I fiumi è uno dei componimenti poetici più importanti presenti nella raccolta L’Allegria di Giuseppe Ungaretti. Nelle Note all’edizione del 1969 il poeta spiegherà: «L’Allegria di Naufragi è la presa di coscienza di sé, è la scoperta che prima adagio avviene, poi culmina d’improvviso in un canto scritto il 16 agosto 1916 in piena guerra, in trincea, e che s’intitola I fiumi. Vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolavano le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che scrissi allora. I fiumi è una poesia dell’Allegria lunga; di solito, a quei tempi, ero breve, spesso brevissimo, laconico: alcuni vocaboli deposti nel silenzio come un lampo nella notte, un gruppo fulmineo di immagini, mi bastavano ad evocare il paesaggio sorgente d’improvviso ad incontrarne tanti altri nella memoria».
Durante la guerra, il poeta rivede nell’Isonzo, al confine italo-sloveno, uno dei fronti su cui si combatteva, i fiumi che hanno attraversato i luoghi che nella sua vita sono stati fondamentali: il Nilo in Egitto, dove aveva trascorso l’infanzia e la giovinezza; la Senna a Parigi, dove si trasferì e coltivò la propria formazione letteraria; il Serchio nella zona di Lucca, da dove provenivano i suoi genitori. La poesia è preceduta da un’indicazione di luogo e tempo: «Cotici il 16 agosto 1916»: la località è un’altura presso San Michele del Carso, che sovrasta Gorizia e l’Isonzo. Si tratta di versi liberi privi di punteggiatura raggruppati in strofe di lunghezza variabile.
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I fiumi è uno dei componimenti poetici più importanti presenti nella raccolta L’Allegria di Giuseppe Ungaretti; nell’immagine il fiume Isonzo
Testo
Cotici il 16 agosto 1916
- Mi tengo a quest’albero mutilato
- abbandonato in questa dolina
- che ha il languore
- di un circo
- prima o dopo lo spettacolo 5
- e guardo
- il passaggio quieto
- delle nuvole sulla luna
- Stamani mi sono disteso
- in un’urna d’acqua 10
- e come una reliquia
- ho riposato
- L’Isonzo scorrendo
- mi levigava
- come un suo sasso 15
- Ho tirato su
- le mie quattr’ossa
- e me ne sono andato
- come un acrobata
- sull’acqua 20
- Mi sono accoccolato
- vicino ai miei panni
- sudici di guerra
- e come un beduino
- mi sono chinato a ricevere 25
- il sole
- Questo è l’Isonzo
- e qui meglio
- mi sono riconosciuto
- una docile fibra 30
- dell’universo
- Il mio supplizio
- è quando
- non mi credo
- in armonia 35
- Ma quelle occulte
- mani
- che m’intridono
- mi regalano
- la rara 40
- felicità
- Ho ripassato
- le epoche
- della mia vita
- Questi sono 45
- i miei fiumi
- Questo è il Serchio
- al quale hanno attinto
- duemil’anni forse
- di gente mia campagnola 50
- e mio padre e mia madre
- Questo è il Nilo
- che mi ha visto
- nascere e crescere
- e ardere d’inconsapevolezza 55
- nelle estese pianure
- Questa è la Senna
- e in quel suo torbido
- mi sono rimescolato
- e mi sono conosciuto 60
- Questi sono i miei fiumi
- contati nell’Isonzo
- Questa è la mia nostalgia
- che in ognuno
- mi traspare 65
- ora ch’è notte
- che la mia vita mi pare
- una corolla
- di tenebre
I fiumi (Ungaretti) – Analisi e figure retoriche
Tolta l’indicazione iniziale del luogo (reso chiaro anche dal v. 2, con il riferimento alla «dolina», un avvallamento tipico del paesaggio carsico) e del tempo in cui è stata composta la poesia, lo scenario di guerra ci è implicitamente rivelato fin dall’incipit (poi esplicitamente al v. 22, con i «panni / sudici di guerra»): l’albero presso cui riposa l’io lirico, da solo («abbandonato, v. 2), è «mutilato», privato in qualche modo delle sue componenti, come succede a ciò che viene toccato dalla guerra. Il luogo in cui fa sosta il poeta ha «il languore», l’aspetto desolato di «un circo / prima o dopo lo spettacolo» (vv. 4-5), dunque privo di spettatori (ricorda la «decomposta fiera» della poesia In memoria a cui Ungaretti paragonò il sobborgo dove si trova il cimitero d’Ivry, luogo di sepoltura dell’amico Moammed Sceab). Il poeta osserva il «paesaggio quieto / delle nuvole sulla luna», rivelando che la scena raccontata si svolge di notte e che il cielo è coperto da qualche nuvola.
La seconda strofa ci rivela che il poeta sta ricordando cos’è accaduto quella stessa mattina. Egli ha fatto il bagno «disteso / in un’urna d’acqua», che come rivela il v. 13 è l’Isonzo, (v. 10), riposando «come una reliquia» (v. 11). I termini «urna» e «reliquia» fanno riferimento al contesto mortuario: l’urna è il recipiente in cui si conservano le ceneri dei defunti, mentre le reliquie sono i resti dei santi. Qui la metafora «urna d’acqua» legata alla similitudine «come una reliquia» sta a indicare che il corpo del poeta immerso nell’acqua assume quasi la sacralità di una reliquia in un’urna; questo bagno nel fiume si trasforma in una sorta di rito purificatore dai «panni /sudici di guerra», dove il “sudiciume” legato al contesto bellico non è solo letterale.
Nell’incipit l’aggettivo «mutilato» umanizzava l’albero (figura retorica della personificazione), mentre ai vv. 13-15 il poeta, attraverso una similitudine, si paragona a un sasso levigato dall’acqua, divenendo parte del paesaggio. In questi versi è reso esplicito il riferimento al fiume Isonzo.
Poi il poeta si alza («ho tirato su / le mie quattr’ossa», vv. 16-17) e cammina sull’acqua «come un acrobata» (v. 19): c’è forse in questa similitudine un’allusione all’episodio biblico in cui Gesù cammina sulle acque del lago di Tiberiade.
Uscito dall’acqua, il poeta si sistema al sole «come un beduino» (v. 24) vicino alla divisa sporca «di guerra» (v. 23). Il riferimento al mondo arabo anticipa quella parte della poesia in cui sarà rievocata la giovinezza egiziana.
L’idea di armonia del tutto anticipata dalla similitudine del v. 15, in cui il poeta paragonava sé stesso a un sasso, viene ripresa anche nei vv. 27-35, nei quali lo sguardo al fiume gli permette di riconoscersi come «docile fibra dell’universo» e di comprendere che il suo dolore («supplizio») nasce quando non si sente in equilibrio con l’universo. Ma il bagno nel fiume, con le sue «occulte mani» (v. 36), gli regala una «rara / felicità» (vv. 40-41).
Dal v. 42 inizia la riflessione del poeta sulla propria esistenza: l’Isonzo diventa lo spazio in cui il poeta riconosce i fiumi, e dunque i luoghi, più importanti della sua vita e il bagno immerso in esso è il modo attraverso cui egli li rievoca. Questi versi sono caratterizzati dall’anafora dei pronomi dimostrativi «Questo», «Questa» e «Questi» (vv. 45, 47, 52, 57, 61, 63).
La prima parte della rievocazione riguarda la zona della Lucchesia, della quale era originaria la famiglia di Ungaretti («gente mia campagnola / e mio padre e mia madre», vv. 50-51), e il fiume Serchio.
La seconda è relativa all’infanzia e all’adolescenza in Egitto, dove Ungaretti rimase fino ai 23 anni, con il Nilo che lo ha visto «nascere e crescere» (v. 54) (anche qui torna la figura retorica della personificazione) e fare le prime esperienze nella spontaneità e nell’incoscienza della giovinezza.
L’ultimo fiume rievocato è la Senna, che caratterizza il periodo trascorso a Parigi una volta lasciato l’Egitto: nel suo «torbido» (il riferimento letterale è all’acqua non trasparente del fiume; metaforicamente indica la vita caotica e disordinata di Parigi) egli si è «rimescolato» e «conosciuto», dunque si è lasciato coinvolgere dalle esperienze e ha preso coscienza di sé stesso.
La rievocazione delle fasi della sua esistenza provoca nel poeta un sentimento di nostalgia e malinconia, tanto che nella notte la vita gli appare come «una corolla / di tenebre» (vv. 68-69): questa analogia ossimorica (contrasto tra l’immagine floreale e quella notturna) fornisce l’idea di un’esistenza racchiusa dall’oscurità.
Per quanto riguarda le figure retoriche, oltre a quelle menzionate in precedenza, si ricordano anche i vari enjambement (vv. 3-4; 7-8; 9-10; 11-12; 14-15; 15-17; 19-20; 22-23; 24-25; 25-26; 28-29; 30-31; 32-33; 34-35; 36-37; 40-41; 42-43; 43-44; 45-46; 48-49; 50-51; 53-54; 55-56; 58-59; 64-65; 66-67; 68-69) e la sineddoche (v. 17, le mie quattr’ossa).
Giuseppe Ungaretti legge “I fiumi”
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