Milano, agosto 1943 è un componimento poetico di Salvatore Quasimodo, che fa parte della raccolta Giorno dopo giorno (1947), segnata, come quelle successive, dall’esperienza dolorosa della guerra mondiale e dalle sue conseguenze sugli uomini e sulla natura. A differenza dei testi poetici precedenti, in cui prevalevano una piena adesione all’Ermetismo e il frammento, adesso Quasimodo predilige una poesia maggiormente accessibile e versi lineari e dal significato immediato. In questa lirica Quasimodo rievoca il bombardamento su Milano dell’agosto 1943, che lascia uno scenario di distruzione e morte. Si tratta di una strofa in versi liberi.
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In “Milano, agosto 1943” Quasimodo rievoca il bombardamento su Milano dell’agosto 1943, che lascia uno scenario di distruzione e morte.
Testo
- Invano cerchi tra la polvere,
- povera mano, la città è morta.
- È morta: s’è udito l’ultimo rombo
- sul cuore del Naviglio. E l’usignolo
- è caduto dall’antenna, alta sul convento, 5
- dove cantava prima del tramonto.
- Non scavate pozzi nei cortili:
- i vivi non hanno più sete.
- Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
- lasciateli nella terra delle loro case: 10
- la città è morta, è morta.
Milano, agosto 1943 – Analisi
La poesia si apre con l’immagine di un superstite che scava tra le macerie alla ricerca di qualcuno o qualcosa: il gesto si rivela inutile, perché «la città è morta». La guerra, qui simboleggiata dal «rombo» dei bombardamenti sulla città (colpita al «cuore del Naviglio», canale che attraversava il centro di Milano), sospende e cancella qualsiasi vitalità: tutto è morto, compreso «l’usignolo», che cantava dall’antenna del convento. Il canto può essere interpretato – come avviene in Alle fronde dei salici, in cui il poeta si chiede «come potevamo noi cantare»? – come simbolo della poesia, che la guerra rende impossibile.
La guerra disumanizza e avvicina alla morte anche coloro che si sono salvati: inutile scavare «pozzi nei cortili» dai quali bere, perché «i vivi non hanno più sete», hanno perduto anche i bisogni primari. L’unico gesto che rimane possibile è quello di non toccare i morti: non vanno nemmeno seppelliti, perché sono già sepolti dalla «terra delle loro case» distrutte. Il messaggio di Quasimodo è completamente negativo, come ribadito anche dal verso finale: «la città è morta, è morta».
Milano, agosto 1943 – Figure retoriche
Per quanto riguarda le figure retoriche, si segnalano la personificazione (v. 2 e v. 11: la città è morta), la sineddoche (vv. 1 e 2: polvere; povera mano), la metafora (l’usignolo, del v. 4 che simboleggia la vita e il cuore del Naviglio che rappresenta il centro della città), l’anafora (vv. 3 e 5: È… / è…; vv. 7 e 9: Non… / Non…) e l’anadiplosi (v. 11, è morta, è morta). Sono presenti inoltre due enjambement (vv. 1-2 e 4-5).
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