La raccolta Ossi di seppia (1925), di Eugenio Montale, è aperta da una sezione, In limine, che in latino significa “sulla soglia”, contenente un testo che ha per incipit il verso «Godi se il vento ch’entra nel pomario» e che fu probabilmente composto nel 1924. Il titolo suggerisce la funzione introduttiva del componimento, posto “alle soglie” della raccolta e caratterizzato dall’uso del corsivo, ma anche il tema, ricorrente nell’opera montaliana, della “soglia”, del confine tra la condizione di prigionia esistenziale e la libertà. Il poeta si rivolge a un “tu” indeterminato – forse l’attrice peruviana Paola Nicoli o Anna Degli Uberti, conosciuta in gioventù da Montale e ricorrente in altre poesie come Annetta/Arletta – invitandolo a godere di un «vento» che è segno di una forza che irrompe all’improvviso e che può spezzare gli equilibri, a cercare di uscire dalla «rete» di un’esistenza che rende prigionieri. Si tratta di quattro strofe di lunghezza differente (la prima e la terza di cinque versi, la seconda e la quarta di quattro) e in versi prevalentemente endecasillabi.
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La raccolta Ossi di seppia (1925), di Eugenio Montale, è aperta da una sezione, In limine, che in latino significa “sulla soglia”, contenente un testo che ha per incipit il verso «Godi se il vento ch’entra nel pomario»
Testo
- Godi se il vento ch’entra nel pomario
- vi rimena l’ondata della vita:
- qui dove affonda un morto
- viluppo di memorie,
- orto non era, ma reliquario. 5
- Il frullo che tu senti non è un volo,
- ma il commuoversi dell’eterno grembo;
- vedi che si trasforma questo lembo
- di terra solitario in un crogiuolo. 9
- Un rovello è di qua dall’erto muro.
- Se procedi t’imbatti
- tu forse nel fantasma che ti salva:
- si compongono qui le storie, gli atti
- scancellati pel giuoco del futuro. 14
- Cerca una maglia rotta nella rete
- che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
- Va, per te l’ho pregato, – ora la sete
- mi sarà lieve, meno acre la ruggine… 18
In limine – Parafrasi
- Sii felice del vento che entra nel frutteto
- e che riporta in questo luogo un’ondata di vitalità,
- qui dove ristagna un groviglio
- di ricordi non più vivi,
- che non era più fertile come un orto, ma somigliava a un reliquiario.
- Il rumore di ali sbattute che senti non è solo quello di un uccello in volo,
- ma la vitalità della natura;
- osserva come questo piccolo angolo
- solitario si trasforma in un grembo vitale.
- Al di qua del muro ripido c’è tormento.
- Se procedi ti imbatti
- in un’apparizione miracolosa che può salvarti:
- qui si dà senso agli eventi
- che si annullano per far posto al futuro.
- Cerca una maglia rotta nella rete dell’esistenza
- che ci imprigiona, escine fuori, fuggi!
- Vai, io l’ho desiderato per te – ora la sete
- non sarà un peso, le difficoltà dell’esistenza meno dure…
In limine – Analisi
Il poeta si rivolge a un interlocutore indeterminato – anche se molto probabilmente si tratta dell’attrice peruviana Paola Nicoli o di Anna Degli Uberti, conosciuta in gioventù da Montale e ricorrente in altre poesie come Annetta/Arletta – con l’imperativo («Godi», v. 1), che può essere anche interpretato come indicativo presente, a vivere pienamente «il vento ch’entra nel pomario»: esso rappresenta l’irruzione improvvisa di una vitalità in un luogo – l’esistenza – chiuso in sé stesso, che «orto non era, ma reliquario» (v. 5) di «memorie» (v. 4) ormai morte.
In quel «lembo / di terra» (vv. 8-9) è percebile («tu senti», v. 6) il movimento vitale della natura, che lo trasforma in un «crogiuolo» (v. 9), un luogo di rinnovamento. Il “crogiolo”, letteralmente, è il recipiente in cui si fondono i metalli; qui metaforicamente indica appunto il rimescolio di vite ed esperienze.
L’«erto muro» del v. 10 è il confine insuperabile che separa l’io lirico – prigioniero di un’esistenza che è tormento («rovello») – e il “tu” che, invitato a procedere (non è chiaro se all’interno del pomario o al di fuori di esso), può imbattersi in un salvifico «fantasma», un’apparizione misteriosa e miracolosa che, come il vento dell’incipit, può rappresentare una via di fuga dalla prigionia esistenziale e una possibilità diversa di vita.
I versi finali della terza strofa sembrano suggerire che la salvezza è quella degli eventi che il presente, mutanto continuamente, cancella dalla memoria per dar luogo al futuro. La «maglia rotta nella rete» che l’interlocutore del poeta invita a cercare è paragonabile allo «sbaglio di Natura», al «punto morto del mondo», a «l’anello che non tiene», al «filo da disbrogliare» che, nella poesia successiva I limoni, sono immagini di “errori”, “rotture”, “meccanismi inceppati” che sembrano offrire il segreto ultimo delle cose e dell’esistenza. Si tratta di “epifanie”, attraverso le quali oggetti o fatti si caricano di significati profondi.
Se il “tu” a cui il poeta si rivolge riuscirà a fuggire, egli, pur rimanendo prigioniero, sarà sollevato («la sete / mi sarà lieve», vv. 17-18) e l’insofferenza di vivere un’esistenza tormentata risulterà alleggerita («meno acre la ruggine…», v. 18).
In limine – Figure retoriche
Nel testo di Ungaretti sono presenti alcune figure retoriche; varie sono le metafore (v. 7, il commuoversi dell’eterno grembo; v. 9, crogiuolo; v. 10, un rovello è di qua dall’erto muro; v. 12, nel fantasma che ti salva; v. 15, una maglia rotta; v. 18, meno acre la ruggine). Orto non era (v. 5) è un’anastrofe. Al v. 5 è individuabile una similitudine sottintesa (ma [somigliava a un] reliquiario). Numerosi sono gli enjambement (vv. 1-2, 3-4, 8-9, 11-12, 13-14, 15-16, 17-18).
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