Levommi il mio penser in parte ov’era è l’incipit del sonetto CCCII (302) del Canzoniere di Francesco Petrarca; è un componimento poetico composto a Valchiusa nel 1351, alcuni dopo la morte di Laura, avvenuta nel 1348 ad Avignone a causa della peste. Dal punto di vista metrico, Levommi il mio penser in parte ov’era è un classico sonetto di 14 versi endecasillabi suddivisi in quattro strofe; lo schema della rima è a ABBA ABBA CDE CDE (2 quartine in rima incrociata e 2 terzine in rima replicata); A e B sono in assonanza e siamo altresì in presenza di una rima imperfetta (-era/-erra). Nel testo sono presenti vari latinismi (anchor, meco, humano, desir ecc.) e provenzalismi (penser, giuso).
Nota – Valchiusa è un luogo particolarmente amato da Petrarca e molti furono i suoi soggiorni in questa località della Provenza. La fonte di Valchiusa si trova nel paese Fontaine-de-Vaucluse, ed è nota per aver ispirato il celebre sonetto Chiare, fresche et dolci acque. Di Valchiusa Petrarca scrive in un epigramma composto per Philippe de Cabassoles:
- Nessun luogo sulla terra mi è più gradito di Valchiusa o più adatto ai miei studi.
- A Valchiusa fui da bambino e, tornatovi da giovane, essa mi accolse amena nel suo caldo grembo.
- Da uomo ho trascorso dolcemente a Valchiusa gli anni migliori e i candidi fili della mia vita.
- Da vecchio desidero passare a Valchiusa gli ultimi giorni e sotto la tua guida a Valchiusa voglio morire.
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Fontaine-de-Vaucluse (Provenza, Francia)
Testo
Di seguito il testo del sonetto.
- Levommi il mio penser in parte ov’era
- quella ch’io cerco, et non ritrovo in terra:
- ivi, fra lor che ‘l terzo cerchio serra,
- la rividi più bella et meno altera. 4
- Per man mi prese, et disse: – In questa spera
- sarai anchor meco, se ‘l desir non erra:
- i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra,
- et compie’ mia giornata inanzi sera. 8
- Mio ben non cape in intelletto humano:
- te solo aspetto, et quel che tanto amasti
- e là giuso è rimaso, il mio bel velo. – 11
- Deh perché tacque, et allargò la mano?
- Ch’al suon de’ detti sì pietosi et casti
- poco mancò ch’io non rimasi in cielo. 14
Levommi il mio penser in parte ov’era – Parafrasi
Di seguito la parafrasi.
- Il mio pensiero mi innalzò in un luogo dove era
- colei [Laura] che io cerco sulla terra:
- qui, fra coloro che dimorano nel terzo cerchio [nel cerchio di Venere],
- la rividi più bella e meno superba.
- Mi prese per mano e mi disse: «in questo spera,
- sarai con me [in questo cielo], se il desiderio non mi inganna;
- io sono colei che ti ha fatto tanto soffrire,
- e che morì prima di giungere alla vecchiaia.
- La mia beatitudine è tale che l’intelletto umano non è in grado di concepirla:
- aspetto solo te, ma quello che tanto hai amato,
- il mio bel corpo, è rimasto laggiù».
- Ahimè, perché tacque e lasciò andare la mia mano?
- Poiché al suono di parole così dolci e pure
- per poco non rimasi in cielo [con lei].
Levommi il mio penser in parte ov’era – Analisi
Molti sonetti di Petrarca si caratterizzano per un tono “drammatico”; non è il caso di Levommi il mio penser in parte ov’era, un componimento di cui M. Pazzaglia ha scritto: “È la più dolce, estatica trasfigurazione di Laura Celeste. Il Poeta è rapito in visione, e vede Laura trionfante nel cielo, ma una Laura umanissima, affettuosa e pietosa che attende solo il suo bel corpo e il poeta, per giungere al compimento della propria felicità“. Nei vv. 1 e 2 il pensiero del poeta arriva fino al Paradiso, in quel luogo dove ora si trova la donna amata che, morta precocemente, il poeta ricerca invano sulla terra; il pensiero, quindi, annulla la distanza fisica causata dalla morte; Laura è immaginata nel terzo cerchio, quello di Venere, dove si trovano gli spiriti amanti (v. 3); qui, Laura appare agli occhi del poeta ancora più bella poiché si trova nella perfezione celeste e anche più dolce e affettuosa di quando era in vita (v. 4, la rividi più bella et meno altera).
La seconda quartina si apre con un’immagine particolarmente affettuosa, quella di Laura che prende per mano il poeta; è lei, che sulla Terra aveva un atteggiamento quasi sdegnoso, a prendere l’iniziativa del contatto, sì casto, ma comunque ravvicinato (v. 5) mostrando una dolcezza e un’umanità decisamente più grandi di quelle mostrate quando era in vita. In questi quattro versi (5-8), Laura rivolge al poeta parole dolci, mostra la sua tenerezza verso l’amante infelice che lei – morta precocemente (compie’ mia giornata inanzi sera) – tanto ha fatto soffrire (colei che ti die’ tanta guerra) e gli dimostra il suo desiderio di riunirsi a lui nell’amore puro delle anime celesti.
Nella prima terzina (vv. 9-11), la donna parla della grande beatitudine che sta vivendo, incomprensibile per l’intelletto degli uomini; al tempo stesso, però, con grande spontaneità, rivela quali sono le cose che le mancano perché tale beatitudine sia davvero completa: il suo bel corpo (il mio bel velo), tanto amato dal poeta (quel che tanto amasti), e lui (te solo aspetto), che potrà raggiungerla dopo la fine della sua vita terrena. Si noti in questi versi la raffinatissima metafora del “velo”, termine con cui Petrarca designa il corpo mortale, un velo superficiale che nasconde qualcosa che è molto più profondo, l’anima.
La seconda terzina (v. 12-14) è quella del ritorno alla realtà. Laura non parla più e lascia la mano del poeta che forse ora è consapevole che la rappresentazione di una Laura così piena di dolcezza e affetto è solo un parto della sua fantasia, del suo bisogno di rendere meno duro il tormento della mancanza di lei. Il sogno è quindi terminato, ma era per il poeta un sogno così bello che avrebbe desiderato di rimanere in quel luogo con lei (poco mancò ch’io non rimasi in cielo).

Monumento a Francesco Petrarca (Arezzo, parco “Il Prato”)
Levommi il mio penser in parte ov’era – Figure retoriche
Nel testo del sonetto sono presenti varie figure retoriche. Nel v. 1 sono presenti allitterazioni della m e della p, mentre nei vv. 5, 6, 7, 10 e 11 ricorrono allitterazioni della lettera s. Nei vv. 2 e 4 vi sono due parallelismi (…ch’io cerco, et [io] non ritrovo…; …più bella et meno altera). La figura della perifrasi ricorre nei vv. 2 e 7-8; in entrambi i casi (v. 2, quella ch’io cerco, et non ritrovo in terra; vv. 7-8, i’ so’ colei che ti die’ tanta guerra, / et compie’ mia giornata inanzi sera) si tratta di costruzioni perifrastiche che indicano Laura. Sono presenti alcune metafore; il termine guerra (v. 7) sta per sofferenza (il riferimento è alle pene di amore del poeta); i termini giornata e sera (v. 8) sono metafore che indicano rispettivamente la vita e la vecchiaia (Laura infatti morì prematuramente; compie’ mia giornata inanzi sera); un’altra metafora è il termine velo che indica il corpo mortale (la parte superficiale che nasconde quello spirituale, l’anima).
Interessante notare la costruzione chiastica dei vv. 5 e 12 (Per man mi prese, e disse… tacque, et allargò la mano) che altresì sono in antitesi. Nel v. 5 Laura prende per mano il poeta e inizia a parlare, mentre nel v. 12 tace e lascia la mano dell’uomo. Al v. 12 si ravvisano due figure retoriche, l’esclamazione (Deh) e la domanda retorica (perché tacque, et allargò la mano?).
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