La poesia I limoni, composta da Eugenio Montale tra il 1921 e il 1922, apre Movimenti, la prima sezione degli Ossi di seppia (1925). È un’importante dichiarazione di poetica da parte dell’autore che, non a caso, la colloca in apertura della raccolta, dopo In limine che è la lirica introduttiva. Montale rifiuta una poesia aulica e ufficiale (rappresentata dai «poeti laureati») e propone un suo “abbassamento”: i «limoni» diventano il simbolo di una poesia e di un linguaggio vicini al quotidiano e alla concretezza, di una natura e di una vitalità non artificiose, di una realtà in cui ciò che sembra meno rilevante acquista importanza. È negli elementi di questa realtà “ai margini” che si può cercare la verità profonda delle cose. Si tratta di quattro strofe di lunghezza variabile, composte da versi liberi (prevalentemente endecasillabi).
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Nella sua poesia “I limoni”, questi agrumi rappresentano per Montale il simbolo di una poesia e di un linguaggio vicini al quotidiano e alla concretezza
Testo
- Ascoltami, i poeti laureati
- si muovono soltanto fra le piante
- dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
- Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
- fossi dove in pozzanghere 5
- mezzo seccate agguantano i ragazzi
- qualche sparuta anguilla:
- le viuzze che seguono i ciglioni,
- discendono tra i ciuffi delle canne
- e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. 10
- Meglio se le gazzarre degli uccelli
- si spengono inghiottite dall’azzurro:
- più chiaro si ascolta il susurro
- dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
- e i sensi di quest’odore 15
- che non sa staccarsi da terra
- e piove in petto una dolcezza inquieta.
- Qui delle divertite passioni
- per miracolo tace la guerra,
- qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza 20
- ed è l’odore dei limoni.
- Vedi, in questi silenzi in cui le cose
- s’abbandonano e sembrano vicine
- a tradire il loro ultimo segreto,
- talora ci si aspetta 25
- di scoprire uno sbaglio di Natura,
- il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
- il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
- nel mezzo di una verità.
- Lo sguardo fruga d’intorno, 30
- la mente indaga accorda disunisce
- nel profumo che dilaga
- quando il giorno più languisce.
- Sono i silenzi in cui si vede
- in ogni ombra umana che si allontana 35
- qualche disturbata Divinità.
- Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
- nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
- soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
- La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta 40
- il tedio dell’inverno sulle case,
- la luce si fa avara – amara l’anima.
- Quando un giorno da un malchiuso portone
- tra gli alberi di una corte
- ci si mostrano i gialli dei limoni; 45
- e il gelo del cuore si sfa,
- e in petto ci scrosciano
- le loro canzoni
- le trombe d’oro della solarità.
I limoni (Montale) – Parafrasi
- Ascoltami, i poeti illustri
- prediligono soltanto le piante
- dai nomi poco comuni: bossi, ligustri o acanti.
- Quanto a me, amo le strade che vanno a finire nei fossati
- erbosi dove i ragazzi agguantano
- in pozzanghere mezzo seccate
- qualche rara anguilla:
- [amo] i sentieri che costeggiano gli argini,
- discendono tra i ciuffi delle canne,
- e conducono negli orti, tra gli alberi di limoni.
- È meglio se i versi rumorosi degli uccelli
- si perde nell’azzurro del cielo:
- si ascolta più chiaramente
- il sussurro [fruscìo] dei rami amati nell’aria che quasi non si muove,
- e la sensazione di quest’odore
- che non sa staccarsi da terra
- e riversa nel petto una dolcezza inquieta.
- Qui miracolosamente cessa la lotta
- delle passioni che distraggono,
- qui anche a noi poveri tocca la nostra parte di ricchezza
- ed è il profumo dei limoni.
- Vedi, in questi silenzi in cui le cose
- si lasciano andare e sembrano vicine
- a rivelare il loro segreto più profondo,
- talora ci si aspetta di scoprire,
- uno sbaglio della Natura,
- un momento in cui la vita si blocca,
- un meccanismo che si inceppa,
- un filo annodato che finalmente si scioglie
- e ci porti a scoprire una verità.
- Lo sguardo cerca intorno,
- la mente indaga, fa collegamenti e distinzioni
- nel profumo che si diffonde
- quando il giorno volge al termine.
- Questi sono i silenzi in cui
- in ogni ombra umana che si allontana
- si vede una Divinità disturbata.
- Ma l’illusione [di scoprire la verità] svanisce e il tempo
- ci riporta nelle città rumorose dove l’azzurro del cielo
- si mostra a pezzi, in alto, tra i cornicioni delle case.
- Poi la pioggia colpisce la terra; la noia
- dell’inverno si addensa sulle case,
- la luce si fa scarsa – l’anima si fa triste.
- Finché un giorno, da un portone semiaperto,
- tra gli alberi di un cortile
- ci appare il giallo dei limoni;
- e il gelo del cuore si dissolve,
- e i limoni [trombe dorate che annunciano il sole]
- ci fanno sentire nel cuore
- le loro canzoni.
I limoni (Montale) – Analisi del testo
Il poeta apre il componimento rivolgendosi a un “tu” indeterminato e chiedendo di essere ascoltato. Il riferimento ai «poeti laureati» dell’incipit e alle «piante / dai nomi poco usati» nasconde in realtà una nota polemica nei confronti di quei poeti – quasi sicuramente egli pensava a d’Annunzio, ma probabilmente anche a Carducci – considerati padri di una poesia aulica, ufficiale, impreziosita da un linguaggio ricercato e lontano dalla quotidianità.
A questo modo di fare poesia, Montale preferisce un paesaggio spoglio, desolato, selvatico («erbosi / fossi», «pozzanghere / mezzo seccate», «viuzze», «ciglioni», «ciuffi delle canne») – che è quello ligure e che caratterizza l’intera raccolta – ma vivo, simboleggiato dagli «alberi di limoni» (v. 10). È in questo paesaggio che è possibile ascoltare il fruscìo leggero dei rami e l’odore dei limoni, che trasmettono un’ossimorica «dolcezza inquieta» (v. 17) e un senso di pace.
A partire dalla seconda strofa, il poeta utilizza la seconda persona plurale alternata a forme impersonali, così da coinvolgere ancora di più il lettore. Con i riferimenti presenti nella terza strofa, Montale colloca di fatto la propria poesia nel solco di quella novecentesca legata alle “epifanie”, attraverso le quali oggetti o fatti si caricano di significati profondi: la verità può infatti essere rintracciata in «uno sbaglio di Natura», nel «punto morto del mondo», ne «l’anello che non tiene», nel «filo da disbrogliare»: si tratta di immagini che rimandano a “errori”, “rotture”, “meccanismi inceppati” che però sembrano offrire il segreto ultimo delle cose e dell’esistenza. Sembra addirittura che, dietro le ombre umane, si nasconda una «qualche disturbata Divinità».
In realtà, la quarta strofa rompe l’illusione, come sottolinea il «ma» avversativo del v. 37. L’attimo che aveva suscitato la speranza viene meno, lasciando di nuovo spazio alle «città rumorose», con il cielo che «si mostra / soltanto a pezzi», e al «tedio dell’inverno», che rende l’anima «amara». L’idea che una rivelazione della verità sia impossibile permane, ma nel finale è smorzata dall’improvvisa apparizione, «da un malchiuso portone», degli alberi di limoni, «trombe d’oro della solarità» – immagine che dà vita a una forte sinestesia, figura retorica che in questo caso mescola gli ambiti uditivo e visivo – che sciolgono «il gelo del cuore» (la sinestesia è una figura retorica caratterizzata dall’associazione di due sfere sensoriali differenti).
I limoni (Montale) – Figure retoriche
Sono molte le figure retoriche rintracciabili in questo bellissimo compimento di Montale.
La poesia si apre con un’apostrofe (Ascoltami) e una metafora (poeti laureati; nell’antichità il lauro – o alloro – era utilizzato come simbolo del trionfo della poesia), altre metafore sono rintracciabili ai vv. 11-12 (Meglio se le gazzarre degli uccelli / si spengono inghiottite dall’azzurro; si nota anche l’assonanza fra gazzarre e azzurro), al v. 19 (tace la guerra; in questo caso è presente anche la figura retorica della personificazione), al v. 30 (lo sguardo fruga), al v. 33 (il giorno più languisce) e al v. 46 (il gelo del cuore si sfa).
Varie volte ricorre la figura retorica dell’anastrofe (v. 6, agguantano i ragazzi; v. 36, disturbata Divinità; v. 43, malchiuso portone).
Al v. 12 compare la figura della metonimia (inghiottite dall’azzurro; in questo caso, azzurro sta per cielo).
Ai vv. 13-15 è presente uno zeugma (più chiaro si ascolta il susurro / dei rami amici nell’aria che quasi non si muove, / e i sensi di quest’odore; la voce verbale si adatta a il susurro, ma non a i sensi).
Al v. 17 notiamo un ossimoro (dolcezza inquieta), mentre ai vv. 18-20 è presente un’anafora (Qui… / qui…).
Si noti l’asindeto al v. 31 (la mente indaga accorda disunisce); accorda disunisce è un’antitesi.
Al v. 42 è presente un chiasmo (la luce si fa avara – amara l’anima; si noti anche la paronomasia avara/amara).
Al v. 49, infine, è presente una raffinata sinestesia (trombe d’oro della solarità; qui si accostano l’ambito uditivo e quello visivo).
Numerosi gli enjambement (vv. 1-2, 4-5, 5-6, 6-7, 9-10, 11-12, 15-16, 22-23, 23-24, 25-26, 28-29, 31-32, 32-33, 34-35, 35-36, 40-41, 44-45, 47-48, 48-49).
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