Tra i più celebri autori di poesie d’amore non è possibile non citare Saffo, vissuta tra il 630 a.C. e il 570 a.C. Anche Leopardi le dedicò una poesia (Ultimo canto di Saffo, 1822). Nell’antica Grecia gli amori omosessuali erano esperienze vissute dalle adolescenti quando erano parte del tìaso, associazione di carattere prevalentemente religioso. Saffo è stata la maestra del tìaso di Lesbo. A quei tempi era prevista l’iniziazione ai rapporti sessuali e all’amore tramite rapporto omosessuale. Decontestualizzata rispetto al periodo culturale, la vita di Saffo è stata fraintesa, originando termini come saffico e lesbico, utilizzati oggi per definire l’omosessualità femminile.
Saffo – Poesie
Di seguito si riportano i frammenti delle poesie di Saffo e una sola lirica intera, la Preghiera ad Afrodite (la traduzione è quella di Salvatore Quasimodo).
Indice
- A Gòngila
- A me pare uguale agli dèi
- Ad Attide ricordando l’amica lontana
- Ad Afrodite
- Ad Ermes
- Come il giacinto
- E di te nel tempo
- Fanciullezza
- Ho parlato in sogno
- Ho una bella fanciulla
- Invito all’Erano
- Muore il tenero adone
- Plenilunio
- Quale dolce mela
- Quanto disperse la lucente aurora
- Sulla tenera erba appena nata
- Sulle belle chiome metti ghirlande
- Tramontata è la luna
- Vorrei veramente essere morta

La statua di Saffo nella piazza principale di Mitilene (un città dell’isola di Lesbo)
A Gòngila
O mia Gòngila, ti prego:
metti la tunica bianchissima
e vieni a me davanti: intorno a te
vola desiderio d’amore.
Così adorna, fai tremare chi guarda;
e io ne godo, perché la tua bellezza
rimprovera Afrodite.
A me pare uguale agli dèi
A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Ad Attide ricordando l’amica lontana
Forse in Sardi
spesso con la memoria qui ritorna
nel tempo che fu nostro: quando
eri Afrodite per lei e al tuo canto
moltissimo godeva.
Ora fra le donne Lidie spicca
come, calato il sole,
la luna dai raggi rosa
vince tutti gli astri, e la sua luce
modula sulle acque del mare
e i campi presi d’erba:
e la rugiada illumina la rosa,
posa sul gracile timo e il trifoglio
simile a fiore.
Solitaria vagando, esita
e a volte se pensa ad Attide:
di desiderio l’anima trasale,
il cuore è aspro.
E d’improvviso: “Venite!” urla;
e questa voce non ignota
a noi per sillabe risuona
scorrendo sopra il mare.
Ad Afrodite
O mia Afrodite dal simulacro
colmo di fiori, tu che non hai morte,
figlia di Zeus, tu che intrecci inganni,
o dominatrice, ti supplico,
non forzare l’anima mia
con affanni né con dolore;
ma qui vieni. Altra volta la mia voce
udendo di lontano la preghiera
ascoltasti, e lasciata la casa del padre
sul carro d’oro venisti.
Leggiadri veloci uccelli
sulla nera terra ti portarono,
dense agitando le ali per l’aria celeste.
E subito giunsero. E tu, o beata,
sorridendo nell’immortale volto
chiedesti del mio nuovo patire,
e che cosa un’altra volta invocavo,
e che più desideravo
nell’inquieta anima mia.
“Chi vuoi che Péito spinga al tuo amore,
o Saffo? Chi ti offende?
Chi ora ti fugge, presto t’inseguirà,
chi non accetta doni, ne offrirà,
chi non ti ama, pure contro voglia,
presto ti amerà.”
Vieni a me anche ora:
liberami dai tormenti,
avvenga ciò che l’anima mia vuole:
aiutami, Afrodite.
Nota – La poesia è nota anche con altri titoli fra cui il già citato Preghiera ad Afrodite, Inno ad Afrodite e Afrodite.
Ad Ermes
Ermes, io lungamente ti ho invocato.
In me è solitudine: tu aiutami,
despota, ché morte da sé non viene;
nulla m’alletta tanto che consoli.
Io voglio morire:
voglio vedere la riva d’Acheronte
fiorita di loto fresca di rugiada.
Come il giacinto
Come il giacinto che i pastori pestano
per i monti, e a terra il fiore purpureo
sanguina.
E di te nel tempo
Tu morta, finirai lì. Né mai di te
si avrà memoria; e di te nel tempo
mai ad alcuno nascerà amore,
poi che non curi le rose della Pieria.
E sconosciuta anche nelle case dell’Ade,
andrai qua e là fra oscuri
morti, svolazzando.
Fanciullezza
“Fanciullezza, fanciullezza, mi lasci, dove vai?”
“Non tornerò più da te, mai più ritornerò.”
Ho parlato in sogno
Ho parlato in sogno con te, Afrodite.
Ho una bella fanciulla
Ho una bella fanciulla
simile nell’aspetto ai fiori d’oro,
la mia Cleide diletta.
Io non la darei né per tutta la Lidia
né per l’amata…
Invito all’Erano
Venite al tempio sacro delle vergini
dove più grato è il bosco e sulle are
fuma l’incenso.
Qui fresca l’acqua mormora tra i rami
dei meli: il luogo è all’ombra di roseti,
dallo stormire delle foglie nasce
profonda quiete.
Qui il prato ove meriggiano i cavalli
è tutto fiori della primavera
e gli aneti vi odorano soavi.
E qui con impeto, dominatrice,
versa Afrodite nelle tazze d’oro
chiaro vino celeste con la gioia.
Muore il tenero Adone
“Muore il tenero Adone, o Citerea;
e noi che faremo?”
“A lungo battetevi il petto, fanciulle,
e laceratevi le vesti.”
Plenilunio
Gli astri d’intorno alla leggiadra luna
nascondono l’immagine lucente,
quando piena più risplende, bianca
sopra la terra.
Quale dolce mela
Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più
alto; la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla…
Quanto disperse la lucente aurora
Espero tutto riporti
quanto disperse la lucente Aurora:
riporti la pecora,
riporti la capra,
ma non riporti la figlia alla madre.
Sulla tenera erba appena nata
Piena splendeva la luna
quando presso l’altare si fermarono:
e le Cretesi con armonia
sui piedi leggeri cominciarono
spensierate a girare intorno all’ara
sulla tenera erba appena nata.
Sulle belle chiome metti ghirlande
Tu, o Dice, sulle belle chiome metti ghirlande,
dalle tenere mani intrecciate con steli di aneto,
perché le Càriti felici accolgono
chi si orna di fiori: fuggono chi è senza ghirlande.
Tramontata è la luna
Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.
Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.
Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.
Vorrei veramente essere morta
Vorrei veramente essere morta.
Essa lasciandomi piangendo forte,
mi disse: “Quando ci è dato soffrire,
o Saffo: contro mia voglia
io devo abbandonarti”.
“Allontanati felice” risposi
“ma ricorda che fui di te
sempre amorosa.
Ma se tu dimenticherai
(e tu dimentichi) io voglio ricordare
i nostri celesti patimenti:
le molte ghirlande di viole e rose
che a me vicina, sul grembo
intrecciasti col timo,
i vezzi di leggiadre corolle
che mi chiudesti intorno
al delicato collo;
e l’olio da re, forte dei fiori,
che la tua mano lisciava
sulla lucida pelle;
e i molli letti
dove alle tenere fanciulle joniche
nasceva amore della tua bellezza.
Non un canto di coro,
né sacro, né inno nuziale
si levava senza le nostre voci;
e non il bosco dove a primavera
il suono…”
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