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Io voglio del ver la mia donna laudare

Io voglio del ver la mia donna laudare è l’incipit di uno dei più noti sonetti di Guido Guinizelli, nel quale sono introdotti i temi della lode della bellezza della donna e del saluto salvifico. Il sonetto è costituito da due quartine in rima alternata (ABAB – ABAB) e due terzine in rima replicata (CDE – CDE). Ai vv. 6 e 8 si segnala una rima siciliana vermiglio / meglio.

In questa pagina…

  • Testo
  • Parafrasi
  • Analisi
  • Figure retoriche
io voglio del ver la mia donna laudare

Guido Guinizelli è considerato da molti il precursore del Dolce Stil Novo.

Testo

  • Io vogliọ del ver la mia donna laudare
  • ed asembrarli la rosa e lo giglio:
  • più che stella dïana splende e pare,
  • e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio. 4
  • Verde river’ a lei rasembro e l’âre,
  • tutti color di fior’, giano e vermiglio,
  • oro ed azzurro e ricche gioi per dare:
  • medesmo Amor per lei rafina meglio. 8
  • Passa per via adorna, e sì gentile
  • ch’abassa orgoglio a cui dona salute,
  • e fa ‘l de nostra fé se non la crede; 11
  • e no·lle pò apressare om che sia vile;
  • ancor ve dirò c’ha maggior vertute:
  • null’ om pò mal pensar fin che la vede. 14

Io voglio del ver la mia donna laudare – Parafrasi

  • Io voglio lodare la mia donna in modo veritiero
  • E paragonarle la rosa e il giglio:
  • appare splendente più della stella del mattino (Venere),
  • e io paragono a lei ciò che lassù è bello.
  • A lei paragono la verde campagna e l’aria,
  • tutti i colori dei fiori, il giallo e il rosso,
  • l’oro e il lapislazzulo e i ricchi gioielli che si possono donare:
  • perfino Amore si perfeziona grazie a lei.
  • Passa nella via ornata, e così nobile
  • che rende umili colui a cui rivolge il saluto
  • e lo converte alla nostra fede se non è credente;
  • e non le si può avvicinare alcun uomo che sia indegno.
  • Vi dirò che ha un potere maggiore:
  • nessun uomo può nutrire pensieri malvagi dal momento in cui la vede.

Io voglio del ver la mia donna laudare – Analisi

Nell’incipit il poeta dichiara di voler lodare la sua donna, e lo fa evocandola attraverso una serie di paragoni con alcuni elementi naturali (fiori, astri, paesaggi, aria, colori, pietre preziose). Il modello letterario cui fa riferimento Guinizzelli è il plazer provenzale, che era un elenco di piaceri e desideri.

La donna da lui amata è espressione della bellezza e il verso 8 rivela come essa sia addirittura capace di rendere più nobile l’Amore, qui personificato.

Il sonetto può essere diviso in due parti: nella prima (le due quartine) si loda la bellezza (fisica) della donna, nella seconda (le due terzine) le sue capacità e virtù morali. Il verso 9 è quello in cui la donna viene lodata interamente, sia nell’aspetto fisico («adorna») che in quello morale («gentile»). Nella seconda parte, il poeta non rivela esplicitamente le azioni della donna, ma quali sono i loro effetti su chi le sta intorno: colui che riceve il suo saluto, è reso umile; chi non crede, si avvicina alla fede cristiana; allontana coloro che possiedono un animo ignobile e vile; spegne i pensieri malvagi in coloro che la osservano.

Di conseguenza, grazie alla presenza della donna, gli animi nobili possono perfezionare la loro moralità (umiltà, buoni pensieri) e la loro etica religiosa (la conversione alla cristianità).

Grande tema guinizzelliano presente in questo sonetto è quello del saluto («salute», verso 10), che deriva dal latino salus, che aveva duplice significato: salutare e salvezza. Dunque il gesto del saluto compiuto dalla donna porta salvezza poiché innalza la propria moralità («abassa orgoglio», verso 10) ed è in grado di avvicinare a Dio («fa ‘l de nostra fé se non la crede», verso 11), poiché la bellezza e la virtù della donna sono segni sulla terra della presenza divina.

Io voglio del ver la mia donna laudare – Figure retoriche

Nel sonetto di Guinizelli sono presenti varie figure retoriche.

Il v. 1 è un esempio di iperbato (Io vogliọ del ver la mia donna laudare).

Ricorrente è il ricorso alla figura della similitudine (v. 2, asembrarli la rosa e lo giglio; v. 3, più che stella dïana splende e pare; v. 4, e ciò ch’è lassù bello a lei somiglio; vv. 5-7, Verde river’ a lei rasembro e l’âre, / tutti color di fior’, giano e vermiglio, / oro ed azzurro e ricche gioi per dare).

Sono presenti alcune anastrofi (v. 1, la mia donna laudare; v. 3, più che stella dïana splende e pare; v. 5, Verde river’ a lei rasembro; v. 13, maggior vertute).

Il v. 5 è un esempio di epifrasi (Verde river’ a lei rasembro e l’are); l’epifrasi è una figura retorica che consiste nel separare due o più elementi fra loro coordinati spostandone uno al termine dell’enunciato.

Al v. 7 è presente una metonimia (azzurro sta per lapislazzuli).

Al v. 8 è presente la figura retorica della personificazione (medesmo Amor per lei rafina meglio).

Ai vv. 9-10 è presente un enjambement (e sì gentile / ch’abassa).

Da notare anche il climax dei vv. 10-11, 14 (ch’abassa orgoglio a cui dona salute, / e fa ‘l de nostra fé se non la crede / null’ om pò mal pensar fin che la vede).

Sono presenti allitterazioni (lettera v: v. 1, voglio – ver; lettera l: voglio del ver la mia donna laudare / ed asembrarli la rosa e lo giglio; della r: v. 5, Verde river’ a lei rasembro e l’âre).

 

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