La poesia A se stesso, di Giacomo Leopardi, fa parte del cosiddetto “ciclo di Aspasia” che, insieme alle canzoni sepolcrali e a testi quali la Palinodia al marchese Gino Capponi e La ginestra, rientra nella terza fase della poetica leopardiana (1831-1837), che vede il definitivo abbandono di Recanati (1830), il soggiorno fiorentino, il rafforzamento dell’amicizia con lo scrittore napoletano Antonio Ranieri, l’amore non corrisposto per la nobildonna Fanny Tozzetti. In questa fase, Leopardi accantona la poetica del vago e dell’indefinito e si cimenta in una riflessione disillusa sul presente e sul destino dell’uomo e in una forte polemica con la cultura dominante dell’epoca, soprattutto contro i miti del progresso e del finalismo.
A se stesso fa parte dei cinque testi (oltre al suddetto, gli altri sono Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo e Aspasia) che compongono, come detto, il “ciclo di Aspasia”; Aspasia era lo pseudonimo di Fanny Tozzetti e che riprendeva il nome di una prostituta amata da Pericle nel V secolo a.C. La loro composizione è compresa fra il 1831 e il 1834. A se stesso fu inserita nell’edizione napoletana dei Canti (1835). In A se stesso Leopardi si rivolge appunto al proprio io interiore per spingerlo a non illudersi più. Si ribadisce la forza dannosa della Natura nei confronti degli uomini, resi fragili dalle proprie illusioni e dall’amore. Si tratta di una strofa libera di 16 versi, endecasillabi e settenari alternati.
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A se stesso fa parte dei cinque testi (gli altri sono Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo e Aspasia) che compongono il “ciclo di Aspasia”
Testo
- Or poserai per sempre,
- Stanco mio cor. Perì l’inganno estremo,
- Ch’eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
- In noi di cari inganni,
- Non che la speme. Il desiderio è spento. 5
- Posa per sempre. Assai
- Palpitasti. Non val cosa nessuna
- I moti tuoi, né di sospiri è degna
- La terra. Amaro e noia
- La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo. 10
- T’acqueta ormai. Dispera
- L’ultima volta. Al gener nostro il fato
- Non donò che il morire. Ormai disprezza
- Te, la natura, il brutto
- Poter che, ascoso, a comun danno impera, 15
- E l’infinita vanità del tutto.
A se stesso (Leopardi) – Parafrasi
- Ora avrai riposo per sempre,
- Mio cuore stanco. L’ultima illusione,
- Che io credevo eterna, è morta. È morta. Sento bene,
- Che in me si è spento il desiderio, oltre che la speranza,
- Di illusioni dolci.
- Riposa per sempre. Hai palpitato
- Abbastanza. Nessuna cosa vale
- I tuoi turbamenti, né la terra è degna
- Di sospiri. La vita è
- Dolore e noia, nient’altro; il mondo è fango.
- Ormai devi fermarti. Perdi la speranza
- Per l’ultima volta. Agli uomini, il fato
- Non ha concesso altro che la morte. Ormai disprezza
- Te stesso, la natura, il il brutto
- Potere che, nascosto, domina a danno di tutti,
- E l’infinità vanità di tutto.

Le poesie di Leopardi sono considerate un vero e proprio patrimonio della letteratura italiana ed è proprio l’autore recanatese che darà inizio alla poesia moderna in Italia.
A se stesso (Leopardi) – Analisi
Dopo la gioia sperimentata con la conoscenza e la frequentazione di Fanny Tozzetti, di cui la poesia Il pensiero dominante è una testimonianza, in A se stesso il poeta afferma la fine di ogni illusione, che si accompagna alla vanità del tutto: per tale ragione, rivolgendosi al proprio cuore, lo invita a placare ogni suo turbamento, perché niente vale la sofferenza provata. L’io poetico afferma che la vita consiste solamente in «amaro e noia» e che «fango è il mondo» (vv. 9-10) e, nei versi finali, ricordando che il fato concede agli uomini solamente la morte, esorta il cuore a disprezzare se stesso, la natura e «il brutto potere» che opera per recare danno agli uomini.
A se stesso (Leopardi) – Figure retoriche
Nel testo leopardiano sono presenti varie figure retoriche; esso, attraverso una punteggiatura che scompone i versi in brevi frasi, risulta frammentato ed evidenti sono gli enjambement (vv. 3-4, 7-8, 6-7, 8-9, 11-12, 12-13, 13-14, 14-15) e le ripetizioni. Numerose sono anche le allitterazioni (r e p nel v. 1; o nel v. 2; e nel v. 5; n nei vv. 4-5; t e r nei vv. 14 e 15).
Al verso 2 si nota un’apostrofe (Stanco mio cor) che è anche un’anastrofe; l’anastrofe è presente anche nel v. 8 (i moti tuoi) e nel verso 16 (infinita vanità). L’anafora è presente nei vv. 2-3 (Perì… Perì…). Una metafora è presente al verso 10 (fango è il mondo).
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