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Leopardi – Poesie

Giacomo Leopardi (Recanati, 29 giugno 1798 – Napoli, 14 giugno 1837) è la figura eccezionale e isolata che dà avvio alla poesia moderna in Italia, impostando la sua innovatività su una continuità non convenzionale con la tradizione classica e sul rifiuto del romanticismo.

Leopardi nasce a Recanati alla fine del XVIII sec., in una famiglia della nobiltà clericale. Il rigido conservatorismo del padre e il fanatismo religioso della madre rendono l’infanzia e l’adolescenza del giovane chiuse e prive di affetto genitoriale, animate solo dal profondo legame con i fratelli Carlo e Paolina e dagli studi. Gli istitutori esauriscono presto il proprio compito e Leopardi inizia a soli dieci anni una formazione da autodidatta nella ricchissima biblioteca paterna. Lo studio morboso compromette definitivamente le sue già precarie condizioni di salute, ma lo conduce a padroneggiare con una precocità straordinaria una molteplicità di lingue antiche e moderne, che impiega in poesie, dissertazioni filosofiche, traduzioni e lavori filologici.

La vocazione poetica emerge dai turbamenti generati dalla malattia, dall’idea della morte e dalla giovinezza mai fiorita, oltre che dall’ansia di evadere dalla prigionia di Recanati. Il 1817 è un anno fondamentale per lo sviluppo intellettuale di Leopardi, perché è il periodo in cui inizia la corrispondenza con il classicista Pietro Giordani, che per primo riconosce il genio del giovane recanatese, e in cui prende avvio lo Zibaldone. In questo “diario”, Leopardi annota riflessioni filosofiche, spunti poetici, appunti introspettivi, studi, osservazioni, che permettono di seguire il suo percorso intellettuale ed esistenziale.

Alla base del pensiero di Leopardi, sin dalle sue prime formulazioni, è uno scetticismo filosofico che deriva dal razionalismo settecentesco e rende il poeta saldo nella convinzione dell’impossibilità per l’uomo di raggiungere la felicità, se non tramite l’illusione, perché al di là di questa non c’è che il nulla, l’enigma che avvelena l’esistenza umana. In relazione allo sviluppo delle idee di Leopardi in merito, si è soliti dividere convenzionalmente il suo pensiero in tre fasi: pessimismo storico, pessimismo cosmico, pessimismo eroico. Si tratta di etichette comode, ma molto rigide e semplificanti.

L’espressione “pessimismo storico” fa riferimento all’idea che l’infelicità sia una prerogativa dell’uomo moderno, nel quale la ragione si è sostituita alla natura sottraendo forza alle illusioni e vitalità all’immaginazione, che sono le uniche cose che permettevano agli antichi di non vedere la miseria della realtà e di vivere quindi spontaneamente sereni. La poesia allora avrebbe la funzione di stimolare l’immaginazione e l’illusione, soprattutto attraverso il ricordo, anche se non è più possibile vivere in quello stato di beata ignoranza proprio degli antichi e, nel presente, solo dei bambini. L’uomo moderno conduce una vita inautentica perché ha perso ogni contatto con la natura nell’inseguimento incessante del progresso, che richiede il predominio della ragione, della freddezza, della funzionalità.

giacomo leopardi

Il nome completo del poeta era Giacomo Taldegardo Francesco Salesio Saverio Pietro Leopardi

Da questo nasce la poesia soggettiva dei “piccoli idilli”, in cui domina la poetica del vago o dell’indefinito e della rimembranza. Il desiderio di piacere dell’uomo, infatti, secondo l’autore è illimitato, ma poiché non esiste alcun piacere infinito, l’unica felicità sperimentabile è quella transitoria che deriva dalla percezione di qualcosa di vago, che in quanto tale può essere immaginato come se fosse infinito. Il ricordo è di per sé indefinito, perché il tempo modifica e confonde la percezione delle cose. Il componimento più emblematico di questa poetica è anche il più noto dell’intera produzione di Leopardi, L’infinito, in cui la siepe è la barriera fisica che ostacolando la vista stimola il pensiero e l’immaginazione.

Tra il 1823 e il 1827 si apre il periodo dei tanto agognati viaggi per l’Italia, ma anche di “silenzio poetico”, in cui il giovane recanatese abbandona la poesia per dedicarsi alla prosa filosofica dello Zibaldone e delle Operette morali, in cui elabora quello che sarà definito “pessimismo cosmico”: secondo questa concezione l’infelicità è costitutiva nell’uomo antico come in quello moderno, perché la natura dà all’uomo l’esistenza insieme a un desiderio di felicità destinato a rimanere insoddisfatto. Essa allora non è più vista come la madre benevola che procura ai propri figli la felicità, ma come una matrigna perfida che genera un figlio e poi lo destina all’infelicità, all’interno di un ciclo meccanicistico di cui egli non è che un fragile e irrilevante elemento. Il Dialogo della Natura e di un Islandese è l’operetta più esplicativa di questa concezione, grazie alle efficaci immagini e allegorie.

A partire dal soggiorno a Pisa del 1828, Leopardi ritrova l’ispirazione poetica con i “grandi idilli” come A Silvia, Il passero solitario e Il sabato del villaggio, in cui ritornano le nostalgiche riflessioni sulla giovinezza perduta, il tempo, la memoria e la crudeltà della natura.

Nel 1830, grazie a un prestito degli amici, Leopardi lascia definitivamente Recanati e vive prima a Firenze e poi a Napoli. Il pensiero del poeta va incontro a una svolta, in direzione del cosiddetto “pessimismo eroico”: accettata la propria debolezza di fronte alla natura e la propria infelicità, l’uomo non deve semplicemente rassegnarvisi chiudendosi nella solitudine, né rifugiarsi in un illusorio spiritualismo, né negare la realtà con un’ingenua fiducia nel progresso e nella scienza. La consapevolezza della propria condizione deve piuttosto condurre a un sentimento di solidale pietà fra gli uomini, che conduca a un superamento dell’egoismo in funzione di un'”alleanza” contro la malvagità della natura, impossibile da sconfiggere, ma a cui si può resistere. Questo è il messaggio etico positivo che costituisce il tema centrale di uno degli ultimi componimenti di Leopardi, La ginestra, nata dall’osservazione del paesaggio arido della zona del Vesuvio, nei pressi del quale il poeta muore nel 1837.

Leopardi poesie

Le poesie di Leopardi sono considerate un vero e proprio patrimonio della letteratura italiana ed è proprio l’autore recanatese che darà inizio alla poesia moderna in Italia.

Leopardi – Le poesie più famose

Le poesie di Leopardi sono considerate un vero e proprio patrimonio della letteratura italiana e moltissime sono le sue poesie divenute famose; di seguito riportiamo le principali; per ognuna di esse è presente nel nostro sito una scheda che le tratta nel dettaglio riportando testo, parafrasi e analisi:

  • A Silvia
  • A se stesso
  • All’Italia
  • Alla luna
  • Il passero solitario
  • Il sabato del villaggio
  • L’infinito
  • La ginestra
  • La quiete dopo la tempesta
  • La sera del dì di festa
  • La ginestra
  • Ultimo canto di Saffo.

A Silvia – In questa poesia Leopardi ricorda una ragazza conosciuta nel corso della sua giovinezza e morta di malattia; la tradizione la identifica con Teresa Fattorini, figlia del cocchiere della famiglia Leopardi e morta di tisi nel 1818 all’età di vent’anni. Il nome poetico fa riferimento a quello della ninfa protagonista del dramma pastorale Aminta di Torquato Tasso. Per approfondire si veda la scheda A Silvia.

A se stesso – In questa poesia – che fa parte del cosiddetto ciclo di Aspasia – Leopardi si rivolge al proprio io interiore per spingerlo a non illudersi più. Si ribadisce la forza dannosa della Natura nei confronti degli uomini, resi fragili dalle proprie illusioni e dall’amore. Per approfondire si veda la scheda A se stesso.

All’Italia – La poesia è ispirata a tematiche politiche e patriottiche: Leopardi paragona la grandezza dell’Italia nei tempi antichi con la sua condizione di sottomissione nel presente. Per approfondire si veda la scheda All’Italia.

Alla luna – Testo probabilmente risalente al 1819; in esso l’io poetico volge lo sguardo alla luna che rischiara il paesaggio notturno e ricorda che, un anno prima e con animo triste, aveva fatto lo stesso: pur provando ancora lo stesso dolore, però, il ricordo gli giunge dolce e lo rasserena. Per approfondire si veda la scheda Alla luna.

Il passero solitario -Questa poesia è di datazione incerta, scritta probabilmente intorno al 1829 e pubblicata per la prima volta nell’edizione dei Canti del 1835. L’ispirazione per la lirica arriva a Leopardi dalla vista di un passero sulla torre campanaria di Recanati: il poeta si identifica con questo uccello, che nel suo nome scientifico è definito “solitario”, e fa un paragone tra lui e sé. Per approfondire si veda la scheda Il passero solitario.

Il sabato del villaggio – È una delle poesie più famose di Leopardi, se non addirittura la più famosa. Buona parte del testo descrive una scena popolare: una fanciulla che torna dai campi, donne anziane, bambini che giocano, uomini che tornano a casa dopo una giornata di lavoro. Nei versi finali, però, questo quadretto campestre si trasforma in una riflessione sul piacere e sull’esistenza dell’uomo. Per approfondire si veda la scheda Il sabato del villaggio.

L’infinito – Il soggetto poetico si trova seduto di fronte a una siepe posta su un colle poco lontano dalla sua abitazione (Sempre caro mi fu quest’ermo colle): essa, impedendo la visuale del poeta, scatena un processo immaginativo che gli permette di riflettere sul concetto di infinito, partendo paradossalmente da situazioni “finite” e “limitate”. Per approfondire si veda la scheda L’infinito.

La ginestra – La ginestra è la penultima poesia composta da Giacomo Leopardi, nella primavera del 1836, pubblicata postuma nell’edizione dei Canti del 1845. È il testo più lungo della raccolta, di contenuto filosofico, e rappresenta un testamento morale del poeta. Per approfondire si veda la scheda La ginestra

La quiete dopo la tempesta – Dopo un temporale, torna il sereno. Questo quadro naturale fa da spunto alla riflessione del poeta sul piacere: l’unica gioia non illusoria concessa all’uomo è quella che deriva dalla cessazione di un grande dolore. Per approfondire si veda la scheda La quiete dopo la tempesta.

La sera del dì di festa – Questa poesia fa composta a Recanati probabilmente nel 1820 e pubblicata per la prima volta, con il titolo La sera del giorno festivo, sul periodico milanese Il Nuovo Ricoglitore nel 1825, insieme agli altri “idilli”. Per approfondire si veda la scheda La sera del dì di festa.

Ultimo canto di Saffo – Lirica autobiografica composta nel maggio del 1822; la protagonista di questa celebre canzone è Saffo, la poetessa greca vissuta tra il 630 a.C. e il 570 a.C. Per approfondire si veda la scheda Ultimo canto di Saffo.

 

Giacomo Leopardi – Biografia e opere

1798 – Nasce a Recanati

1809-1816 – Gli anni dello studio “matto e disperatissimo”

1816 – È l’anno della sua “conversione letteraria” (dallo studio alla poesia)

1817 – Inizia la corrispondenza epistolare con Pietro Giordani e inizia a scrivere lo Zibaldone e le prime canzoni civili

1819 – Tenta di fuggire da Recanati, ma il suo tentativo non va a buon fine

1819-1821 – I Piccoli idilli

1820-1823 – Le Canzoni

1822 – Parte per Roma e va ad abitare dagli zii materni

1823 – Torna a Recanati

1824-1832 – Operette morali

1825-1827 – Lavora a Milano per l’editore Stella; si sposta tra Bologna, Firenze e Pisa

1828-1830 – Torna a Recanati

1828-1830 – I Grandi idilli

1831-1834 – Ciclo di Aspasia

1832 – Sospende la scrittura dello Zibaldone di pensieri

1833 – Si trasferisce a Napoli insieme all’amico Antonio Ranieri

1834-1835 – Canzoni “sepolcrali”

1835-1837 – Ultimi canti

1837 – Muore a Napoli

Frasi famose di Giacomo Leopardi

La felicità consiste nell’ignoranza del vero.

Tutti gli uomini per necessità nascono e vivono infelici.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle.

Chi ha il coraggio di ridere è padrone del mondo.

Gli uomini sarebbero felici se non avessero cercato e non cercassero di esserlo.

Un buon libro è un compagno che ci fa passare dei momenti felici.

L’arte non può mai uguagliare la ricchezza della natura.

L’unico modo per non far conoscere agli altri i propri limiti, è di non oltrepassarli mai.

L’uomo è più facile e proclive a temere che a sperare.

Anche il dolore che nasce dalla noia e dal sentimento della vanità delle cose è più tollerabile assai che la stessa noia.

Chi più si ama meno può amare.

 

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