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E lasciatemi divertire! (Aldo Palazzeschi)

E lasciatemi divertire! [talvolta riportato come E lasciatemi divertire! (Canzonetta)] è uno dei componimenti poetici più noti di Aldo Palazzeschi, presente nella prima edizione della raccolta L’Incendiario (1910); in seguito il poeta eliminerà dal titolo la congiunzione iniziale e il punto esclamativo. Palazzeschi dà vita a un divertissement, combinando casualmente fonemi; contemporaneamente nella poesia si svolge un dialogo tra personaggi anonimi che riflettono sulla funzione della poesia e del poeta, in un contesto storico-culturale che da tempo ne ha decretato la perdita di importanza (si pensi alla “perdita dell’aureola” di cui parlava Baudelaire: siamo agli antipodi rispetto alla figura del poeta-vate dannunziano). Si tratta di una canzonetta di venti strofe in versi liberi.

In questa pagina…

  • Testo
  • Analisi
E lasciatemi divertire! - Aldo Palazzeschi - Analisi

E lasciatemi divertire! è uno dei componimenti poetici più noti di Aldo Palazzeschi (pseudonimo di Aldo Pietro Vincenzo Giurlani), presente nella prima edizione della raccolta L’Incendiario (1910).

Testo

  • Tri tri tri,
  • fru fru fru,
  • uhi uhi uhi,
  • ihu ihu ihu.
  • Il poeta si diverte, 5
  • pazzamente,
  • smisuratamente.
  • Non lo state a insolentire,
  • lasciatelo divertire
  • poveretto, 10
  • queste piccole corbellerie
  • sono il suo diletto.
  • Cucù rurù,
  • rurù cucù,
  • cuccuccurucù! 15
  • Cosa sono queste indecenze?
  • Queste strofe bisbetiche?
  • Licenze, licenze,
  • licenze poetiche.
  • Sono la mia passione. 20
  • Farafarafarafa,
  • tarataratarata,
  • paraparaparapa,
  • laralaralarala!
  • Sapete cosa sono? 25
  • Sono robe avanzate,
  • non sono grullerie,
  • sono la spazzatura
  • delle altre poesie.
  • Bubububu, 30
  • fufufufu,
  • Friù!
  • Friù!
  • Se d’un qualunque nesso
  • son prive, 35
  • perché le scrive
  • quel fesso?
  • Bilobilobilobilobilo
  • blum!
  • Filofilofilofilofilo 40
  • flum!
  • Bilolù. Filolù.
  • U.
  • Non è vero che non voglion dire,
  • vogliono dire qualcosa. 45
  • Voglion dire…
  • come quando uno si mette a cantare
  • senza saper le parole.
  • Una cosa molto volgare.
  • Ebbene, così mi piace di fare. 50
  • Aaaaa!
  • Eeeee!
  • Iiiii!
  • Ooooo!
  • Uuuuu! 55
  • A! E! I! O! U!
  • Ma giovinotto,
  • ditemi un poco una cosa,
  • non è la vostra una posa,
  • di voler con così poco 60
  • tenere alimentato
  • un sì gran foco?
  • Huisc… Huiusc…
  • Huisciu… sciu sciu,
  • Sciukoku… Koku koku, 65
  • Sciu
  • ko
  • ku.
  • Come si deve fare a capire?
  • Avete delle belle pretese, 70
  • sembra ormai che scriviate in giapponese.
  • Abì, alì, alarì.
  • Riririri!
  • Ri.
  • Lasciate pure che si sbizzarrisca, 75
  • anzi è bene che non la finisca,
  • il divertimento gli costerà caro:
  • gli daranno del somaro.
  • Labala
  • falala 80
  • falala
  • eppoi lala…
  • e lalala, lalalalala, lalala.
  • Certo è un azzardo un po’ forte,
  • scrivere delle cose così, 85
  • che ci son professori oggidì,
  • a tutte le porte.
  • Ahahahahahahah!
  • Ahahahahahahah!
  • Ahahahahahahah! 90
  • Infine,
  • io ho pienamente ragione,
  • i tempi sono cambiati,
  • gli uomini non domandano più nulla
  • dai poeti: 90
  • e lasciatemi divertire!

E lasciatemi divertire! – Analisi

Nella poesia Chi sono?, del 1909, Palazzeschi aveva già ridefinito la figura del poeta agli inizi del Novecento, rifiutandone il ruolo istituzionale e ufficiale e facendo i conti con la mercificazione dell’arte e con la svalutazione e a l’annullamento della funzione sociale della poesia e del poeta. Provocatoriamente, Palazzeschi si paragona a un clown e cerca di recuperare la dimensione giocosa dell’arte, l’unica che le è rimasta. Chi sono? prende avvio da una domanda retorica che Palazzeschi si pone: «Son forse un poeta? / No, certo»; alla fine della lirica, offre una risposta perentoria: «Chi sono? / Il saltimbanco dell’anima mia».

L’idea del poeta-intrattenitore e della poesia come divertimento torna anche in E lasciatemi divertire!, in cui Palazzeschi mette in campo un divertissement («il poeta di diverte, / pazzamente / smisuratamente», vv. 1-3) con l’obiettivo – aderente al modello futurista – di scardinare la tradizione poetica e di offrire una poesia che altro non è che «spazzatura / delle altre poesie» (vv. 28-29), perché «i tempi sono cambiati, / gli uomini non domandano più nulla / dai poeti» (vv. 93-95).

Dopo un incipit parodico contro l’onomatopea – che prosegue lungo tutta la lirica – il poeta, nella seconda strofa, riporta le voci del pubblico che finge indulgenza nei suoi confronti («Non lo state a insolentire, lasciatelo divertire», vv. 8-9), ma che in realtà lo ritiene un «poveretto» (v. 10) e, più avanti, un «fesso» (v. 37).

Il pubblico domanda ragione della stranezza dei versi che legge («Cosa sono queste indecenze? / Queste strofe bisbetiche?», vv. 16-17) e il poeta risponde che si tratta di «licenze poetiche» (v. 19), di «grullerie» (v. 27), di «spazzatura / delle altre poesie» (vv. 28-29): il poeta riprende quei temi marginali e scartati («robe avanzate», v. 26) dalla cosidetta “poesia ufficiale” e dà loro quello che, dal suo punto di vista, è nuovo valore. Nella decima strofa (vv. 44-50), il poeta difende i propri versi perché «non è vero che non voglion dire», ma soprattutto perché è ciò che gli «piace di fare».

A questo punto, nel pubblico sorge il dubbio che quella di Palazzeschi, in realtà, sia solamente «una posa» (v. 59) – che egli abbia cioè del poeta solamente l’atteggiamento, ma non la vocazione – e gli viene fatto notare che «con così poco» non si può alimentare il «gran foco» della poesia.

Il pubblico – di fronte all’incomprensibilità dei versi (vv. 63-68) – accusa il poeta di avere «delle belle pretese», di sopravvalutare il pubblico se pensa che possa dare un senso («Come si deve fare a capire?», v. 69) a ciò che lui scrive e che, ormai, sembra «giapponese»: con questo, il pubblico vuole dire che una lingua come quella giapponese, basata sugli ideogrammi, può essere capita solamente da chi ne condivide il sistema grafico; allo stesso modo, i versi di Palazzeschi sono tacciati di essere incomprensibili, privi di senso, all’opposto di ciò a cui il pubblico è abituato.

Di fronte ai nonsense del poeta, il pubblico si arrende polemicamente: «Lasciate pure che si sbizzarrisca, / anzi, è bene che non lo finisca, / il divertimento gli costerà caro: / gli daranno del somaro» (vv. 75-79).

Palazzeschi conosce i rischi di ciò che fa («è un azzardo un po’ forte / scrivere delle cose così», vv. 84-85), soprattutto perché ovunque «ci son professori» (v. 86), cioè gli accademici, i difensori della tradizione e della poesia istituzionale. Nonostante questo, però, egli sa che «i tempi sono cambiati» (v. 93) per la poesia, che ha perso qualsiasi funzione («gli uomini non domandano più nulla / dai poeti», vv. 94-95), perciò tanto vale “lasciar divertire” il poeta.

 

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