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La ginestra (Leopardi)

La ginestra è la penultima poesia composta da Giacomo Leopardi, nella primavera del 1836, pubblicata postuma nell’edizione dei Canti del 1845. È il testo più lungo della raccolta, di contenuto filosofico, e rappresenta un testamento morale del poeta. L’ispirazione per questa poesia è la ginestra che cresce sulle pendici del Vesuvio, paesaggio che Leopardi conosce bene perché trascorre l’ultima fase della sua vita a Torre del Greco, presso Napoli. Il titolo della poesia è La ginestra o Il fiore del deserto, perché questo fiore cresce bene nei terreni aridi e desertici.

In questa pagina…

  • Riassunto
  • Analisi
  • Figure retoriche
La ginestra

La ginestra è ispirata al paesaggio delle pendici del Vesuvio

La ginestra – Riassunto

Nella prima strofa della poesia compare la protagonista, la ginestra, con l’ambiente in cui vive, le pendici del Vesuvio: una terra arida e spoglia di qualsiasi altra pianta. Il poeta ricorda che un tempo su quella terra si trovavano città gloriose (per esempio Pompei) che il vulcano ha distrutto. Questo gli offre lo spunto per polemizzare con chi esalta l’uomo e la sua condizione (A queste piagge/venga colui che d’esaltar con lode/il nostro stato ha in uso): in quell’ambiente desolato e devastato è la dimostrazione che l’esistenza umana non vale niente e la natura non si cura dell’uomo, non si fa problemi a spazzare via in un istante lui e le sue creazioni.

La seconda strofa continua il rimprovero: il secolo Ottocento vede dominare una cultura che ha abbandonato i principi del Rinascimento e dell’Illuminismo e ha fatto quindi dei passi indietro anziché avanti nello sviluppo del pensiero. Alla ragione ha preferito i dogmi e le illusioni. Nonostante ciò, gli uomini del presente credono di vivere nel progresso. Leopardi vuole prenderne le distanze, sapendo di essere disprezzato da tutto il mondo intellettuale per le sue idee controcorrente.

Nella terza strofa Leopardi continua a descrivere l’uomo del suo tempo. Lo accusa di viltà perché incapace di ammettere la propria debolezza e insignificanza di fronte alla natura: al contrario non fa che dirsi orgoglioso della grandezza umana, nutre se stesso e gli altri uomini di illusioni.  Nobile è invece l’uomo che è consapevole della propria condizione misera ma la vive a testa alta; inoltre, invece di dare la colpa ad altri uomini per le sue sofferenze riconosce che l’unica responsabile è la Natura stessa. Per questo l’unica via per vivere degnamente per gli uomini è allearsi con gli altri uomini contro la comune nemica Natura, anziché farsi la guerra tra loro (tutti fra sé confederati estima/gli uomini).

Nella quarta strofa il poeta descrive l’infinità dell’universo che gli si apre davanti quando di notte guarda l’immenso cielo stellato: rispetto alle stelle e alle galassie la Terra e l’uomo non sono niente, eppure gli uomini si credono tanto importanti da essere il centro e lo scopo del mondo. Leopardi deride i suoi contemporanei che credono che la Terra sia stata creata per loro, ma prova anche pietà.

La forza distruttrice della natura nei confronti degli uomini è al centro della quinta strofa: Leopardi la paragona a una mela che cadendo dall’albero distrugge un formicaio.

La dimostrazione dell’indifferente capacità distruttiva della natura continua nella sesta strofa: l’eruzione del Vesuvio del 70 d.C. è la prova del fatto che in un attimo la natura senza neanche accorgersene può spazzare via tutto quello che l’uomo ha costruito con fatica. Pompei rimane a testimoniare questo fatto.

Nell’ultima strofa Leopardi torna a rivolgersi alla ginestra: anche lei è destinata prima o poi a soccombere alla devastazione del vulcano, ma è più saggia degli uomini perché non ha mai creduto di essere immortale. Né ha mai supplicato il suo oppressore. La ginestra accetta il proprio destino.

A questo link il testo completo dell’opera.

La ginestra

I fiori della ginestra

Analisi

La ginestra è una canzone in versi endecasillabi e settenari divisa in sette strofe di lunghezza irregolare. Lo stile è molto elevato, ricco di figure retoriche e latinismi, con frasi molto lunghe e articolate. Il tono passa dal sarcasmo all’amarezza, all’orgoglio, al disprezzo.

I temi sono quelli che Leopardi ha già affrontato più volte nei suoi scritti: la superbia e la stoltezza degli uomini del suo tempo, la cecità di chi abbandona la ragione in favore dell’illusione, la miseria della condizione umana, la forza distruttrice della natura e l’impotenza dell’uomo di fronte a essa. In questo scenario l’unica strada, secondo il poeta, è data dall’umiltà e dalla solidarietà fra gli uomini.

L’Ottocento viene definito secol superbo e sciocco perché ha rifiutato il razionalismo a favore della fede religiosa oppure della credenza nel progresso umano (le magnifiche sorti e progressive è una citazione di un testo di Terenzio Mamiani, patriota risorgimentale e cugino dello scrittore). Leopardi è orgoglioso di opporsi a questa tendenza in voga tra gli intellettuali e porta a sostegno della propria tesi diverse immagini che sottolineano la piccolezza e la fragilità dell’uomo (Pompei, il deserto intorno al Vesuvio, il formicaio, il cielo stellato). La Natura, invece, è simboleggiata dal Vesuvio: distrugge indifferente alle sorti degli uomini che travolge, non è “madre” ma “matrigna”, crudele senza neppure rendersi conto di esserlo. Per questo l’uomo è destinato all’infelicità, da sempre e per sempre: in questo nessun progresso storico è possibile.

Alla luce di questa dimostrazione, il poeta sceglie la ginestra come simbolo di quello che ritiene l’unico atteggiamento dignitoso possibile per l’uomo: il vero eroismo è la resistenza umile della ginestra, che sparge il suo profumo e dona bellezza finché può, poi soccombe senza illudersi.

Figure retoriche

Per due volte, nella poesia, Leopardi si rivolge direttamente alla ginestra con un’apostrofe (v. 6 e v. 297). Nella complessa struttura sintattica si ritrovano molte anastrofi: per esempio, v. 5 (tuoi cespi solitari intorno spargi), vv. 14-15 (di tristi/lochi e dal mondo abbandonati amante), v. 36 (di dolcissimo odor mandi un profumo), vv. 91-93 (di splendida vita o di valente/persona infra la gente/non fa risibil mostra).

Similmente stravolge la struttura di alcune frasi l’iperbato: per esempio vv. 11-13 (del perduto impero/par che col grave e taciturno aspetto/faccian fede e ricordo al passeggero.), vv. 41-43 (la possanza/qui con giusta misura/anco estimar potrá dell’uman seme), vv. 49-51 (dipinte in queste rive/son dell’umana gente/«Le magnifiche sorti e progressive»), vv. 54-56 (che il calle insino allora / dal risorto pensier segnato innanti / abbandonasti), vv. 65-66 (il disprezzo piuttosto che si serra/di te nel petto mio).

Un chiasmo si trova al v. 125 (Madre è di parto e di voler matrigna), mentre a partire dal v. 222 si apre una lunga similitudine (Come d’arbor cadendo un picciol pomo, […]/così d’alto piombando,[…]) che esprime uno dei concetti chiave della poesia. Altre due similitudini più brevi sono quella fra Pompei e uno scheletro al v. 271 e quella fra la lava e una fiaccola al v. 284. Dal verso 24 al 29 si vede l’anafora di “fur” che sottolinea come la grandezza passata sia ormai scomparsa.

 

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