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Letteratura italiana del Novecento

Nella letteratura italiana del Novecento giungono a maturazione le sperimentazioni letterarie della fine del secolo precedente e nascono contemporaneamente movimenti e singole personalità di reazione, influenzati dai rivolgimenti socio-culturali e dagli sconvolgimenti delle due guerre.

L’inizio del Novecento è dominato dalle “avanguardie“, movimenti culturali all’insegna della ricerca espressiva e teorica, a partire dall’eredità di Pascoli e D’Annunzio, che vengono recuperati o superati.

In particolare, il crepuscolarismo è la tendenza letteraria così definita in quanto emblematica del tramonto della tradizione poetica ottocentesca. I poeti crepuscolari non costituiscono una vera e propria scuola, ma sono accomunati dal rifiuto della retorica carducciana e del ricercato virtuosismo dannunziano, in direzione di una poetica più intimista, dedicata all’introspezione e alle piccole, banali cose quotidiane. Situazioni ricorrenti, un borghese mondo di provincia, vite monotone vengono rappresentati con toni malinconici e ironici insieme, come simboli di un malessere di vivere che nasce dalla crisi delle certezze filosofiche, etiche, politiche avvertita da questi poeti. Il rinnovamento dei temi in senso dimesso si accompagna a un nuovo stile poetico, colloquiale e prosastico.

Il maggiore poeta crepuscolare è il torinese Guido Gozzano, che con le sue scelte di contenuti, stile e lessico conferisce alle sue opere una costante sfumatura di ironia amara e dissacrante, e una mescolanza di lirismo e prosaicità inedita nella tradizione italiana. È diventato proverbiale il personaggio che dà il nome al suo poemetto La signorina Felicita.

Come i crepuscolari, anche i cosiddetti vociani non costituiscono una precisa e omogenea scuola poetica: si tratta degli intellettuali legati alla rivista culturale fiorentina La Voce, inizialmente incentrata sulla riflessione etico-politica di “voci” culturali diverse, poi dedicata a questioni letterarie, in particolare al rinnovamento del linguaggio. Ciò che accomuna poeti come Camillo Sbarbaro, Dino Campana, Clemente Rebora e molti altri, infatti, è la poetica del frammento, che sfuma i confini tra poesia e prosa e predilige un linguaggio espressionistico e soggettivistico, di forte impatto.

Il movimento di avanguardia più definito di inizio secolo è però il futurismo. Esso si basa sul rifiuto di tutte le forme artistiche tradizionali, nella convinzione che esse non possano rappresentare la modernità e le sue trasformazioni socio-economiche. I futuristi ritengono necessario un nuovo linguaggio espressivo per i cambiamenti innescati dall’avvento della società industriale e dallo sviluppo delle macchine, che rendono il dinamismo la parola chiave della vita moderna e quindi della cultura. Tuttavia il futurismo vuole essere non solo un movimento artistico, ma anche un nuovo costume di vita e persino un orientamento politico. L’atto di fondazione del futurismo, infatti, è un vero e proprio Manifesto, pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1909 sul Le Figaro a Parigi, che oltre a esprimere una nuova poetica è una presa di posizione antiborghese e antidemocratica, a sostegno della ribellione libertaria individuale e della guerra come strumento di “igiene”.

Dal punto di vista artistico, vengono elaborati diversi manifesti per le varie arti. Per quanto riguarda la letteratura, viene proclamata la necessità di utilizzare le “parole in libertà”, ossia liberate da tutti i nessi sintattici e dalla punteggiatura, per un’espressione più dinamica e immediata dei concetti, anche grazie alle variazioni tipografiche (forme e dimensioni dei caratteri). Emblematica della volontà di rottura propugnata dal futurismo è la raccolta poetica di Marinetti che ha come titolo un’onomatopea, Zang Tumb Tumb. L’altro principale autore futurista è Aldo Palazzeschi, narratore con Il codice di Perelà e poeta sperimentale con la raccolta L’incendiario.

letteratura italiana del novecento

Statua bronzea di Luigi Pirandello (Agrigento), uno dei più grandi autori della letteratura italiana del Noecento

La rivoluzione letteraria novecentesca riguarda anche la prosa, grazie alle esperienze di Luigi Pirandello e Italo Svevo. Il primo, in particolare, raggiunge nuove vette di originalità nella produzione drammaturgica, il secondo inaugura il romanzo contemporaneo. Nelle opere di questi due autori di livello europeo si riflette la generale crisi di certezze dell’uomo moderno, che si manifesta, oltre che nelle scelte tematiche, soprattutto nella destrutturazione degli schemi tradizionali del testo teatrale e romanzesco.

Negli anni della Prima guerra mondiale, la ricerca poetica procede in direzione dell’essenzialità, con l’innovazione di Umberto Saba e Giuseppe Ungaretti, che emergono per contrasto nello scenario retorico e rumoroso che il dannunzianesimo e il futurismo creano nel clima di guerra. Ungaretti, in particolare, è il precursore dell’ermetismo, la corrente poetica che domina gli anni Trenta e che annovera fra gli esponenti più significativi Salvatore Quasimodo (Ed è subito sera).

Il primo dopoguerra è caratterizzato dalla fervente attività delle riviste culturali che rifiutano i condizionamenti del potere politico, all’interno delle quali emergono figure che saranno determinanti per la letteratura della seconda metà del secolo, come Eugenio Montale. Poeta, giornalista, saggista e traduttore, Montale è considerato fra le figure intellettuali più importanti del Novecento.

La Seconda guerra mondiale fa riemergere una letteratura caratterizzata dall’impegno politico-civile, soprattutto prosa, che si esprime nella corrente del neorealismo. Anticipati e guidati da Alberto Moravia (Gli indifferenti) e Carlo Emilio Gadda (Quer pasticciaccio brutto de via Merulana), gli scrittori neorealisti elaborano un linguaggio nuovo, immediato ed eterogeneo, affinché sia più vicino alla realtà, oggetto privilegiato dei loro testi. La guerra, soprattutto nei suoi effetti sulla vita quotidiana, la Resistenza, il mondo delle periferie e degli emarginati diventano i temi principali di una letteratura che vuole essere strumento di denuncia e impegno sociale. L’esordio di Italo Calvino avviene proprio nella scia del neorealismo, mentre successivamente lo scrittore intreccia al realismo il fiabesco e il meraviglioso, raggiungendo i risultati di originalità che lo hanno reso tra i più noti narratori contemporanei. L’interesse per la realtà contemporanea è invece dominante in tutta l’opera di Elio Vittorini, Cesare Pavese e Beppe Fenoglio. Alla produzione di ciascuno di questi autori viene conferita un’impronta di particolarità dal rispettivo contesto sociale e geografico. Nell’opera di Vittorini si confrontano costantemente la Sicilia dell’infanzia e la città della maturità, Milano, in cui l’autore vive la Resistenza e il contatto con il proletariato (Conversazioni in Sicilia, Uomini e no). Le Langhe, invece, sono il territorio di Pavese e Fenoglio: il primo lo rievoca con nostalgia (La luna e i falò) e vive il trasferimento in città, a Torino, come un percorso di maturazione necessaria, ma opprimente, dalla natura alla ragione, causa della solitudine e del senso di mortificazione che portano l’autore al suicidio; il secondo, invece, vi osserva le vicende della guerra e della Resistenza (Il partigiano Johnny).

Un atteggiamento più indirizzato all’analisi e all’indagine della realtà, piuttosto che alla sua rappresentazione, caratterizza alcuni autori del Novecento che all’interno della più ampia categoria del neorealismo sviluppano uno specifico “realismo critico”.

Il nobile palermitano Giuseppe Tomasi di Lampedusa divenne famoso dopo la morte per la pubblicazione del suo romanzo Il Gattopardo, un romanzo storico ambientato in una Sicilia in procinto di essere annessa al Regno d’Italia. Il protagonista è il principe di Salina, l’ultimo dei “gattopardi”, rappresentati sullo stemma della famiglia. L’opera è una condanna dell’immobilismo della società siciliana e della politica, intrisa di un profondo senso di morte e di disfacimento.

All’analisi da un lato del rapporto dell’io con sé stesso, dall’altro dei rapporti sociali ed economici, avviata da Moravia, si dedicano autori come il siciliano Leonardo Sciascia (Il giorno della civetta, romanzo di denuncia della criminalità mafiosa) e il bolognese Pier Paolo Pasolini, radicale sperimentatore di una letteratura intesa come strumento di comprensione della realtà al di là di astrazioni intellettualistiche.

La seconda metà del Novecento vede anche l’affermazione di scrittrici di rilievo, che arricchiscono la ricerca di realismo con prospettive fantastiche e autobiografiche. Tra le narratrici spicca Elsa Morante, che immerge le vicende realistiche e drammatiche oggetto delle sue opere in un’atmosfera a tratti mitica o fiabesca (L’isola di Arturo, La storia).

L’autobiografismo e la memoria familiare sono invece la particolarità della narrativa neorealista di Natalia Ginzburg, come dimostra la sua opera di maggiore successo, Lessico famigliare.

Nel Novecento la tendenza al realismo si manifesta anche in poesia, intrecciandosi con le riflessioni esistenzialiste, nell’opera di grandi personalità come Sandro Penna, Mario Luzi e Vittorio Sereni.

Alla fine degli anni Cinquanta si esaurisce la stagione neorealista, perché il mutamento dello scenario socio-politico e dei valori della Resistenza richiede una cultura critica nuova e un nuovo confronto con la realtà storica. Il rinnovamento è affidato innanzitutto al lavoro intellettuale delle riviste, in direzione di uno svecchiamento della cultura italiana. Una volontà di rottura più marcata è espressa dalla neoavanguardia Gruppo ’63, formata da intellettuali accomunati dal rifiuto della tradizione letteraria degli anni Cinquanta e della cultura popolare. Gli autori di questo gruppo attribuiscono alla sperimentazione linguistica una funzione sovversiva, rifacendosi per questo alle avanguardie storiche di inizio secolo, in particolare al futurismo.

A partire dagli anni Sessanta si iniziano ad avvertire la sterilità e l’astrattezza della ricerca sperimentale, che finisce per diventare pura teoria e tecnica. Da questa consapevolezza deriva il postmoderno: più che un vero e proprio movimento artistico, è un atteggiamento, legato alla necessità di nuovi paradigmi artistici e culturali, che tuttavia non si è ancora in grado di definire, se non in relazione a quelli appena superati (cioè quelli “moderni”).

Questione centrale per la caratterizzazione del postmodernismo è l’influenza in letteratura dei mass media e delle richieste del mercato editoriale: si assiste a una divaricazione fra letteratura e società che alcuni alimentano con la chiusura nei confronti del mercato di massa, altri cercano di superare avviando un’interazione con i nuovi soggetti culturali, interazione dagli esiti controversi.

Appartengono a questa fase, senza poter essere uniti sotto un’unica etichetta, alcuni dei più noti autori del Novecento, come Sebastiano Vassalli, Dacia Maraini, Susanna Tamaro, Andrea Camilleri tra i narratori, e Alda Merini e Vivian Lamarque tra i poeti.

 

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