Lavandare è uno dei più noti componimenti poetici di Giovanni Pascoli. Fa parte della sezione L’ultima passeggiata, la sesta delle quindici di cui è composta la raccolta Myricae (di cui fa parte anche X agosto). Lavandare entrò a far parte della raccolta nell’edizione del 1894.
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Lavandare è uno dei più noti componimenti poetici di Giovanni Pascoli. Fa parte della sezione L’ultima passeggiata, la sesta delle quindici di cui è composta la raccolta Myricae.
Testo
- Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
- resta un aratro senza buoi, che pare
- dimenticato, tra il vapor leggero.
- E cadenzato dalla gora viene
- lo sciabordare delle lavandare 5
- con tonfi spessi e lunghe cantilene.
- Il vento soffia e nevica la frasca,
- e tu non torni ancora al tuo paese!
- Quando partisti, come son rimasta!
- Come l’aratro in mezzo alla maggese. 10
Lavandare – Parafrasi
- Nel campo arato per metà
- si trova un aratro senza buoi, che sembra
- abbandonato, in mezzo alla nebbia.
- E dal canale proviene, ritmato,
- il rumore dei panni sbattuti dalle lavandaie
- con colpi frequenti e lunghe cantilene:
- Il vento soffia e cadono le foglie dal ramo, come neve,
- e tu ancora non torni al tuo paese!
- Quando sei partito, come sono rimasta!
- Come l’aratro in mezzo al campo non seminato.
Lavandare – Analisi
In “Lavandare” il poeta si fa osservatore: nota la presenza di un aratro abbandonato in mezzo a un campo arato per metà (mezzo grigio e mezzo nero, v. 1), sente il rumore dei panni immersi e sbattuti nell’acqua del canale e le cantilene delle lavandaie mentre lavorano. L’ultima strofa riporta la cantilena recitata dalle lavandaie, che fa riferimento alla stagione autunnale e al sentimento di solitudine provato da una donna che pensa a quando l’amato ha lasciato il proprio paese.
L’aratro, nella prima strofa, è lo strumento di lavoro del contadino, lasciato in un campo senza che il lavoro di aratura fosse terminato, tanto che sembra essere stato dimenticato (al v. 3, con forte enjambement) e risulta inutile poiché privo dei buoi che lo trascinerebbero. Nel paesaggio descritto non ci sono esseri viventi, ma solo una nebbiolina leggera che indica la stagione autunnale.
L’aratro torna nella terza strofa, come termine di paragone nella cantilena delle lavandaie: qui assume un significato simbolico, perché non è più l’oggetto concreto, lo strumento di lavoro, ma è ciò attraverso cui il poeta rappresenta il senso di solitudine di una donna che pensa al suo amato partito, forse emigrato lontano. La donna ripensa alla propria desolazione, paragonandosi a un aratro lasciato in mezzo alla maggese, abbandonato e forse dimenticato.
La cantilena riportata dal poeta è ripresa da uno stornello marchigiano, una forma di canto popolare, come dimostrano le forme esclamative e l’invocazione dell’amato.
Lavandare – Figure retoriche
Varie sono le figure retoriche figure retoriche presenti in questo bel testo pascoliano.
I vv. 4-5 sono un classico esempio di iperbato (E cadenzato dalla gora viene / lo sciabordare della lavandare).
La figura dell’onomatopea, ricorrente nelle poesie di Pascoli, è presente nei vv. 5 (sciabordare) e 6 (tonfi).
Nel v. 6 è ravvisabile una sinestesia (tonfi spessi).
Bella la metafora del v. 7 (nevica la frasca), che indica la caduta delle foglie in autunno, leggere come fiocchi di neve.
La figura retorica del chiasmo compare sia nel v. 6 (con tonfi spessi e lunghe cantilene) che nel v. 7 (Il vento soffia e nevica la frasca).
I due versi di chiusura (9-10) sono un chiarissimo esempio di similitudine (Quando partisti, come son rimasta / Come l’aratro in mezzo alla maggese); si noti anche l’antitesi partisti/rimasta.
Due sono gli enjambement (vv. 2-3, 4-5) e numerose le allitterazioni, in particolare della r: resta, aratro, pare; sciabordare, lavandare; torni, ancora; partisti, rimasta.
Giovanni Pascoli è unanimemente considerato uno dei protagonisti del rinnovamento della lirica italiana che avviene tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
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