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Davanti San Guido

Davanti San Guido è una delle poesie più celebri di Giosuè Carducci; fa parte della raccolta Rime nuove. Il componimento trae spunto da un viaggio in treno che il poeta fece nell’agosto del 1874 sulla linea Roma-Pisa; cruciale per lui il passaggio della locomotiva nella sua amata Maremma (a cui dedicherà anche il celebre sonetto Traversando la Maremma toscana). Carducci personifica i cipressi che dall’oratorio di San Guido vanno fino a Bolgheri «in duplice filar» e con loro intreccia un dialogo per buona parte della poesia; un dialogo intenso, malinconico, nostalgico, a tratti persino commovente, ma c’è spazio anche per l’ironia, l’autoironia e la polemica come vedremo più avanti nel paragrafo dedicato all’analisi del testo. Tradizionalmente, al componimento è attribuita la datazione dicembre 1874, ma è ormai certo che in quell’anno Carducci abbia scritto solo una parte della poesia, le prime 19 strofe (76 versi); il poeta terminerà la sua lunga ode molti anni più tardi, nel 1886, durante un soggiorno in Cadore, aggiungendo altre 10 strofe.

Davanti San Guido è una poesia estremamente interessante; una sorta di sfogo autobiografico, talvolta anche autoironico; un bilancio della prima parte della sua vita (all’epoca Carducci aveva poco meno di quaranta anni). Passando dagli amati luoghi della sua infanzia, il poeta rivive nostalgicamente, anche se solo per brevissimo tempo, la felicità e la spensieratezza di quegli anni e li mette a confronto con una realtà che, in fondo, è ben diversa da quella sognata durante la gioventù. Carducci è celebre, importante, colto (come con apprezzabile ironia ci dice nei versi 24-25: Ma oggi sono una celebrità. / E so legger di greco e di latino), ma la vera felicità è un’altra cosa tant’è che ai cipressi coi quali dialoga fa dire «un pover uom tu se’». Dal punto di vista metrico, Davanti San Guido è un componimento in quartine di endecasillabi con schema ABAB. La poesia consta di 29 quartine (116 versi). L’iniziale dei versi è maiuscola.

Nota – L’oratorio di San Guido è un edificio sacro situato nella località omonima, facente parte di Bolgheri, una frazione del comune di Castagneto Carducci. Deve la sua popolarità proprio all’ode scritta da Carducci.

In questa pagina…

  • Testo
  • Parafrasi
  • Analisi
  • Figure retoriche
Davanti San Guido

L’oratorio di San Guido fu realizzato nel 1703 su commissione della famiglia Della Gherardesca per celebrare l’antenato Guido, eremita vissuto tra l’XI e il XII secolo; deve molta della sua celebrità all’ode di Carducci

Davanti San Guido – Testo

  • I cipressi che a Bolgheri alti e schietti
  • Van da San Guido in duplice filar,
  • Quasi in corsa giganti giovinetti
  • Mi balzarono incontro e mi guardâr.  4
  • Mi riconobbero, e “Ben torni omai”
  • Bisbigliaron vèr’ me co ‘l capo chino
  • “Perché non scendi? Perché non ristai?
  • Fresca è la sera e a te noto il cammino. 8
  • Oh sièditi a le nostre ombre odorate
  • Ove soffia dal mare il maestrale:
  • Ira non ti serbiam de le sassate
  • Tue d’una volta: oh, non facean già male! 12
  • Nidi portiamo ancor di rusignoli:
  • Deh perché fuggi rapido così?
  • Le passere la sera intreccian voli
  • A noi d’intorno ancora. Oh resta qui!”  16
  • “Bei cipressetti, cipressetti miei,
  • Fedeli amici d’un tempo migliore,
  • Oh di che cuor con voi mi resterei”
  • Guardando io rispondeva “oh di che cuore!  20
  • Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
  • Or non è più quel tempo e quell’età.
  • Se voi sapeste!… via, non fo per dire,
  • Ma oggi sono una celebrità.  24
  • E so legger di greco e di latino,
  • E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù:
  • Non son più, cipressetti, un birichino,
  • E sassi in specie non ne tiro più.  28
  • E massime a le piante”. Un mormorio
  • Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
  • E il dì cadente con un ghigno pio
  • Tra i verdi cupi roseo brillò. 32
  • Intesi allora che i cipressi e il sole
  • Una gentil pietade avean di me,
  • E presto il mormorio si fe’ parole:
  • “Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.  36
  • Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
  • Che rapisce de gli uomini i sospir,
  • Come dentro al tuo petto eterne risse
  • Ardon che tu né sai né puoi lenir.  40
  • A le querce ed a noi qui puoi contare
  • L’umana tua tristezza e il vostro duol.
  • Vedi come pacato e azzurro è il mare,
  • Come ridente a lui discende il sol!  44
  • E come questo occaso è pien di voli,
  • Com’è allegro de’ passeri il garrire!
  • A notte canteranno i rusignoli:
  • Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;  48
  • I rei fantasmi che da’ fondi neri
  • De i cuor vostri battuti dal pensier
  • Guizzan come da i vostri cimiteri
  • Putride fiamme innanzi al passegger. 52
  • Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
  • Che de le grandi querce a l’ombra stan
  • Ammusando i cavalli e intorno intorno
  • Tutto è silenzio ne l’ardente pian, 56
  • Ti canteremo noi cipressi i cori
  • Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
  • Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
  • Te ventilando co ‘l lor bianco velo;  60
  • E Pan l’eterno che su l’erme alture
  • A quell’ora e ne i pian solingo va
  • Il dissidio, o mortal, de le tue cure
  • Ne la diva armonia sommergerà”.  64
  • Ed io “Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
  • La Tittì” rispondea; “lasciatem’ ire.
  • È la Tittì come una passeretta,
  • Ma non ha penne per il suo vestire.  68
  • E mangia altro che bacche di cipresso;
  • Né io sono per anche un manzoniano
  • Che tiri quattro paghe per il lesso5.
  • Addio cipressi! addio, dolce mio piano!”  72
  • “Che vuoi che diciam dunque al cimitero
  • Dove la nonna tua sepolta sta?”
  • E fuggìano, e pareano un corteo nero
  • Che brontolando in fretta in fretta va.  76
  • Di cima al poggio allor, dal cimitero,
  • Giù de’ cipressi per la verde via,
  • Alta, solenne, vestita di nero
  • Parvemi riveder nonna Lucia;  80
  • La signora Lucia, da la cui bocca,
  • Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
  • La favella toscana, ch’è sì sciocca
  • Nel manzonismo de gli stenterelli,   84
  • Canora discendea, co ‘l mesto accento
  • De la Versilia che nel cuor mi sta,
  • Come da un sirventese del trecento,
  • Pieno di forza e di soavità.  88
  • O nonna, o nonna! deh com’era bella
  • Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
  • Ditela a quest’uom savio la novella
  • Di lei che cerca il suo perduto amor!  92
  • “Sette paia di scarpe ho consumate
  • Di tutto ferro per te ritrovare:
  • Sette verghe di ferro ho logorate
  • Per appoggiarmi nel fatale andare: 96
  • Sette fiasche di lacrime ho colmate,
  • Sette lunghi anni, di lacrime amare:
  • Tu dormi a le mie grida disperate,
  • E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare”.  100
  • Deh come bella, o nonna, e come vera
  • È la novella ancor! Proprio così.
  • E quello che cercai mattina e sera
  • Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,  104
  • Sotto questi cipressi, ove non spero
  • Ove non penso di posarmi più:
  • Forse, nonna, è nel vostro cimitero
  • Tra quegli altri cipressi ermo là su.  108
  • Ansimando fuggìa la vaporiera
  • Mentr’io così piangeva entro il mio cuore;
  • E di polledri una leggiadra schiera
  • Annitrendo correa lieta al rumore. 112
  • Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
  • Rosso e turchino, non si scomodò:
  • Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
  • E a brucar serio e lento seguitò.  116
Davanti San Guido - Analisi - Parafrasi - Figure retoriche

Il Viale dei Cipressi nel cuore della Maremma livornese

Davanti San Guido – Parafrasi

  • I cipressi alti e dritti che a Bolgheri
  • costeggiano, in doppia fila, la strada verso San Guido
  • sembrano giovani giganti che corrono;
  • mi vennero incontro e mi guardarono.  4
  • Mi riconobbero, “Finalmente sei tornato”
  • mi sussurrarono, tenendo le loro chiome piegate giù [dal vento],
  • “Perché non scendi [dal treno]? Perché non resti?
  • La sera è piacevole e tu conosci bene questa strada.   8
  • Siediti alla nostra ombra che profuma [di resina]
  • dove puoi sentire il vento di maestrale che arriva dal mare:
  • non ti serbiamo rancore per i sassi che ci scagliavi contro
  • un tempo [quando eri bambino]: in fondo, non ci facevano male.  12
  • Sui nostri rami gli usignoli costruiscono ancora il nido:
  • perché te ne vai così di fretta?
  • la sera i passeri volteggiano
  • ancora intorno a noi. Su, rimani!”  16
  • “Bei cipressetti, cipressetti miei,
  • amici fedeli della mia infanzia,
  • vorrei sinceramente restare con voi”
  • risposi guardandoli: “Lo vorrei col cuore!  20
  • Ma, cipressetti miei, lasciatemi andare:
  • quel tempo è finito, non sono più un bambino.
  • Se sapeste! Non faccio per dire [per vantarmi]
  • ma oggi sono una persona celebre.  24
  • Conosco il greco e il latino,
  • e scrivo di continuo, e ho molti altri pregi:
  • cipressetti, non sono più un bambino vivace e impertinente
  • e i sassi non li tiro più.  28
  • E specialmente agli alberi”1. Un mormorio
  • che esprimeva dubbi arrivò dalle cime dei cipressi,
  • e il giorno, che volgeva al termine, con un sorriso caritatevole
  • brillò rosaceo tra il verde scuro della vegetazione.  32
  • Capii allora che sia i cipressi che il sole
  • provavano per me una sincera pietà.
  • E quel mormorio, ben presto, si trasformò in voce:
  • “Lo sappiamo bene: sei un uomo tormentato”.  36
  • Lo sappiamo bene; è il vento che ce lo ha detto
  • perché è lui che raccoglie i sospiri degli uomini,
  • così come [sappiamo bene] che in fondo al tuo cuore ci sono
  • continui conflitti che tu non sai e non puoi placare.  40
  • A noi e alle querce tu puoi raccontare
  • la tua personale tristezza e il dolore degli uomini.
  • Ammira com’è calmo e azzurro il mare,
  • come ridente, verso di lui, discende il sole.  44
  • [Ammira] come il cielo al tramonto è pieno dei voli degli uccelli,
  • e com’è allegro il cinguettare dei passeri!
  • Di notte canteranno gli usignoli:
  • Rimani, non inseguire vane aspirazioni;  48
  • quelle vane passioni che nascono nell’oscura profondità
  • dei cuori degli uomini, sconvolti dai pensieri
  • che guizzano come fanno, nei vostri cimiteri,
  • i fuochi fatui2 davanti ai visitatori.  52
  • Rimani; e noi, domani, a mezzogiorno,
  • quando, all’ombra delle grandi querce, riposano
  • i cavalli, muso contro muso, e tutto intorno
  • nella pianura assolata, c’è un grande silenzio,  56
  • noi cipressi canteremo per te quei cori
  • che eternamente si cantano tra la terra e il cielo:
  • da quegli olmi usciranno le ninfe [protettrici dei boschi]
  • che ti faranno aria con le loro vesti bianche;  60
  • e l’eterno dio Pan3, che sulle colline deserte
  • e per la campagna, a quell’ora, si muove solitario
  • sommergerà, nell’armonia divina [della natura],
  • gli affanni che ti preoccupano, creatura mortale”.  64
  • E io risposi: “Lontano, oltre l’Appennino [a Bologna], mi aspetta
  • la Tittì”4; “lasciatemi andare.
  • La Tittì è come un uccellino, [è piccola]
  • tranne per il fatto che le mancano le piume [è indifesa].  68
  • E mangia ben altre cose che le bacche di cipresso [come fanno gli uccellini]
  • E io, peraltro, non sono come i manzoniani
  • che riescono ad avere ricchi stipendi per vivere bene5.
  • Addio cipressi! Addio mia amata pianura!”. 72
  • “Cosa vuoi che diciamo, dunque, nel cimitero
  • Dov’è sepolta tua nonna?”
  • E si allontanavano, e sembravano un corteo funebre
  • che mormorava muovendosi di fretta.  76
  • In cima alla collina, allora, dove si trova il cimitero,
  • lungo la verde via costeggiata dai cipressi,
  • mi sembrò di rivedere nonna Lucia6
  • alta, solenne, vestita di nero;  80
  • La signora Lucia, dalla cui bocca,
  • nell’ondeggiare dei suoi capelli candidi,
  • la pura parlata toscana, usata a sproposito
  • dai seguaci Manzoniani, volgari stenterelli7,  84
  • fluiva come una melodia, con quel malinconico accento
  • della Versilia che porto nel cuore,
  • che ricorda un sirventese8 del ‘300,
  • forte e soave al tempo stesso.  88
  • O nonna, nonna! Com’era bella [fa riferimento a una favola]
  • quando ero bambino! Raccontatela ancora,
  • raccontatela a questo uomo saggio, la novella
  • di colei che cerca il suo amore perduto!9  92
  • “Ho consumato sette paia di scarpe
  • tutte in ferro, solo per ritrovarti:
  • ho rovinato sette bastoni di ferro
  • per appoggiarmi durante il cammino voluto dal destino:  96
  • ho riempito sette fiaschi di lacrime,
  • ho pianto lacrime amare per sette lunghi anni:
  • tu dormi, nonostante le mie urla disperate,
  • il gallo canta e tu non vuoi svegliarti”.  100
  • Oh nonna, com’è bella la novella,
  • è com’è ancora vera! Proprio così.
  • E quello [la serenità] che ho sempre cercato,
  • per tanti anni, ma invano, forse si trova qui,  104
  • sotto questi cipressi, dove non spero,
  • dove non penso di riposarmi più:
  • o forse nonna si trova nel vostro solitario cimitero10,
  • lassù, tra gli altri cipressi.  108
  • Sbuffando correva il treno
  • mentre il mio cuore piangeva di dolore,
  • e un branco di eleganti puledri
  • correva felice nitrendo quanto sentiva il fischio del treno.  112
  • Ma un asino grigio, che stava rosicchiando un cardo
  • rosso e azzurro, non fu turbato
  • dal rumore del treno e non alzò nemmeno gli occhi
  • e continuò a brucare lentamente.  116

Note alla parafrasi

  1. Carducci fa un’allusione alle feroci polemiche contro i suoi avversari, sia letterari che politici. Le sue “sassate”, ora che è adulto, hanno obiettivi diversi.
  2. I fuochi fatui sono definiti putride fiamme perché si tratta di un fenomeno che deriva dal processo di putrefazione dei cadaveri.
  3. Il dio Pan, nella mitologia greca, era il dio pastore, della campagna, dei boschi e dei pascoli.
  4. Tittì è il vezzeggiativo con cui i familiari chiameranno Libertà Carducci (1872-1964), ultimogenita di Giosuè Carducci ed Elvira Menicucci.
  5. Frecciata polemica diretta ai romantici manzoniani che, secondo Carducci, grazie al loro conformismo riuscivano a ottenere incarichi che gli garantivano buoni stipendi.
  6. Maria Lucia Galleni (1772-1842), nonna di Giosuè Carducci, sepolta nel cimitero di Bolgheri.
  7. Scrive M. Pazzaglia: “Altra inopportuna frecciata polemica [contro i manzoniani]. I seguaci pedissequi della teoria manzoniana sulla lingua, usavano nei loro scritti le forme fiorentine plebee, degni di star sulla bocca di Stenterello, la maschera fiorentina, e il loro stile diveniva in tal modo sciatto e triviale”.
  8. Il sirventese era un componimento poetico, talvolta musicato, di origine provenzale; in Italia ebbe fortuna nel periodo compreso tra il XIII e il XV sec.
  9. Carducci fa riferimento a una favola popolare toscana allora molto in voga, quella di re Porco.
  10. Qui il cimitero assurge a simbolo della morte: la pace, la serenità a cui tutti ambiscono forse la si raggiunge solo morendo.

Davanti San Guido – Analisi

Come anticipato nella parte introduttiva, Carducci sta viaggiando in treno e si trova a passare dalle località della Maremma. I cipressi che costeggiano la strada che da San Guido giunge fino a Bolgheri sono personificati dal poeta che inizia con loro un dialogo immaginario. (vv. 1-4). I cipressi riconoscono Carducci che in quei luoghi aveva vissuto la sua infanzia e lo invitano a fermarsi in quel luogo che lui conosce fin troppo bene; gli offrono riparo alla loro ombra, dove può sentire il sapore della resina e dove arriva il soffio del vento; non gli serbano rancore per quei sassi che tirava loro quando era bambino (vv. 5-12). Sono immagini felici, che mostrano il grande affetto che Carducci prova per quei luoghi che lo hanno visto crescere.

Di nuovo i cipressi invitano il poeta a rimanere, ma per quanto egli lo desidererebbe, deve respingere quella tentazione; non è più un bambino, è diventato, come dice con una punta di autoironia, una persona importante, non è più il tempo in cui poteva permettersi di essere «birichino». (vv. 13-28). C’è spazio in questi versi per una polemica con i suoi avversari (si veda la nota 1 della parafrasi).

I cipressi si lasciano impietosire e, attraverso le loro parole, Carducci descrive la sua situazione attuale (un pover uom tu se’); la sua notorietà, la sua importanza non bastano a renderlo un uomo davvero felice. Tutto questo è noto ai cipressi che ancora lo tentano, gli suggeriscono di rimanere in quel luogo di pace, lo invitano a non seguire le vane illusioni, gli oscuri pensieri che assillano gli uomini (pensieri paragonati ai fuochi fatui dei cimiteri, descritti come «putride fiamme». Quei luoghi, che lui conosce bene, immersi nella natura, potrebbero spazzar via tutto ciò che lo tormenta, che lo rende infelice (vv. 29-64).

Ma il poeta non può permettersi di rimanere, e la parte romantica cede il passo al realismo, è padre e ha una figlia piccola che richiede le sue attenzioni, è come “un uccellino”, ma ha bisogno di ben altro che bacche di cipresso. Poi Carducci si fa sarcastico e attacca polemicamente i manzoniani, gli scrittori cattolici e opportunisti. È il momento di dire addio ai cipressi e a quei luoghi (vv. 65-72).

C’è spazio per un’ultima domanda da parte dei cipressi; è il pretesto per un dolce ricordo di nonna Lucia a cui era particolarmente legato; gli sembra di vederla, ricorda nostalgico una bella favola che lei gli raccontava e le chiede di riascoltarla ancora (vv. 73-92).

Le due quartine successive (vv. 93-100) sono dedicate al riassunto della favola che nonna Lucia gli raccontava.

Adesso la nostalgia sembra ancora prendere il sopravvento; forse quello che il poeta ha cercato invano per tanto tempo era qui, in questi luoghi, dove forse non tornerà più. O forse, la pace e la serenità si possono raggiungere solo con la morte (vv. 101-108).

Il finale (vv. 109-116), come scrive Pazzaglia, “è tutto carducciano. Esso consiste nell’accettazione virile e magnanima della vita, nel superamento dell’angoscia sterile in nome della propria presenza operosa nel mondo, della propria responsabilità umana e costruttiva”. Il treno (che rappresenta la vita che va avanti) continua il suo viaggio, non c’è più spazio per i ricordi, anche se può essere bello lasciarsi andare a essi per qualche attimo.

Nonna Lucia

Bolgheri, la statua dedicata a Maria Lucia Galleni (1772-1842), la “nonna Lucia” citata in Davanti San Guido

Davanti San Guido – Figure retoriche

Le figure retoriche più importanti dell’ode Davanti San Guido sono la personificazione e la prosopopea; troviamo la prima a partire dalla strofa iniziale allorquando il poeta “personifica” i cipressi (Quasi in corsa giganti giovinetti / Mi balzarono incontro e mi guardâr); è poi ricorrente e facilmente individuabile, in diverse strofe del componimento; la seconda si realizza quando i cipressi, personificati, vengono fatti parlare (la prima volta accade al v. 5, Ben torni omai).

Al v. 14 è presente un’enallage (fuggi rapido; è utilizzato l’aggettivo rapido al posto di rapidamente). Il v. 17 (Bei cipressetti, cipressetti miei) si caratterizza per la presenza di due figure retoriche, l’apostrofe (Bei cipressetti…) e il chiasmo (aggettivo sostantivo / sostantivo aggettivo). Il ghigno pio del v. 31 è un ossimoro; ghigno è un termine che sta per “espressione beffarda e malevola” e contrasta con il termine pio che significa caritatevole. Va comunque precisato che, in questo caso, ghigno ha un’accezione leggermente diversa da quella usuale e significa “sorriso bonario”.

Sono presenti similitudini (vv. 49-52; I rei fantasmi… / … / Guizzan come…/ Putride fiamme…; v. 67, È la Tittì come una passeretta; vv. 85-87, Canora discendea… / … / Come da un sirventese del trecento). È presente anche la figura dell’anafora (si vedano per esempio i vv. 25-28, con la ripetizione della congiunzione E…). Vari sono gli enjambement presenti nel lungo componimento (per esempio, vv. 1-2, 3-4, 9-10, 15-16, 29-30, 31-32, 39-40, 41-42, 49-50, 54-55, 55,56, 65-66, 85-86, 89-90, 101-102, 111-112, 113-114).

 

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