Nella letteratura tedesca del ‘900, ben presto, il naturalismo sfuma e si mescola nelle nascenti correnti dell’estetismo e del simbolismo di fine secolo, che nella realtà quotidiana penetrano più a fondo per trovarvi significati nascosti e nuovi sensi dell’esistenza, per esprimere i quali è necessario affinare l’uso della parola e moltiplicarne le possibilità significanti.
Questa concezione del linguaggio, com’è naturale, si esprime soprattutto in poesia, e nella letteratura tedesca è rappresentata principalmente da Rainer Maria Rilke, poeta soggettivista e visionario che permea le proprie composizioni di oscuri simboli e metafore, che rinviano a una perenne tensione verso il sovrumano e utilizzano la realtà esterna per esprimere quella interna (Il libro d’ore, Sonetti a Orfeo). Il problema del rapporto tra rappresentazione e realtà è poi al centro dell’opera di un poeta austriaco, Hugo von Hofmannsthal, che da una lirica profondamente estetizzante, nel segno dell’identificazione tra arte e vita, passa a dedicarsi al solo teatro, con drammi cupi e pessimisti ai quali lavora sia da solo, sia in collaborazione con il compositore Richard Strauss (Arianna a Nasso, La torre).
In questo autore compare anche l’angoscia esistenziale che caratterizza tutta la letteratura della fine del secolo, pervasa dal senso di crisi derivante dalla consapevolezza degli innumerevoli aspetti della vita e dell’uomo che non si è in grado di comprendere o di esprimere. Il tentativo consapevolmente disperato di raccogliere l’esistenza in forme sensate anima anche la prosa, che raggiunge gli esiti migliori con Hermann Hesse: questo autore studia l’approccio della psicoanalisi per esplorare i contrasti della psiche umana e la dialettica tra razionalità e istinti (Siddharta, Il lupo della steppa).
Voce principale della decadenza del passaggio di secolo è poi Thomas Mann che, in armonia con le filosofie di Schopenhauer e Nietzsche, riflette sul dramma della lacerazione tra l’uomo sensibile, l’artista, e le strutture sociali e razionali.
Il primo ventennio del Novecento è una fase di irruente crescita tecnica ed economica per la Germania, con un vertiginoso sviluppo industriale che travolge l’individuo disperdendolo nella massa; al senso di disagio e angoscia provocato da ciò si aggiungono gli orrori della Prima guerra mondiale, e da questi sconvolgimenti nasce un movimento culturale che si diffonde ben presto anche nel resto dell’Europa, l’espressionismo. Esso si manifesta in tutte le arti e costituisce un inorridito rifiuto della modernità, attraverso la rappresentazione dei suoi aspetti più terribili con un linguaggio violento, intenso, deformato, rapido, sia in campo figurativo, sia in campo letterario. Influenza anche artisti come Kafka.
Nei romanzi di Kafka si ravvisa quell’intento decostruttivo di un genere letterario che è la caratteristica principale del romanzo sperimentale novecentesco in Europa. Esso è rappresentato nella letteratura tedesca dall’opera dell’austriaco Robert Musil.
L’attività di Musil rientra nel fervore culturale che caratterizza la letteratura tedesca del ‘900 nel periodo della Repubblica di Weimar, dalla proclamazione della repubblica dopo la Prima guerra mondiale all’avvento del nazismo. In questi anni, infatti, la meditazione sulla crisi e sulle possibilità per il futuro animano una ricca produzione letteraria. Continua l’influenza dell’espressionismo nella letteratura tedesca del ‘900, per esempio nel romanzo sperimentale Berlin Alexanderplatz di Alfred Döblin, e allo stesso tempo si sviluppa un movimento di reazione a esso, la Nuova Oggettività, che si richiama al naturalismo, nel ritorno alla concreta realtà quotidiana e nella memorialistica di guerra (E. M. Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale); rinasce infine il teatro, rinnovato dalle teorie e dalle opere di Bertolt Brecht, che dopo un esordio espressionista si dedica in maniera decisa al dramma didascalico, modellato sulla dottrina marxista.
Molti sono gli autori che negli anni Trenta sono costretti a emigrare, osservando e rappresentando dall’esterno la crisi della Germania e il generale tracollo di valori dell’Occidente, di fronte al quale la razionalità si scopre impotente (e si rovescia in follia in uno dei romanzi più rappresentativi di questo sentimento, Auto da fé di Elias Canetti). Fra questi Joseph Roth, austriaco, che da subito rifiuta categoricamente il nazismo e lascia la Germania il giorno stesso in cui Hitler diventa cancelliere. Roth auspicava un ritorno degli Asburgo a Vienna, e la nostalgia monarchica è evidente nel suo romanzo La marcia di Radetzky. Roth condivide le proprie preoccupazioni sul nazismo con un altro scrittore austriaco, Stefan Zweig, anche lui costretto all’esilio. Un altro austriaco, Arthur Schnitzler, invece, autore del romanzo breve affine alla psicanalisi di Freud Doppio sogno, muore appena prima della salita al potere di Hitler.
Gli intellettuali che decidono di rimanere in patria sono costretti al silenzio o a rischiare costantemente la vita con l’opposizione politica o etica, ma alcuni sostengono più o meno apertamente il nazismo: l’unica letteratura ammessa è appunto quella che sostiene l’ideologia nazista, quindi una letteratura patriottica, che esalti le radici e le qualità del popolo tedesco e suggerisca l’identità fra Germania e nazismo. Ci sono poi autori che non sostengono, ma descrivono i fenomeni del nazismo e dell’antisemitismo, il contesto e le ragioni del loro successo, con opere di puro realismo.

Monumento a Thomas Mann, uno dei giganti della letteratura tedesca del ‘900, epoca culturalmente tormentata per il mondo tedesco
Il secondo Novecento
Alla fine della guerra, la Germania è distrutta sia materialmente sia moralmente, divisa, priva di identità e di valori, abbattuta, e lo stesso si può dire della sua vita culturale. Si avvia quindi un lento e difficile risveglio per la società e la letteratura tedesca del ‘900, che produce la cosiddetta “letteratura delle macerie”, alimentata dalla dolorosa esperienza appena vissuta e anche dall’apertura ai modelli stranieri, fino a questo momento censurati dal regime. A complicare la ripresa è il clima della guerra fredda, contro il quale si mobilita un gruppo di giovani scrittori tedeschi, denominato Gruppo ’47, con riunioni periodiche in cui condividere poesie e racconti impegnati. Una poesia di tipo diverso è poi quella degli autori ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento o fuggiti all’estero, ora accomunati da un forte bisogno di espressione e comunicazione, che non sempre riescono a realizzare: Nelly Sachs, fuggita in Svezia, pone il destino del popolo ebraico al centro della sua lirica, nutrendola delle immagini mistiche e simboliche della cultura ebraica, e ottiene il premio Nobel per la letteratura; l’amico Paul Celan, invece, sopravvissuto ai lavori forzati e alla morte dei genitori nei campi di sterminio, realizza una poesia ermetica ai limiti dell’oscurità, che esprime la sua difficoltà di raccontare il male e di far comprendere la tragedia dei sopravvissuti, un peso tale da portarlo infine al suicidio.
Nella prosa del dopoguerra, invece, prevalgono l’esperienza autobiografica della guerra, il memoriale, la riflessione sul futuro, che sfocia anche nell’impegno civile, talvolta polemico. Questo accade per esempio nella narrativa di Heinrich Böll, che rappresenta le difficoltà e lo spaesamento dell’individuo nel periodo della ricostruzione (Foto di gruppo con signora), e denuncia i danni della società industriale massificata sull’uomo e sulla sua libertà (L’onore perduto di Katharina Blum, Assedio preventivo).
Una prospettiva particolare sul periodo della guerra e del dopoguerra è offerto dalla narrativa di Christa Wolf, scrittrice comunista diventata celebre con il romanzo Il cielo diviso, che racconta la storia di un amore ai due lati del muro di Berlino, e autrice poi di opere di prospettiva femminista e di riflessione sul ruolo dello scrittore nei regimi totalitari (Quel che resta).
A partire dagli anni Sessanta si accentua l’impegno politico degli intellettuali, animato anche dalle rivolte studentesche. Ne è un esempio Günter Grass, premio Nobel nel 1999, che diventa famoso con il realismo visionario e sarcastico dell’analisi sociale dei romanzi Il tamburo di latta e Gatto e topo, per poi entrare attivamente nel confronto politico, a sostegno della socialdemocrazia, ed esprimere apertamente nelle proprie opere le opinioni politiche. Il Gruppo ’61, invece, realizza l’impegno politico nella promozione di una “letteratura operaia”, finalizzata a far conoscere le problematiche del lavoro industriale presso la borghesia.
La letteratura tedesca della seconda metà del Novecento vive infine la stessa mancanza di ordine e direzione delle altre letterature europee postmoderne: l’unica certezza è l’esaurimento delle correnti e dei valori precedenti, ma non ci sono classificazioni possibili per le nuove tendenze culturali, troppo variegate ed eterogenee, come è inevitabile che sia in un mondo ormai molto complesso, in cui voci e interessi variegati ed eterogenei chiedono rappresentazione.
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