Il bove è una celebre poesia scritta da Giosuè Carducci nel 1872; la sua prima pubblicazione risale all’anno seguente; comparve nella Strenna bolognese. Raccolta di prose e poesie inedite con il titolo Contemplazione della bellezza; Carducci si firmò con lo pseudonimo Enotrio Romano. In seguito, la poesia è entrata a far parte della raccolta Rime nuove con il titolo attuale.
Per inciso, anche Giovanni Pascoli ha composto una poesia intitolata Il bove.
Dal punto di vista metrico il componimento è un classico sonetto in endecasillabi costituito da due quartine e due terzine; lo schema delle rime è ABAB ABAB CDE CDE.
Il componimento di Carducci ha ispirato alcune opere dei macchiaioli fra cui Bovi al carro e Riposo in Maremma, di Giovanni Fattori.
Nota – Carducci adottò lo pseudonimo Enotrio traendolo dal nome di un’antica regione dell’Italia meridionale, l’Enotria.
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La poesia “Il bove” era originariamente intitolata “Contemplazione della bellezza”
Testo della poesia
Di seguito il testo del sonetto.
- T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
- di vigore e di pace al cor m’infondi,
- o che solenne come un monumento
- Tu guardi i campi liberi e fecondi, 4
- o che al giogo inchinandoti contento
- l’agil opra de l’uom grave secondi:
- ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
- giro de’ pazïenti occhi rispondi. 8
- Da la larga narice umida e nera
- fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
- Il mugghio nel sereno aer si perde; 11
- e del grave occhio glauco entro l’austera
- dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto
- il divino del pian silenzio verde. 14
Il bove (Carducci) – Parafrasi
Di seguito la parafrasi.
- Ti amo, tranquillo bue, e un sereno sentimento
- di forza e di pace infondi nel mio cuore,
- sia quando, solenne come un monumento
- guardi i campi aperti e fertili,
- sia quando, piegandoti di buon grado al giogo
- con la tua potenza, faciliti il veloce lavoro dell’uomo;
- lui ti esorta e ti pungola, e tu, con il lento
- movimento dei tuoi occhi pazienti, gli rispondi.
- Dalle tue larghe narici, umide e nere,
- esce il tuo fiato, e come un inno felice
- il [tuo] muggito si disperde nell’aria serena;
- e dentro i tuoi intensi occhi azzurri, dalla decisa
- dolcezza, si rispecchia, grande e tranquillo,
- il divino silenzio della verde pianura.
Il bove (Carducci) – Analisi
Il bove è un componimento che può essere tranquillamente definito come una sorta di dipinto (non a caso ha ispirato alcune opere dei Macchiaioli); la poesia descrive una tranquilla scena agreste che rimanda ai bucolici paesaggi virgiliani (Virgilio era l’autore preferito da Carducci) e che lascia facilmente intuire il suo grande amore e la sua grande nostalgia per la sua Maremma, spesso presente nelle sue opere.
Carducci, attraverso l’elogio al “pio bove”, esalta un mondo che ormai non c’è più, un mondo lontano da quello della società moderna in cui lui si trova a vivere e che è piena di ipocrisie e portatrice di inquietudini; il bove è quindi il simbolo di quella vita che è negata al poeta, una vita serena, forte, in pace, riassunta nella bellissima “pennellata” dell’ultimo verso “il divino del pian silenzio verde“.
Nella prima quartina si legge l’ammirazione del poeta per quell’animale possente e maestoso che gli ispira forza e tranquillità e un senso di sacralità religiosa richiamata anche dall’aggettivo del verso 1 (pio).
La seconda quartina descrive il pesante lavoro dell’animale, lavoro che comunque svolge con serenità, senza resistenza, quasi con gioia (inchinandoti contento) e pazienza facilitando quello dell’uomo che lo esorta e lo pungola di continuo.
Le immagini delle due terzine che chiudono il componimento (il fiato del bue che esce dalle narici, il suo muggito, gli intensi occhi azzurri ecc.) evocano un panorama naturale vasto e silenzioso, che dona pace e che fa percepire l’universo morale al quale Carducci allude.
Il bove (Carducci) – Figure retoriche
Nel testo sono presenti alcune figure retoriche.
Il v. 1 si apre con un’apostrofe (T’amo, o pio bove…).
La figura retorica dell’iperbato è presente ai vv. 1-2 (e mite un sentimento / di vigore e di pace al cor m’infondi) e ai vv. 5-6 (al giogo inchinandoti contento / l’agil opra de l’uom grave secondi).
Vari sono gli enjambement (vv. 1-2, 7-8, 12-13, 13-14) che sapientemente Carducci utilizza per scandire il ritmo del componimento).
È presente un’anafora (vv. 3 e 5; O che… O che…).
Due volte Carducci ricorre alla figura della similitudine (v. 3, solenne come un monumento; vv. 10-12, come un inno lieto / Il mugghio nel sereno aer si perde).
Al v. 6 è presente un’antitesi (agil/grave).
Si notano due endiadi (v. 2, di vigore e di pace; v. 13, ampïo e quïeto).
Due volte ricorre la figura dell’ipallage; al v. 6 (l’agil opra de l’uom grave; l’aggettivo grave è riferito all’uomo, ma logicamente fa riferimento alla pesantezza dell’aratro e quindi del lavoro) e al v. 14 (il divino del pian silenzio verde, l’aggettivo verde è qui poeticamente riferito al silenzio quando, invece, è logicamente legato a piano).
Il “pazienti occhi” del v. 8 è una metonimia.
Due volte ricorre la figura retorica della sineddoche (v. 9, Da la larga narice…; v. 12, grave occhio glauco). In entrambi casi si è fatto ricorso al singolare per il plurale (narice per narici e occhio per occhi).
L’austera / dolcezza dei vv. 12-13 è un ossimoro.
Il silenzio verde del v. 14 è un’elegante sinestesia (si associano due sfere sensoriali diverse, quella dell’udito e quella della vista).
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