Il passero solitario è una poesia di Leopardi di datazione incerta, scritta probabilmente intorno al 1829 e pubblicata per la prima volta nell’edizione dei Canti del 1835. Nella raccolta, però, questo componimento è collocato prima degli Idilli, cronologicamente antecedenti, e questo ha alimentato i dubbi sulla datazione: l’ipotesi più diffusa è che Leopardi abbia pensato la poesia in anni giovanili e poi l’abbia scritta effettivamente più tardi.
L’ispirazione per Il passero solitario arriva a Leopardi dalla vista di un passero sulla torre campanaria di Recanati: il poeta si identifica con questo uccello, che nel suo nome scientifico è definito “solitario”, e fa un paragone tra lui e sé.
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La piazza di Recanati con la torre di Sant’Agostino con cui si apre la poesia Il passero solitario
Testo
Il passero solitario è una canzone libera in endecasillabi e settenari, di tre stanze (strofe), a rima libera.
- D’in su la vetta della torre antica,
- passero solitario, alla campagna
- cantando vai finché non more il giorno;
- ed erra l’armonia per questa valle. 5
- Primavera d’intorno
- brilla nell’aria, e per li campi esulta,
- sí ch’a mirarla intenerisce il core.
- Odi greggi belar, muggire armenti;
- gli altri augelli contenti, a gara insieme 10
- per lo libero ciel fan mille giri,
- pur festeggiando il lor tempo migliore:
- tu pensoso in disparte il tutto miri;
- non compagni, non voli,
- non ti cal d’allegria, schivi gli spassi; 15
- canti, e cosí trapassi
- dell’anno e di tua vita il più bel fiore.
- Oimè, quanto somiglia
- al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
- della novella età dolce famiglia, 20
- e te, german di giovinezza, amore,
- sospiro acerbo de’ provetti giorni,
- non curo, io non so come; anzi da loro
- quasi fuggo lontano;
- quasi romito, e strano 25
- al mio loco natio,
- passo del viver mio la primavera.
- Questo giorno, ch’omai cede alla sera,
- festeggiar si costuma al nostro borgo.
- Odi per lo sereno un suon di squilla, 30
- odi spesso un tonar di ferree canne,
- che rimbomba lontan di villa in villa.
- Tutta vestita a festa
- la gioventù del loco
- lascia le case, e per le vie si spande; 35
- e mira ed è mirata, e in cor s’allegra.
- Io, solitario in questa
- rimota parte alla campagna uscendo,
- ogni diletto e gioco
- indugio in altro tempo; e intanto il guardo 40
- steso nell’aria aprica
- mi fère il sol, che tra lontani monti,
- dopo il giorno sereno,
- cadendo si dilegua, e par che dica
- che la beata gioventú vien meno. 45
- Tu, solingo augellin, venuto a sera
- del viver che daranno a te le stelle,
- certo del tuo costume
- non ti dorrai; ché di natura è frutto
- ogni vostra vaghezza. 50
- A me, se di vecchiezza
- la detestata soglia
- evitar non impetro,
- quando muti questi occhi all’altrui core,
- e lor fia vòto il mondo, e il dí futuro 55
- del dí presente piú noioso e tetro,
- che parrá di tal voglia?
- Che di quest’anni miei? Che di me stesso?
- Ahi! pentirommi, e spesso,
- ma sconsolato, volgerommi indietro. 60
Parafrasi
- Dalla cima della torre antica
- tu, o passero solitario,
- canti continuamente rivolto verso la campagna finché viene sera;
- e l’armonia del tuo canto si diffonde per questa valle.
- La primavera splende tutt’intorno
- e si manifesta trionfalmente nei campi
- così che a contemplarla il cuore si riempie di tenerezza.
- Si sentono le pecore belare, le vacche muggire;
- e gli altri uccelli, contenti, fanno mille giri
- gareggiando nel cielo sereno,
- anch’essi festeggiando la stagione più bella per loro:
- tu, invece, guardi il tutto stando in disparte pensieroso;
- non cerchi compagni, né voli,
- non ti importa dell’allegria, eviti i divertimenti,
- canti solamente e così trascorri
- il periodo migliore dell’anno e della tua vita.
- Ahimè, quanto assomiglia
- il mio al tuo modo di vivere!
- Del divertimento e della gioia,
- dolce compagnia della giovinezza,
- e dell’amore, fratello della giovinezza,
- rimpianto amaro dell’età matura,
- non mi importa, non so perché;
- anzi quasi fuggo lontano da loro;
- trascorro la mia giovinezza solitario e quasi estraneo
- al mio luogo nativo.
- Questo giorno, che ormai giunge a termine,
- si usa festeggiarlo al mio paese.
- Si sente per l’aria serena un suono di campana,
- si sente spesso lo scoppio di colpi di fucile,
- che rimbomba lontano di borgo in borgo.
- La gioventù del luogo,
- tutta vestita da festa,
- abbandona le case e si sparge per le vie;
- e ammira ed è ammirata, e in cuor suo si rallegra.
- Io, invece, uscendo da solo
- in questa remota parte della campagna,
- rimando ad altro tempo
- ogni gioco e divertimento:
- e intanto il sole mi ferisce lo sguardo
- perso per l’aria luminosa,
- (il sole) che tra i monti lontani,
- dopo una giornata serena,
- tramontando si dilegua, e sembra
- annunciare che la beata gioventù sta finendo.
- Tu, solitario uccellino, arrivato alla fine della vita
- che il destino ti concederà,
- non ti addolorerai certamente
- per come hai vissuto;
- perché ogni vostro desiderio
- è frutto della natura.
- A me, invece, se non ottengo di evitare
- l’odiosa soglia della vecchiaia,
- quando i miei occhi non diranno più nulla al cuore degli altri
- e il mondo apparirà loro privo di senso, e l’indomani
- più noioso e cupo dell’oggi,
- che cosa penserò della mia voglia di solitudine?
- Che cosa di questi anni giovanili? Che cosa di me stesso?
- Ah, mi pentirò, e più volte
- mi rivolgerò sconsolato al passato.

Monticola solitarius, la specie di passero a cui si ispira Leopardi per la sua poesia
Il passero solitario – Analisi
La poesia Il passero solitario inizia con una descrizione di un paesaggio bucolico primaverile e allegro in cui si inserisce la figura del passero: si crea così un contrasto fra l’uccellino solitario che se ne sta in disparte e gli altri uccelli che festeggiano l’arrivo della primavera volando e cantando tutti insieme.
Questo contrasto serve a introdurre il parallelismo fra il poeta e il passero solitario nella seconda strofa: anche Leopardi preferisce stare in disparte e si distingue perciò dai giovani suoi coetanei, che nel giorno di festa escono pieni di entusiasmo e vogliono stare in compagnia, divertirsi e vivere i primi amori.
Se il poeta e il passero solitario quindi da un lato si somigliano, da un altro punto di vista però si differenziano: nella terza strofa si evidenzia che il passero solitario si comporta così perché la sua natura lo stabilisce, quindi non se ne dispiace e non soffre per la solitudine; Leopardi invece è consapevole che il suo comportamento è estraneo alla natura umana. Si sente diverso dagli altri e si pentirà di non aver vissuto appieno la gioventù, una volta invecchiato.
I temi centrali di questo componimento sono quindi la solitudine, la diversità e la giovinezza. Leopardi sa di essere diverso dai suoi coetanei e che il suo comportamento lo renderà infelice, ma si sente incompreso e sa di non essere capace di vivere la gioventù con la spensieratezza degli altri: non condivide il significato di “gioventù” che i suoi coetanei ritengono normale. La vecchiaia, infine, viene presentata come una fase della vita oscura (“noioso e tetro”), che il poeta preferirebbe non raggiungere mai (“detestata soglia”), perché in essa ci sarà spazio solo per il rimpianto.
Il passero solitario è quindi un canto totalmente soggettivo e individuale, incentrato sulla figura del suo autore, che finge un dialogo con il passero.
Lo stile di questo componimento risponde alla poetica del vago e dell’indefinito teorizzata da Leopardi, in particolare nelle descrizioni del paesaggio bucolico. Il ritmo è più rapido e allegro nella prima parte, rispecchiando il risveglio della primavera e l’atmosfera di festa nel paese, e più lento e malinconico nella seconda parte, rispecchiando i sentimenti del poeta.
Figure retoriche
La struttura delle frasi nella poesia Il passero solitario è complicata da numerose anastrofi: v. 16 (dell’anno e di tua vita il più bel fiore), v. 19 (della novella età dolce famiglia), v. 26 (del viver mio la primavera), v. 39-41 (il guardo/steso nell’aria aprica/mi fere il sol), v. 48 (di natura è frutto). V. 50-51 (di vecchiezza/la detestata soglia), v. 55 (del dì presente più noioso e tetro).
Un’altra figura retorica relativa alla struttura è il chiasmo, che si trova qui al v. 6 (brilla nell’aria, e per li campi esulta) e al v. 8 (Odi greggi belar, muggire armenti).
Le anafore influenzano invece il ritmo del componimento: vv.13 e 14 (Non compagni, non voli,/non ti cal d’allegria), vv. 23 e 24 (quasi fuggo lontano/quasi romito e strano), vv. 29 e 30 (odi per lo sereno…/odi spesso un tonar), vv. 56-57 (Che parrà di tal voglia?/Che di quest’anni miei? Che di me stesso?).
Una figura di suono molto ricorrente è l’allitterazione: della “c” ai vv. 2-3 (campagna/cantando), della “r” al v. 8 (belar, muggire, armenti) e al v. 30 (tonar, ferree), della “g” al v. 8 (greggi, muggire), al v. 20 (german di giovinezza), della “s” ai vv. 12-15 (pensoso in disparte/schivi gli spassi /e così trapassi), al v. 29 (sereno, suon, squilla), della “m” ai vv. 58-59 (pentirommi/ma volgerommi), infine della “a” ricorrente in tutta la poesia.
La figura retorica di significato più importante che si ritrova è la metafora: il v. 16 (di tua vita il più bel fiore) usa il fiore come metafora della giovinezza, allo stesso modo del v. 26, che usa invece con lo stesso significato la primavera; ai vv. 45 e 46, invece, la “sera del viver” è metafora della parte finale dell’esistenza.
I soggetti di questa poesia vengono poi spesso resi con una personificazione: v. 3 (finché non more il giorno), v. 4 (erra l’armonia per questa valle), vv. 5-6 (Primavera dintorno/Brilla nell’aria, e per li campi esulta), vv. 41-43 (mi fere il sol che tra lontani monti,/dopo il giorno sereno,/cadendo si dilegua).
Nel verso 53 si riconosce poi una sinestesia, nell’accostamento degli occhi all’aggettivo “muto”, appartenente a una sfera sensoriale diversa.
Numerosissimi sono infine gli enjambement: vv. 1-2, 5-6, 9-10, 15-16, 17-18, 36-37, 38-39, 39-40, 48-49, 50-51, 51-52.
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