrespirabile anche a causa dell’odore dolciastro e sgradevole della decomposizione che arriva dalle acque fangose e la palude viene paragonata a un fiore melmoso (lutulento) (v. 4-6).
Il paesaggio è statico, silenzioso, anche le rane tacciono quando l’uomo si avvicina; le bolle gassose che arrivano dal fondo dello stagno, causate dal processo di decomposizione, ricordano la putrefazione della morte (v. 7-8). Il poeta illustra il tutto facendo ricorso a immagini che evocano il senso dell’olfatto (prima terzina), quello della vista (seconda terzina) e dell’udito (distico).
I versi dannunziani comunicano il senso della morte e della decomposizione, ma, al tempo stesso, il Vate, uno dei più importanti esponenti dell’Estetismo, illustra l’ideale decadente che riesce a cogliere il fascino e la bellezza, per quanto oscuri, in qualsiasi forma di vita e di natura, anche nel momento della loro morte e decomposizione.
Si notano nel testo i contrasti fra la vita e la morte, fra la bellezza e la repulsione grazie all’accostamento ossimorico di sostantivi che sono simboli di bellezza come i frutti e i fiori ad aggettivi che ne indicano una loro condizione negativa (le pesche sono marce, le rose sono appassite, il fiore è melmoso).
Nella belletta – Figure retoriche
Nel madrigale Nella belletta sono presenti varie figure retoriche. Il testo è spezzato da alcuni enjambement che rallentano il ritmo in modo da rendere al meglio la lenta agonia della stagione estiva (vv. 1-2, 2-3, 4-5). Al v. 1 troviamo l’allitterazione della lettera l (Nella belletta i giunchi hanno l‘odore). Rintracciamo la figura retorica dell’ossimoro nell’accostamento fra termini che rimandano alla bellezza e aggettivi che invece fanno pensare alla bruttezza (v. 2, persiche mézze; vv. 2-3, rose / passe; v. 3, miele guasto; vv. 4-5, fiore / lutulento). Ai vv. 4-5 è presente una similitudine (Or tutta la palude è come un fiore / lutulento…). Al v. 5 è presente una metafora (il sol d’agosto cuoce).
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