Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale è il titolo di uno dei più conosciuti componimenti poetici di Eugenio Montale. Questa poesia, datata 20 novembre 1967, è la quinta della sezione Xenia II, all’interno della raccolta Satura (1971). Il termine “xenia”, in latino, indica i doni che venivano inviati agli amici che erano stati ospiti nella propria dimora. Nella raccolta montaliana, le prime due sezioni, Xenia I e Xenia II, ciascuna delle quali composta da 14 testi, sono dedicate a Drusilla Tanzi, detta Mosca, compagna di vita del poeta, sposata nel 1962 e morta l’anno successivo. Gli “xenia” sono dunque poesie “offerte in dono” alla moglie defunta, che Montale ricorda come colei che, fra i due, sapeva meglio orientarsi fra gli inganni della civiltà contemporanea e le necessità quotidiane.
In questo testo, uno dei più apprezzati di Montale, il poeta rievoca il gesto di scendere le scale insieme alla moglie, che diventa metafora del percorso esistenziale verso la morte. Mosca viene da lui ricordata come colei dalla quale egli ha imparato veramente a vedere oltre la superficie delle cose.
Si tratta di due strofe di versi liberi, dove ricorrente è l’endecasillabo.
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale è il titolo di uno dei più conosciuti componimenti poetici di Eugenio Montale.
Testo
- Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
- e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
- Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
- Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
- le coincidenze, le prenotazioni,
- le trappole, gli scorni di chi crede
- che la realtà sia quella che si vede. 7
- Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
- non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
- Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
- le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
- erano le tue. 12
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale – Parafrasi
- Dandoti il braccio, ho sceso almeno un milione di scale
- e ora che non ci sei più sento il vuoto a ogni gradino.
- Nonostante questo, la nostra vita insieme sembra sia stata breve.
- La mia dura ancora adesso, e non mi riguardano più
- le coincidenze dei treni, le prenotazioni degli alberghi,
- i trabocchetti e le delusioni
- di coloro che credono che la realtà sia quella che appare.
- Dandoti il braccio ho sceso milioni di scale
- ma non perché aggiungendo i miei occhi ai tuoi potevamo vedere di più.
- Con te le ho scese perché sapevo che tra noi due
- gli unici occhi che vedevano davvero, sebbene indeboliti [dalla miopia],
- erano i tuoi.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale – Analisi
Le «scale» dell’incipit (con l’iperbole del «milione») e il «viaggio» del v. 3 sono due metafore che il poeta utilizza per indicare la vita trascorsa insieme alla moglie, la cui morte lascia il poeta smarrito e sconfortato, tanto che ogni suo passo senza di lei gli sembra condurlo al «vuoto». La moglie era colei che lo aiutava a districarsi tra gli impegni pratici della vita («le coincidenze, le prenotazioni»), che altro non sono che «trappole» e «scorni» poiché la realtà, quella vera, non consiste in ciò che è visibile e percepibile dai sensi.
Nella seconda strofa il poeta chiarisce che la presenza della moglie al suo fianco lo rassicurava perché, tra i due, era lei quella più capace di arrivare alla conoscenza profonda delle cose, senza fermarsi alla loro superficie: sebbene miope, Mosca (tale soprannome era legato alla sua necessità di portare degli occhiali molto spessi per vedere meglio) era capace di guardare all’essenziale, con senso pratico, senza lasciarsi sopraffare dai tumulti del presente. Questa aderenza di Mosca a ciò che riguarda il quotidiano la rende una figura poetica più terrena di Clizia, ma non per questo meno importante, soprattutto in un contesto storico-culturale in cui quegli ideali che il poeta aveva cercato di difendere nelle Occasioni e nella Bufera hanno progressivamente perso la loro forza.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale – Figure retoriche
Varie le figure retoriche presenti in Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale; oltre alle metafore delle scale e del viaggio (vv. 1 e 3) e all’iperbole del v. 1 («un milione di scale»), si segnalano l‘anafora del v. 8 che varia l’incipit, l’antitesi ossimorica del v. 3 («è stato breve il nostro lungo viaggio») e la sineddoche del v. 11 (le «pupille» per gli occhi). Vari sono gli enjambement (vv. 4-5, 6-7, 10-11, 11-12).
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