In memoria è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e fu pubblicato per la prima volta nel 1915, sulla rivista Lacerba, per poi essere posto in apertura a Il porto sepolto (1916); è dedicato all’amico e letterato libanese Moammed Sceab, con il quale il poeta partì da Alessandria d’Egitto per raggiungere Parigi. Entrambi vissero la condizione di emigranti in terra straniera, ma Sceab non riuscirà mai del tutto a superare la distanza dalle proprie origini né a interiorizzare la nuova cultura; questo lo portò a una crisi che non gli avrebbe lasciato scampo: nel 1913 decise di suicidarsi.
Originariamente il titolo faceva parte del testo («In memoria / di / Moammed Sceab») e la poesia si concludeva con tre versi («Saprò / fino al mio turno / di morire»), poi eliminati nelle successive stesure. La poesia fa oggi parte della terza sezione, Il porto sepolto, della raccolta L’Allegria. Si tratta di versi liberi privi di punteggiatura in strofe di lunghezza variabile. In apertura di poesia è posta un’indicazione di luogo e tempo: «Locvizza il 30 settembre 1916»: si tratta di una località che all’epoca si trovava sul fronte di guerra, al confine italo-sloveno, sull’altopiano del Carso; la data fa riferimento al tempo di stesura del testo, ma in realtà fu composta molto prima, come dimostra la pubblicazione su Lacerba.
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Giuseppe Ungaretti
Testo
Di seguito il testo di In memoria.
Locvizza il 30 settembre 1916
- Si chiamava
- Moammed Sceab
- Discendente
- di emiri di nomadi
- suicida 5
- perché non aveva più
- Patria
- Amò la Francia
- e mutò nome
- Fu Marcel 10
- ma non era Francese
- e non sapeva più
- vivere
- nella tenda dei suoi
- dove si ascolta la cantilena 15
- del Corano
- gustando un caffè
- E non sapeva
- sciogliere
- il canto 20
- del suo abbandono
- L’ho accompagnato
- insieme alla padrona dell’albergo
- dove abitavamo
- a Parigi 25
- dal numero 5 della rue des Carmes
- appassito vicolo in discesa.
- Riposa
- nel camposanto d’Ivry
- sobborgo che pare 30
- sempre
- in una giornata
- di una
- decomposta fiera
- E forse io solo 35
- so ancora
- che visse
In memoria è un componimento poetico di Giuseppe Ungaretti e fu pubblicato per la prima volta nel 1915, sulla rivista Lacerba, per poi essere posto in apertura a Il porto sepolto (1916); è dedicato all’amico e letterato libanese Moammed Sceab.
In memoria (Ungaretti) – Analisi
Il titolo (In memoria) fa riferimento alla formula tipica delle sepolture: sta a significa “per ricordare”. L’imperfetto del v. 1 fa riferimento sia alla dipartita di Sceab sia al fatto che l’uomo, una volta raggiunta la Francia, decise di cambiare il proprio nome in Marcel (v. 10). Ungaretti spiega questa scelta con l’amore per il nuovo Paese, ma questo non bastò.
Ai vv. 5-7 Ungaretti spiega il gesto del suicidio (il termine «suicida» è posto isolato dal resto al v. 5, per dargli ancora più rilevanza): «non aveva più / Patria». Sceab aveva abbandonato il paese d’origine, ma non riuscì mai ad adeguarsi alla cultura e alla società francesi: «non era Francese / e non sapeva più / vivere / nella tenda dei suoi» (vv. 11-14). Si sentiva un esule privo di identità e non sapeva spiegarlo con la poesia («non sapeva / sciogliere / il canto / del suo abbandono», vv. 18-21). Nonostante la similarità tra le esperienze Ungaretti riuscì, a differenza dell’amico, a vedere nella poesia un appiglio contro lo smarrimento e il dolore.
Nei versi successivi, Ungaretti ricorda il corteo funebre dalla loro abitazione, in un «appassito vicolo» del Quartiere Latino («L’ho accompagnato / insieme alla padrona dell’albergo / dove abitavamo», vv. 21-22), verso il «camposanto d’Ivry» (v. 29), nella zona sud di Parigi, che al poeta ricorda una «decomposta fiera» (v. 34), una sorta di festa paesana che volge al termine e che vede la folla defilarsi in maniera disordinata. I versi finali rivelano la desolazione del poeta: forse lui è l’unico depositario della vicenda dell’amico e questa lirica si propone in qualche modo di evitargli l’oblio, ricordando la sua identità e la sua storia. La poesia diventa quindi quello strumento attraverso cui si può offrire consolazione e garantire il ricordo di ciò che è stato.
I versi brevi, costituiti anche da una sola parola, danno alla poesia un ritmo lento e frantumato. Si parla di morte, ma non traspare disperazione: il racconto della vita di Moammed Sceab avviene attraverso una serie di negazioni («non aveva più / Patria», «non era Francese», «non sapeva più / vivere», «non sapeva sciogliere / il canto / del suo abbandono») e la rievocazione assume la forma di una marcia funebre non fisica.
In memoria (Ungaretti) – Figure retoriche
Per quanto riguarda le figure retoriche si possono segnalare i numerosi enjambement (vv. 1-2, 3-4, 5-6, 6-7, 12-13, 13-14, 15-16, 16-17, 18-19, 19-20, 20-21, 22-23, 23-24, 24-25, 28-29, 30-31, 31-32, 32-33, 33-34, 35-36, 36-37), l’anafora (e: vv. 9, 12, 18, 35). Sono presenti alcune metafore (v. 14, nella tenda dei suoi; vv. 19-20, sciogliere / il canto del suo abbandono), vv. 2 (l’ho accompagnato), v. 27 (appassito vicolo), v. 34 (decomposta fiera); quest’ultimo verso è anche un esempio di anastrofe. Ai vv. 30-34 è presente una similitudine (sobborgo che pare / sempre / in una giornata / di una / decomposta fiera). Il v. 28 è un eufemismo (Riposa sta per è sepolto). Nei vv. 35-37 si nota l’allitterazione della lettera s: E forse io solo / so ancora / che visse.
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