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La cavalla storna

La cavalla storna (nota popolarmente come La cavallina storna) è una poesia di Giovanni Pascoli che fa parte dei Canti di Castelvecchio. Il poeta rievoca l’assassinio, rimasto impunito, del padre Ruggero Pascoli, avvenuto il 10 agosto 1867 (vedasi anche la poesia X agosto). Il padre, quel giorno, fu ucciso sulla strada di casa, mentre il suo calesse era trainato dalla cavalla storna (così detta per il suo manto bianco e grigio, simile al piumaggio dello storno). Di fatto, la cavalla è stata l’unica testimone del delitto e il poeta immagina un dialogo tra essa e la madre, che ricorda il marito e, alla fine, chiede all’animale di confermare il nome di un sospettato: la cavalla «sonò alto un nitrito», come a confermarlo.

Tra i temi, oltre a quello della morte e della mancata giustizia terrena, Pascoli affronta anche quello del dolore umano, di cui la natura si fa partecipe.

Il testo è costituito da 31 distici di endecasillabi in rima baciata (AA BB CC…).

Testo

Nella Torre il silenzio era già alto.

Sussurravano i pioppi del Rio Salto. 2

I cavalli normanni alle lor poste

frangean la biada con rumor di croste. 4

Là in fondo la cavalla era, selvaggia,

nata tra i pini su la salsa spiaggia; 6

che nelle froge avea del mar gli spruzzi

ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. 8

Con su la greppia un gomito, da essa

era mia madre; e le dicea sommessa: 10

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna; 12

tu capivi il suo cenno ed il suo detto!

Egli ha lasciato un figlio giovinetto; 14

il primo d’otto tra miei figli e figlie;

e la sua mano non toccò mai briglie. 16

Tu che ti senti ai fianchi l’uragano,

tu dai retta alla sua piccola mano. 18

Tu c’hai nel cuore la marina brulla,

tu dai retta alla sua voce fanciulla». 20

La cavalla volgea la scarna testa

verso mia madre, che dicea più mesta: 22

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna; 24

lo so, lo so, che tu l’amavi forte!

Con lui c’eri tu sola e la sua morte 26

O nata in selve tra l’ondate e il vento,

tu tenesti nel cuore il tuo spavento; 28

sentendo lasso nella bocca il morso,

nel cuor veloce tu premesti il corso: 30

adagio seguitasti la tua via,

perché facesse in pace l’agonia…». 32

La scarna lunga testa era daccanto

al dolce viso di mia madre in pianto. 34

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non ritorna; 36

oh! due parole egli dové pur dire!

E tu capisci, ma non sai ridire. 38

Tu con le briglie sciolte tra le zampe,

con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, 40

con negli orecchi l’eco degli scoppi,

seguitasti la via tra gli alti pioppi: 42

lo riportavi tra il morir del sole,

perché udissimo noi le sue parole». 44

Stava attenta la lunga testa fiera.

Mia madre l’abbracciò su la criniera. 46

«O cavallina, cavallina storna,

portavi a casa sua chi non ritorna! 48

a me, chi non ritornerà più mai!

Tu fosti buona… Ma parlar non sai! 50

Tu non sai, poverina; altri non osa.

Oh! ma tu devi dirmi una una cosa! 52

Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise:

esso t’è qui nelle pupille fise. 54

Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome.

E tu fa cenno. Dio t’insegni, come». 56

Ora, i cavalli non frangean la biada:

dormian sognando il bianco della strada. 58

La paglia non battean con l’unghie vuote:

dormian sognando il rullo delle ruote. 60

Mia madre alzò nel gran silenzio un dito:

disse un nome . . . Sonò alto un nitrito. 62

La cavalla storna – Parafrasi

 

Nella Torre [della tenuta Torlonia di San Mauro] faceva già silenzio.

I pioppi del Rio Salto [torrente vicino alla tenuta] si muovevano per il vento.

I cavalli normanni erano nelle loro poste,

masticavano la biada facendo rumore con i pezzi.

Là in fondo c’era la cavalla, selvaggia,

nata fra i pini sulla spiaggia salata [del lido ravennate];

che nelle narici aveva ancora gli spruzzi

dell’acqua e nelle orecchie le urla del mare.

Mia madre aveva appoggiato il gomito sulla mangiatoia

e le diceva a bassa voce:

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non può più tornare;

tu capivi i suoi gesti e le sue parole;

Egli ha lasciato un figlio piccolo [Giacomo];

il primo di otto tra figli e figlie,

che non è mai andato a cavallo.

Tu che senti ancora ai fianchi [dentro di te] le tempeste marine,

sii obbediente alla sua piccola mano.

Tu che hai nel cuore la spiaggia deserta

sii obbediente alla sua voce bambina».

La cavalla volse la sua testa magra

verso mia madre, che diceva sempre più a bassa voce:

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non può più tornare;

lo so, lo so, che lo amavi veramente!

Con lui nell’istante della sua morte c’eri solo tu.

Tu che sei nata tra i boschi, le onde e il vento,

hai nascosto nel cuore il tuo spavento;

sentendo che il morso era stato allentato,

hai frenato nel cuore l’istinto di fuggire;

con calma hai proseguito il tuo percorso

affinché potesse morire in pace…»

La magra e lunga testa era accanto

al dolce viso di mia madre che piangeva.

«O cavallina, cavallina storna,

che portavi colui che non può più tornare;

oh! due cose egli avrà pur detto!

E tu le hai capite, ma non le puoi ripetere.

Tu con le briglie abbandonate tra le zampe

e negli occhi il bagliore dello sparo,

con nelle orecchie l’eco dei colpi,

proseguivi il tuo percorso tra gli alti pioppi:

lo riportavi a casa per il tramonto

perché fossimo noi a sentire ciò che aveva da dire»

Stava ferma con la testa alzata.

Mia madre le abbracciò la criniera:

«O cavallina, cavallina storna,

che hai riportato a casa sua colui che non può più tornare!

A me, colui che mai più tornerà!

Tu sei stata buona… ma non sai parlare!

Tu non lo sai fare, poverina; altri che sanno non osano parlare.

Oh! ma tu devi dirmi una cosa soltanto!

Tu hai visto l’uomo che l’ha ucciso:

lui è ancora fisso nelle tue pupille.

Chi è stato? Chi è? Ti dico un nome.

E tu fammi un cenno. Dio t’insegni a farlo».

Ora i cavalli non mangiavano la biada:

dormivano sognando la strada fatta.

Non calpestavano la paglia con gli zoccoli:

dormivano sognando il rumore delle ruote.

Mia madre alzò nel silenzio un dito:

disse un nome… Risuonò un forte nitrito.

Nota – Spesso, il verso 3, “I cavalli normanni alle lor poste”, è parafrasato con “I cavalli normanni stavano ai loro posti”. In realtà, si tratta di una parafrasi non corretta; il termine posta (o stallo), nell’ambito dell’equitazione o dell’agricoltura, indica una parte della scuderia nella quale il cavallo staziona, un box che può essere o no chiuso.

la cavalla storna - testo - analisi - parafrasi - figure retoriche

La cavalla storna (nota popolarmente come La cavallina storna) è una poesia di Giovanni Pascoli che fa parte dei Canti di Castelvecchio

La cavalla storna – Analisi

Anche in La cavalla storna torna il tema della morte: quella del padre segna profondamente la famiglia Pascoli e l’idea del delitto rimasto impunito – sebbene i familiari avessero precisi sospetti – contrassegnerà ossessivamente la vita del poeta, rafforzando la concezione del “nido” chiuso a tutto ciò che è esterno al nucleo familiare pur nella sua provvisorietà.

La «cavalla storna» è quella posseduta da Ruggero Pascoli e con la quale la madre del poeta tenta un dialogo, rievocando il rapporto di fedeltà tra l’animale – che assume caratteristiche vicine all’umano – e il marito, tanto che il giorno dell’omicidio la cavalla torna a casa trainando il corpo morto del padre affinché, come dice la donna, «udissimo noi le sue parole» (v. 44), sottolineando la partecipazione dell’animale a quell’atroce dolore.

La cavalla è stata l’unica testimone del delitto ed è per questo che la madre di Pascoli le si rivolge, immaginando che possa confermare, in qualche modo, i sospetti che la famiglia aveva sulle responsabilità del delitto: questo avviene nel finale della poesia, quando la donna suggerisce un nome e la cavalla nitrisce.

La cavalla storna - testo - analisi - parafrasi - figure retoriche

Giovanni Pascoli è unanimemente considerato uno dei protagonisti del rinnovamento della lirica italiana che avviene tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

Figure retoriche

Per quanto riguarda le figure retoriche si nota la forte allitterazione della /r/ al v. 4 «frangean la biada con rumor di croste», quasi a voler riprodurre il ruminare degli animali e l’iperbato al v. 7 «avea del mar gli spruzzi» per necessità di rima con «aguzzi» del v. 8.

L’invocazione della madre all’animale «O cavallina, cavallina storna / che portavi colui che non ritorna» si ripete per tre volte (figura retorica dell’anafora) ai vv. 11-12, 23-24, 47-48 (alla terza varia in «O cavallina, cavallina storna / portavi a casa sua chi non ritorna») e rende la poesia quasi una filastrocca, pur mantenendosi la drammaticità degli eventi narrati. Questo contrasto si ritrova anche nel rapporto uomo-natura che emerge dal testo. Se la cavalla in dialogo con la madre viene umanizzata e se ne sottolinea la spinta empatica, alla fine del testo si ha una rottura di questo equilibrio: i cavalli hanno finito di mangiare e dormono, è come se rimanessero distanti da quello che invece, per la famiglia Pascoli, rimarrà un dolore profondo e mai del tutto superato.

Oltre a quella citata in precedenza sono presenti altre anafore (che, vv. 7, 12, 24, 36; con, 9, 26, 40, 41; tu, vv. 13, 17, 18, 19, 20, 28, 39, 50, 51, 53).

Sono presenti alcuni enjambement (3-4, 7-8, 9-10, 21-22, 33-34).

La cavalla storna – Lettura di Paolo Rossini

 

Manuale di cultura generale – Letteratura italiana – La cavalla storna– Continua

 

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